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Jack White – Blunderbuss

2012 - Third Men/Xl Recordings
rock/alternative/blues

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Tracklist

1. Missing Pieces
2. Sixteen Saltines
3. Freedom At 21
4. Love Interruption
5. Blunderbuss
6. Hypocritical Kiss
7. Weep Themselves To Sleep
8. I'm Shakin'
9. Trash Tongue Talker
10. Hip (Eponymous) Poor Boy
11. I Guess I Should Go To Sleep
12. On And On And On
13. Take Me With You When You Go

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Jack White l’ultimo alfiere del rock’ n roll.  Jack l’ex metà (abbondante) dei White Stripes. John Anthony Gillis l’anima blues di numerosi progetti paralleli. Esauriti i più abusati cliché su mr. White, parliamo di Blunderbuss, scoppiettante esordio, già dal titolo, del chitarrista di Detroit. Prodotto dalla sua Third Man Records, con l’ausilio della fida XL e del gigante Columbia, perché Jack, oltre ad avere uno sfacciato talento, è una miniera di quattrini, da bravo uomo marketing qual è, incarnando perfettamente il mellifluo concetto di “imprenditore di se stesso”. Lui lo è, ma è anche maledettamente bravo. Lo stesso poliedrico artista americano ha ammesso che Blunderbuss non sarebbe potuto uscire sotto qualsivoglia altro moniker. Ascoltandolo non resta che dargli ragione. In dodici tracce si sente tutto lo scibile della sua fortunata carriera, in un disco che inizia ricordando il passato meno recente dei White Stripes (quelli di DeStijl e White Blood Cells) fino a sconfinare verso gli altri territori prediletti. Rock, blues, country e tanto Jack. Il fil rouge che unisce Blunderbuss, infatti, è proprio White stesso. L’uomo che voleva vivere nel passato ma, per sua fortuna, vive nel presente, incarnando magistralmente quel mood retrò senza il rischio di perdersi tra gli infiniti talenti di quell’epoca d’oro.

 Il lupo cambia il pelo ma non perde il vizio e Jack, al solito, compone, produce e suona un po’ di tutto, circondandosi, al solito, di donne. Da Brooke Waggoner, cui lascia l’onere del pianoforte solista, alla splendida (e brava, lei si) batterista Carla Aazar, fino all’affascinante polistrumentista Olivia Jean. E molti ospiti, come Jack Lawrence e Patrick Keeler dei Raconteurs. “Mission Pieces” apre con grazia il disco a suon di piano rodhes e melodia ricordando il citato White Blood Cells. “Sixteen Saltines” è una bomba esplosiva a-là Blue Orchid, intrisa di falsetto, ritmo e distorsioni, in perfetto stile Detroit (Electric Six docet). Il trittico “Freedom at 21”, “Love Interruption”, malinconico duetto folk con la ghanese Ruby Amanfu, e la morbida “Blunderbuss”, bucolica ballata alla maniera di Neil Young, chiude positivamente la prima parte della piece, quella più tipicamente White Stripes. La meravigliosa “Hypocritical Kiss” e l’ossessiva “Weep Themselves to Sleep”, con i loro suggestivi intrecci chitarra e pianoforte rappresentano il momento monstre dell’opera. Cambio di rotta, meno convincente, con il rock ‘n roll più classico  di “I’m Shakin”, cover di Rudy Toombs, e “Trash Tongue Talker”, mentre “Hip (Eponymous) Poor Boy” travolge con la sua verve irresistibilmente cantilenante. In chiusura il country “On And On And On” e la godibile divagazione riflessiva “Take Me With You When You Go”.

Blunderbuss è ben arrangiato e minuziosamente curato nei suoni. Un disco godibile,  dominato dal pianoforte e dai classici giri armonici di White, ma non è certamente una bestemmia affermare che per l’atteso esordio solista del menestrello del rock (ecco, ci sono cascato anche io) ci si potesse aspettare qualche fuoco d’artificio in più. L’uomo che ha creato il sound e l’immagine dei White Stripes, che ha stupito con il garage psichedelico dei Dead Weather, che insieme a Brendan Benson ha generato i magnifici country-blues Raconteurs, stavolta si è “limitato” a fare il Jack White. Ma forse era esattamente quello che voleva l’uomo del Michigan, e per l’ennesima volta ha dimostrato di farlo dannatamente bene e con la consueta classe.

[youtube]http://www.youtube.com/watch?v=iErNRBTPbEc[/youtube]

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