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Giardini Di Mirò – Dividing opinions

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Il terzo disco è sempre quello della verità. C’è poco da fare. I Giardini Di Mirò arrivano alla tappa cruciale con svariati EP e raccolte, collaborazioni, side-project e soprattutto con due ottimi LP in studio all’attivo. L’ancora acerbo “Rise and fall of academic drifting”, la prima vera risposta italiana al fenomeno post-rock e “Punk…not diet”, leggero ma indeciso allontanamento dalla linea tradizionale dei punti di riferimento iniziali (Mogwai, Godspeed You! Black Emperor, Explosions In The Sky). Dopo la significativa quanto controversa parentesi dell’EP “North-Atlantic Threaty Of Love” che faceva presagire una clamorosa deviazione verso un hip-hop ibrido alla cLOUDDEAD amalgamato ad atmosfere tra Bark Psychosis e Hood (che pure aleggiano in uno dei nuovi brani più consoni ai GDM, “Embers”, e soprattutto nella sognante “Spectral Woman”) , arriva “DIVIDING OPINIONS”. A smentire ogni presagio e previsione alimentati da un tam-tam tra blog e webzine di rara portata e, cosa più importante, a confermare la vena creativa di una delle band di punta del panorama italico. Perché dischi così in Italia non se ne sentivano da un pezzo.
E’ un disco dal respiro definitivamente internazionale questo della formazione reggiana, al di là delle illustri collaborazioni che costituiscono un valore aggiunto più che un salvagente, come solitamente accade. Su tutte quella del vate Glen Johnson, voce e mente degli ineffabili Piano Magic che rende struggente la liquida e notturna “Self help”, il brano più riuscito. Il tedesco Apparat, esponente di punta della scena elettronica berlinese e collaboratore, tra le altre cose, di Ellen Allien, contribuisce, invece, alla leggiadra “Cold perfection” che da un riff vagamente Radiohead sfocia in un ritornello di fulgida e gelida bellezza e in distorti loop da 65DaysOfStatic. E ancora spazio a Cyne nella vellutata “Clearvoyance”, unica vera ballata della raccolta. Mentre, restando in Italia, Jonathan Clancy dei Settlefish interpreta (le voci non erano mai state così centrali) l’introduttiva “Dividing opinions”, una sorta di incredibile punto di raccordo tra melodie pop alla REM e stranianti distorsioni shoegaze. Dicevamo che non bastano le collaborazioni a spiegare il valore dell’album. Jukka Reverberi e Corrado Nuccini, che si sono presi la responsabilità di curare le parti vocali dopo la dipartita di Raina, dimostrano, una volta per tutte, di essere due punti di riferimento della scena indie-rock italiano. Anche grazie alla coraggiosa scelta di sganciarsi da quel sound che rendeva inconfondibile la band di Cavriago (il paese citato dagli Offlaga Disco Pax che ha ancora Lenin come sindaco onorario). Più shoegaze, come già si avvertiva nell’avvolgente “Broken by” (ponte tra Slowdive e Piano Magic) già presente nel suddetto Ep, che post-rock vero e proprio. Quest’ultimo compare, non a caso, nell’unico pezzo strumentale, “July’s stripes” che, non a caso, ricorda vagamente le intuizioni dei Godspeed You! Black Emperor. Inizio sommesso ma inquieto, tetro crescendo, con tanto di perfido violino e perverso tripudio finale di feedback. E, in parte nel tributo in chiave-Mogwai ai Sonic Youth più “puliti” e meno dissonanti di “Washing machine” e “Murray Street”, nella composizione più lunga delle nove, la conclusiva “Petit treason”. Le uniche concessioni al passato di questi GDM proiettati più che mai verso nuove sonorità e nuovi scenari.
Si astengano i nostalgici.
Questa non è proprio roba per voi.

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