Massimo Zamboni è lo storico chitarrista dei CCCP – Fedeli alla Linea e dei CSI, è quasi superfluo ricordarlo. L’estinzione di un colloquio amoroso è il suo terzo album da solista, ma gli si addice molto di più l’etichetta di cantautore. L’album è composto da 5 brani, da lui definiti “radiografie” per sottolineare l’intimismo espresso, e da un libro di 11 poesie, che nel leggerle accostate ai testi suonano un po’ come degli arpeggi di chitarra a introdurre la musica.
La prima cosa che colpisce di Zamboni è il cantato, quasi un urlo soffocato. Utilizza sapientemente una voce non tecnicamente perfetta, in maniera significante, come uno strumento aggiunto. Zero per tutto fa zero, scrive in una sua poesia, non si può creare dal nulla quello che non c’è. Per quanto riguarda la musica, è per lo più acustica, teatrale, anche se a volte può sembrare che Giorgio Canali si sia infilato di nascosto nel mix, imbracciando la sua chitarra elettrica. La musica dell’album è portatrice di atmosfere e pensieri, che fa quasi rima con le parole, non è una semplice base su cui si appoggia il cantato.
L’estinzione di un colloquio amoroso mi dà l’idea di una gita solitaria in barca a vela, che ondula, dà l’idea di uno scavo interiore che solo la solitudine e l’intelligenza posso creare. Veramente un bel lavoro.