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The Afghan Whigs – Do The Beast

2014 - Sub Pop
rock/alternative/grunge

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Tracklist

1. Parked Outside
2. Matamoros
3. It Kills
4. Algiers
5. Lost in the Woods
6. The Lottery
7. Can Rova
8. Royal Cream
9. I Am Fire
10. These Sticks

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Primi di aprile del 2005, Estragon, Bologna, concerto Afterhours: energia, sudore, i muscoli e la teatralità di Agnelli. Un bel live, non c’è che dire. Poi però all’improvviso appare un ometto ciuffo dotato, pancetta del fantasista, whisky e paglia d’ordinanza, si mette al piano e porta il live ad un piano decisamente superiore.

Quell’uomo era Mr. Greg Dulli, ossia il cervello ed il cuore degli Afghan Whigs. Gli altri componenti della band per il sottoscritto sono sempre stati Tizio alla chitarra, Caio al basso e Sempronio alla batteria. La differenza l’ha sempre fatta lui, con il suo essere costantemente sopra le righe, ma in una maniera del tutto spontanea, istintiva e non rotocalco – oriented, cosa che ha valorizzato ancora di più il talento e la musica di Greg, intrisi di emotività, passionalità ed irrazionalità.
E questo nuovo lavoro, atteso per ben 16 anni, non fa altro che certificare questo fatto, con Dulli leader e fuoriclasse assoluto, in uno stato di forma vocale assolutamente sorprendente e che gli permette dei cambi di tonalità assolutamente fantastici ed in grado di valorizzare qualsiasi nota gli passi accanto.
“Do to the beast” è dunque un bel disco, non sensazionale sia chiaro, ma assolutamente convincente e questo sia quando i ritmi sono (sorprendentemente) alti, come con l’apertura hard rock di “Parked outside” o con il groove stonesiano di “Royal cream”, sia quando si rallenta e si scivola nella ballad tipica afgana, vedi in particolare “Algiers”. In mezzo a questi estremi, anche se ultima nella track list, “These Sticks”, pezzo meraviglioso da ascoltare in loop fino al crollo del condotto uditivo.
Il sound appare rinfrescato ed aggiornato alle ultime tendenze, senza esagerare con il make up ed i ritocchi anche se per la verità quelle sporadiche sfumature elettroniche presenti si potevano evitare, così come pure una pulizia sonora troppo marcata e che fa rimpiangere quella leggera patina di polvere, quel fruscio vinilico e quelle imperfezioni che davano ancora più vita e personalità alle composizioni afgane.

Però è un disco che gira benone e che pur non toccando i picchi di “Gentlemen”, a questo punto temo irripetibili, ha il pregio di riproporre una formazione viva & vegeta, sufficientemente ispirata e che nel contesto attuale può fungere da vero e proprio riferimento, reale e contemporaneo, per tutti quelli che vogliono fare e/o sentire musica con la M maiuscola.

[youtube]https://www.youtube.com/watch?v=ovhzeqIaggY[/youtube]

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