Le città immaginate dagli Envy crollano per ricombinarsi in costruzioni sempre diverse ma non meno desolate e desolanti di quanto fossero in origine. Un nuovo mondo assemblato dalle vestigia sanguinanti di quello antico si prospetta all’orizzonte e album come questo sono l’inevitabile allarme della fine dei tempi.
Un tripudio di blasfemia, machismo, spacconeria e cattivo gusto? Certo, ma anche – e soprattutto – un grandissimo disco.
Adorato fin da subito dalla critica e dal pubblico, “Definitely Maybe” è diventato sicuramente qualcosa di molto più grande di quello che era in realtà e cioè un buon disco di pop-rock britannico, semplice, spontaneo e fulmineo anche se imperfetto e rudimentale, ma che aveva il pregio di essere stato inciso e pubblicato nel momento esatto in cui ce n’era realmente bisogno.
“30 Seconds To Mars” risulta essere un viaggio di speranza verso un mondo nuovo che, una volta raggiunto, si è rivelato essere già in rovina.
Per quanto fugace l’apparizione di Lauryn Hill sullo scacchiere della musica nera rappresentò uno scossone con pochi precedenti. Il merito di avere partorito un evergreen nonché uno dei dischi più rappresentativi degli anni ’90, alla tormentata artista non lo potrà mai togliere nessuno.
I Jane’s Addiction portarono in seno al rock un nuovo modo di porsi, un ibrido glam e violento nella resa, ma tremendamente pesante nel suo ruolo artistico.
“L.D. 50” era l’illusione che essere alieni o mutanti o semplicemente coraggiosi potesse rendere il nu-metal qualcosa di futuribile e non solo un passatempo usa e getta. Come una nave madre extraterreste assopita sotto una coltre di cavi e metallo, ruggine e fuliggine, che ancora attende di essere scoperta per davvero. Nient’altro che una meteora.
“Turn On The Bright Lights” è un gioiello dark e romantico dal carattere estremamente emozionale e all’epoca sembrava davvero aver illuminato una notte infinita con una luce forte e inestinguibile.
A ben 20 anni di distanza da quando “Follow The Leader” approdò sugli scaffali dei negozi di dischi il risultato, dopo l’ennesimo ascolto, resta invariato: suona fresco come una rosa e pesante come un caterpillar rovente incendiato da uno stormo di psicopatici inferociti.
Nella storia dell’heavy metal raramente abbiamo assistito a una fusione così aggraziata e ricca di sfumature tra Beatles e Black Sabbath, amore e odio, passione e dolore, vita e morte.
“Soup” rimane un gioiello di quei lontani anni ’90 tremendamente sottovalutato e dimenticato, il sintomo di un decennio strambo e sgangherato che aveva in sé chiavi di lettura tutto tranne che lineari e i Blind Melon se ne fecero (black) “umoristici” portavoce
Ma allora cosa ce ne facciamo di un gioiello così puro che però non possiamo cambiare in “moneta sonante”? È come se non avesse valore? Tutt’altro. È come se, tra le mani, stringessimo il cosiddetto “pezzo inestimabile”. Quello che di solito è al di là dei cordoni, dentro le teche infrangibili.
Ad un certo punto ci si è resi conto che avremmo potuto non avere nelle orecchie “Siamese Dream”, ma tenacia e costanza nel mezzo dell’uragano hanno fatto sì che uno dei dischi più importanti e belli della storia dell’alternative rock abbia non solo visto la luce ma sia anche diventato un ascolto imprescindibile.
Insostituibile pedina all’interno dello scacchiere della musica moderna, “Songs To Scream At The Sun” necessita non solo di essere riscoperto a posteriori, ma anche di continuare a essere una delle fonti di maggiore ispirazione per band e fan del melodic hardcore.
Eppure “Cowboys From Hell” non era l’inizio ma ne aveva tutto l’aspetto. Una nuova strada mai battuta e piena di ferocia, odio e spirito indomito che ci avrebbe portati al nulla più assoluto.
L’album di debutto di Marilyn Manson non è ovviamente un capolavoro e nemmeno una pietra miliare industrial ma è uno spaccato importante di come la musica alternativa poteva essere ficcante seppur in qualche modo “fake”. Vera nel suo mascherarsi da altro, come in una carnevalata feroce e fuori controllo e che nessuno avrebbe potuto arrestare.
Nessun tipo di autocommiserazione da queste parti, solo un disastro senza pari e una confusione chirurgicamente incuneata nella mente di una Regina Alien mandata a spasso in una metropoli sorretta da neon e ombre umane-non umane.
I Beastie Boys prendendosi poco o per nulla sul serio, fedeli al proprio rap quadrato e genuinamente scanzonato e coadiuvati da professionisti della musica di prim’ordine vent’anni fa ci consegnavano un album potente, originale e ciò malgrado assolutamente fruibile.
C’è tutto nel terzo album dei Mr. Bungle, e quando dico tutto intendo proprio TUTTO. È l’epitaffio perfetto di un secolo di psicosi e brutalità, cambiamenti e trasformazioni e sontuosa introduzione ad un millennio di luci ed ombre.
Quando gli Slayer entrarono in studio per registrare “South Of Heaven” sapevano di non voler semplicemente dar vita a un “Reign In Blood” parte seconda. Tutto ciò che desideravano era aprire una nuova fase, percorrere strade non battute in precedenza ed evolversi.