“Youth Attack!” è un manuale, un galateo. Ti dice come comportarti, seziona la realtà e poi, con uno spiccato manicheismo, indica cosa sia giusto e cosa sbagliato
“Ultramega Ok” avrebbe potuto essere uno degli esordi più folgoranti della storia del rock, di sicuro ai primissimi posti di qualsiasi classifica del genere grunge. Invece a distanza di quasi 35 anni siamo qui a parlare di un mezzo passo falso, un errore dovuto forse all’inesperienza della band nella gestione del confronto con le tante case discografiche che avrebbero fatto carte false pur di accaparrarseli
Come per Lovecraft esistevano montagne dove viveva la follia, per i Converge esiste un mondo fatto di tentativi e fallimenti. Questa, è una vittoria da riascoltare “nunc et semper”
“Drukqs” è un turbine di esperimenti riusciti bene e manovrati con mano esperta, ma è soprattutto un saliscendi emozionale.
I Foo Fighters sono esplosiva ed inesauribile fonte di energia fatta di musica, strumenti, passione e anima. Soprattutto anima. La loro storia non è mai stata semplice e serena, ricca di una miriade di scenari sofferti e tasselli contorti. Tra questi, vent’anni fa, l’uscita di “One By One”
“Panopticon” è un lavoro immenso e uno dei dischi più belli degli anni 2000, che ha fatto entrare di diritto gli Isis tra i mostri sacri di un genere, sicuramente belli saldi sopra un immaginario podio insieme a Neurosis e Cult of Luna.
“Young, Loud and Snotty” sputava nichilismo e volgarità, bruciava di vizio e perdizione e imbottigliava l’ansia e la paranoia di una generazione che sfidava l’inferno.
“Nimrod” è forse il primo testamento spirituale dei Green Day
“(a) Senile Animal” fu un album dritto e potente, quasi punk nella sua fisicità e tutto sommato facile e più accessibile se paragonato a certi loro standard passati.
“No Need to Argue” ha consacrato i Cranberries e il canto melodico della loro musa all’immortalità. E, in verità, ancora oggi sento di poter affermare che senza di lei siamo tutti un po’ più orfani.
“Blank Generation” era un bruciante manifesto di un’epoca e di una generazione disorientata alla disperata ricerca di qualcosa con cui riempire il vuoto del titolo.
Se con “Dummy” ci chiedevamo come fosse possibile che una musica così dark potesse diventare materia da apericena in spiaggia, con “Portishead” siamo lieti di constatare che ciò non ci pare sia accaduto.
“Strangeways, Here We Come” trasmette un senso di affascinante incompletezza: è come smontare un qualche oggetto e dai suoi pezzi crearne uno nuovo, del tutto diverso. È come l’ultima puntata di una serie televisiva, che ti fa chiedere sempre se ci sarà una prossima stagione o se sia davvero la fine di tutto. E il dubbio rimane, anche a più di trent’anni di distanza.
Con “Discipline”, tutto il prog e l’art-rock fino allora esistito trova nuovi pascoli dove scorrazzare e, da quel momento, avremo sviluppi inattesi, come il math-rock e il post-rock che, senza questo disco, sarebbero stati tutt’altra cosa.
“Celebrity Skin” è un concentrato di drammi e luccicori; incubi e nubi. Un manuale sulla fama, sulla morte e sul mistero: dodici tracce dal rock ammaliante e diretto; dodici episodi che sfidano lo star system hollywoodiano e le sue avidità.
In “Bone Machine” c’era un’aria da disastro imminente, da fine di tutte le cose, e il grugnito della voce di Tom Waits evocava gli spiriti dei vecchi bluesmen per far loro suonare le trombe del giudizio universale.
Con i Puddle Of Mudd speravamo di aver trovato una nuova band che potesse rilanciare un nuovo genere negli anni d’oro del Nu Metal. E invece…
Gli Strokes avevano l’arroganza, lo stile e le migliori canzoni del 2001: niente che non avessimo già ascoltato un milione di volte, ma “Is This It” pulsava di una vitalità che ridava al rock il suo destino di musica giovane e ribelle.
Ragazzi come loro, in ogni angolo del pianeta, ascoltano le storie raccontate in “Ten” e automaticamente si immedesimano, lasciandosi andare a una spontanea empatia
Con “Dummy” il trip-hop conquistò le classifiche. Il genere e “Dummy” in particolare, avrebbe quindi invaso anche gli aperitivi, le lounge fighette e le corsie dei supermercati. Come poi una musica così oscura come quella dei Portishead abbia potuto associarsi a momenti di edonismo, resta un mistero che non vale la pena approfondire