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The National – High Violet

2010 - 4AD
alternative/indie/rock

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Tracklist

1.Terrible Love
2. Sorrow
3. Anyone’s Ghost
4. Little Faith
5. Afraid Of Anyone
6. Bloodbuzz Ohio
7. Lemonworld
8. Runaway
9. Conversation 16
10. England
11. Vanderlyle Crybaby Geeks

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Partendo dal presupposto che il sottoscritto reputa il precedente lavoro dei newyorkesi National (Boxer) una perla rara della musica contemporanea, un album che sfiorava il capolavoro e un album che fa sempre piacere ascoltare in ogni situazione, risulterà comprensibile capire le perplessità e i timori che circolavano nella mia testa durante gli interminabili secondi di pre ascolto del loro nuovo lavoro: High Violet.

Non penso che avrei mai perdonato la band in caso di fallimento o di un disco mediocre.

Per fortuna il nuovo figlio di Matt Berninger e soci non lo è.

High Violet è il naturale proseguimento di quel sound che si era imparato ad amare nell’LP precedente, è la conseguenza più spontanea a quelle venature eleganti e raffinate che connotavano l’oscuro (per molti versi) Boxer. Ma High Violet è anche qualcosa di completamente diverso: adesso i National puntano all’immediato, si liberano delle canzoni cervellotiche e fin troppo riflessive per puntare dritto al cuore dell’ascoltatore.

Tutto mira, infatti, ad un accrescimento dei moti dello spirito, a far sentir bene e a commuovere con immagini che si colorano di arrangiamenti d’archi tutt’altro che accademici e cori che richiamano a una certa tradizione gospel di inizi 1900.

L’immediatezza della sensibilità è il fine di tutto il lavoro svolto finora. L’ orchestralità di questo nuovo prodotto, che in tutto si distacca dalle composizioni minimali e cerebrali del passato, si costruisce tuttavia su quelle caratteristiche proprie dei National che (per fortuna) sono le stesse da alcuni anni a questa parte e che hanno sorretto la band fino ad un successo, forse inaspettato, ma comunque meritato.

Una fra tutte la voce di mr. Berninger: baritonale, malinconica e triste dove la situazione lo richiede (Vanderlyle Crybaby Geeks), ma che si incastra alla perfezione anche nei pezzi più freschi e spontanei dell’album (Terrible Love). La batteria che sorreggeva il loro intimismo in passato perde il suo ruolo di protagonista per assumerne uno di sfondo, ma comunque sempre presente, un background ritmico che incanta ogni volta: fatto di accenti in punti precisi e tempi timidi, senza i quali l’intera melodia sonora crollerebbe.

L’influsso degli ospiti illustri si sente un po’ ovunque: dal maestro Sufjan Stevens che apporta quella venatura operistica e strumentale affascinante tipica dei suoi lavori a Marla Hanson già presente in Boxer (senza contare i cammei di Richard Reed Parry degli Arcade Fire)

Un album di pop nobile, di aristocratico underground, in cui ogni elemento sembra incastrarsi come  i pezzi di un bellissimo caleidoscopio musicale all’interno dell’armonia generale, raggiunta grazie ad episodi di fingerpicking (Runaway) e alla complicità di un tema comune facilmente riconoscibile sia nei suoi momenti di dolore (Sorrow) che in quelli di ossessione (Anyone’s Ghost): l’amore.

Un amore con la a maiuscola, di colore viola intenso che la band originaria di Cincinnati cerca di trasmettere al pubblico in tutte le sue sfaccettature, con rinnovato e incredibile successo.

Impossibile dunque non perdersi nei National e in quel loro modo sensibile e raffinato di trattare la materia musicale e le emozioni che essa riesce a suscitare.

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