La formula efficace doveva al post-rock un’energia esasperante e il breakbeat, che sembrava essere l’antitesi del sentimento generale del genere, risplendeva cangiante nella musica stratificata dei 65daysofstatic.
“Wish” resta un disco lirico, poetico e toccante, che rivela prepotentemente la maturità dei componenti della band britannica. Un disco in cui, insieme ad atmosfere malinconiche, compare anche quello che può essere definito un inno alla vita ed alla gioia di vivere, all’esserci sempre e comunque
Quello che sembrava il passatempo di un gruppo di ex studenti annoiati, finì col diventare il poster alle pareti nei garages del rock indipendente.
La manipolazione dei suoni, la loro degradazione, rende il lavoro finale quasi uno specchio dei nostri destini, quelli umani effimeri e fugaci, volatili e disgregantesi. C’è dell’amore per ciò che è svanito e scompare, ma d’altronde questa è la vita, un continuo nascere, crescere e morire.
Nella sconfinata produzione musicale che sarà poi quella di Paul McCartney, dalla musica colta al pop rock, questo episodio, pur non potendo definirsi il migliore, rimane un ascolto unico, sorprendente e immancabile.
Nella mezz’oretta abbondante in cui il vinile gira sul piatto, i Rolling Stones hanno il potere di fondere due generi, il blues e il rock, creandone uno nuovo. Il prodotto finale è innovativo, futurista, corre veloce avanti nel tempo, non rappresenta per nulla un paradosso il fatto che parliamo di tutte (o quasi) cover.
I Pavement ci hanno abituato al fatto che la libertà creativa e la trasversalità degli approcci di arrangiamento portano sempre ad un risultato egregio e ad una schiettezza melodica di tutto rispetto.
“Electric” è il mondo nuovo dell’hard-rock, ricollocato nella sua epoca, in pieno spiritualismo New Age. Un sound e una musica che vengono periodicamente riconfermati e ricalati nell’attualità da grandi dischi come questo. E 35 anni dopo, ci ritroviamo a celebrare l’hard-rock “New Age” dei Cult, non quello coevo ma piacione degli Europe. Qualcosa vorrà dire.
Certo, la poetica della rassegnazione è in sé contraddittoria: in fondo i Codeine hanno rappresentato uno dei capitoli più intensi (ancorché breve e oscuro) della storia del rock, il che vuol dire che ad un certo punto la forza di alzare la testa l’hanno trovata. Ma non è detto che la trovi anche l’ascoltatore, dato che “The White Birch” lascia vuoti ed esausti.
Jónsi, è un genio della musica moderna e ha contribuito a regalarci, con i Sigur Rós, veri e propri capolavori emotivi, e “Go” è assolutamente un disco che tutti dovrebbero ascoltare almeno una volta nella vita.
“Trans-Europe Express” dei Kraftwerk è il più importante album di una delle più importanti band di tutti i tempi.
L’essenza più calzante di Notorious B.I.G. va ancora oggi ricercata in quel ragazzo profondamente innamorato della musica e dei propri rap. Un ragazzo che, dopotutto, fu capace di costruirsi una vita dopo la morte ben prima della sua effettiva scomparsa.
Riascoltare un album come questo, e realizzare quanto abbia segnato la nostra crescita, è sempre un’esperienza rincuorante.
Quando era leggero, non era mai superficiale, quando era pesante, non era mai ossessivo: l’art-rock di “Surfer Rosa” era un faro acceso sul confine fra gli anni Ottanta e il decennio successivo
Una collisione spontanea di stili e tecniche distinti, una miscela mistificante di avant-noise, speed metal, jazz fusion e trauma da Nintendo. Tenere botta ad un album del genere ti rende una persona migliore.
Poco importa se stiamo celebrando il primo disco solista di Iggy Pop, o il pezzo mancante del periodo berlinese di David Bowie. Senz’altro, sono vere tutte e due le cose. Con questo disco, i due artisti hanno fissato un caposaldo dell’art-rock, dando a Iggy un successo che non aveva mai conosciuto con gli Stooges
Nel viaggio introspettivo autoimposto, i singoli componenti di una band travolta dal precedente successo commerciale si ritrovano soli: “Black Celebration” è solitudine. Una solitudine che viene metabolizzata e ricacciata fuori sotto forma prima di tutto musicale.
Raccontando dolori e momenti depressivi, “13” riusciva ad incarnare il vuoto generazionale di un mondo alle soglie del nuovo millennio.
Un’esperienza difficile da raccontare a parole, come quando fai uno di quegli incubi al neon, dove tutto è saturo, inquietantemente ordinato, tu sudi freddo, e lo sai che da qualche parte qualcuno impugna un coltello, ma nei loro volti, mezzo-muti, solo sorrisi.
I Silver Mt. Zion percorrono un sentiero più intimo, meno roboante, e per questo non etichettabile. Non chiamatelo post-rock, ma semplicemente identificazione nell’etica ed estetica del punk-rock.