A 30 anni di distanza e dal suo ascolto “Images And Words” rimane tuttora la manifestazione della classe e della superbia che il metal può raggiungere, ma anche uno dei dieci album più importanti di questo genere.
Rassicurante e maledetta insieme, la popular music di Johnny Cash faceva categoria a se: s’alimentava di solidarietà, rabbia, lividi, tormenti e desideri di vendetta.
“It Takes a Nation” è universalmente considerato, se non il migliore, uno dei migliori album rap mai realizzati. Questa non è un’opinione ma un fatto empirico.
Nel pentolone del Crossover e del Nu Metal i Limp Bizkit sono stati forse la band più declassata e presa per i fondelli, ma è solo un gruppo che faceva quello che più si divertiva a fare. Hanno sfruttato il momento e creato uno stile che tutt’ora è in grado di dire la sua.
“Happy Songs For Happy People” è un disco maturo e sottile, tecnicamente esperto ed emotivamente carico e viscerale. In breve è un riassunto di tutto ciò che è fantastico nella musica dei Mogwai
Ian Curtis ci guarda da una terrazza costruita sulla sua stella. Ogni tanto ci ricorda che l’amore ci farà a pezzi. Ma la musica, soprattutto quella dei Joy Division, ci rende immortali.
Un disco enigmatico, dall’animo variopinto. Un labirinto in cui perdersi, tra sfumature, umori e suoni. Da ascoltare e comprendere, per l’urgenza che reclama, urlata in silenzio
Quando sei anni fa ho compiuto trent’anni mi sono sentito vecchio, demolito e pronto al camposanto. Diciamocelo, chi non l’ha fatto? “Angel Dust”. Sì, non è una persona, però è un’entità e i suoi trenta-fottuti-anni non li sente. Tanti album patiscono il passare degli anni. Lui no.
“Rated R” è un disco di un’importanza stratosferica perché dona ai Queens Of The Stone Age la credibilità discografica e il successo, trasportandoli direttamente nell’iperuranio.
Quello degli Echo And The Bunnymen era già il post del post-punk, e le pose glamour del cantante con l’impermeabile anticipavano quello che poi avremmo chiamato britpop.
“Sgt. Pepper’s” è il primo vero sdoganamento della musica, pop o rock che dir si voglia, come forma d’arte completa che non parla solo al basso ventre e alle pulsioni e agli ormoni impazziti degli adolescenti. Un disco che cambiò per sempre il mondo, non solo della musica: il mondo divenne a colori.
“Mezmerize” continua ad elettrizzare, sconvolgere, divertire, aggiungendo un pizzico di malinconia: questo piccolo capolavoro resta nel cuore di tutti i nostalgici della miglior fase dei S.O.A.D.
Coloro che vogliono affacciarsi alla finestra durante un temporale dubstep dovrebbero lasciarsi influenzare da Burial, perché il suo primo disco racconta l’ultimo rave prima della fine del mondo.
“The Green Album” sembra essere una presa di posizione, uno spartiacque nella discografia dei Weezer, un disco che ne consacra lo stile melodico che caratterizzerà tutti i seguenti album rappresentando comunque qualcosa di inimitabile.
Festeggiando il trentennale di “Fear Of The Dark” ci si accorge che le tematiche su cui è incentrato sono ancora attualissime: il nono album degli Iron Maiden condanna ogni tipo di anticonformismo e ingiustizia sociale ed è uno spirito guida da tenere vicino ancora oggi.
Nessun disco, come “The Blue Album”, simboleggia il cambio di umore che negli anni ’90 interessò il rock americano.
“Rio” è il disco del sole, delle spiagge, dalle barche a vela e delle belle donne, ma è anche un disco fatto di ombre e di templi, che sprigionava tutto quanto passasse nella testa dei Duran Duran e dava vita ad una bella stagione musicale che ancora è attualissima.
I Sunny Day Real Estate mostrarono che l’emo meritava giustamente rispetto, avevano portato il genere il più lontano possibile, tracciando la via per l’esplorazione di un territorio più fertile.
“Pornography” era uno sfiatatoio d’ansia e dissolutezza, un delirio angosciato denso di suoni, visioni e presagi.
“Bullhead” è il manuale di come si compone quella miscela perfetta tra doom metal e hardcore punk. E non bisogna viaggiare nemmeno tanto con la fantasia, il titolo di quel manuale è sludge.