“E guardo il mondo da un oblò mi annoio un pò passo le notti a camminare dentro un metrò sembro uscito da un romanzo giallo ma cambierò, si cambierò”. (cit. A CAZZO)
Se non sai osservare, se non sai ampliare le tue visioni, sono cazzi tuoi, povero coglione! Cammina, cammina pure senza voltarti indietro e levati dalle palle che noi in Italia abbiamo Nicola Sambo, musicalmente parlando un alieno alienato che dal suo oblò racconta strane storie e visioni e per chissà quale motivo suona cantautorale pur non essendo tale – per lo meno in questo caso con testi scritti da Lucio Tirinnanzi – ma anche pop, rock, psichedelico, prog, electro, a volte Battiato, altre Bluvertigo, altre ancora Timoria prima maniera, Lele Battista e tanto altro ancora.
Il livornese dà la netta sensazione di essere sempre stato un onnivoro musicale, di quelli che si nutrono costantemente di tutto e di più e che quindi quando defecano producono prodotti dalle mille sfumature e dai mille odori.
La (fine) metafora è azzardata e borderline, dunque merita una precisazione netta e chiara: le tredici tracce di “Argonauta” non sono affatto merda, tutt’altro! Rappresentano alla perfezione tutto ciò che è passato attraverso il condotto uditivo di Sambo e che ora, dopo parecchio lavoro e tre anni di attesa dall’ultima bi-uscita, diventa musica vera, diversa da tutto quello che si ascolta ogni giorno, schizofrenicamente varia, strafatta di sonorità e parole, impegnative, mai banali e che inizialmente paiono portarti da una parte ma poi improvvisamente cambiano direzione, velocità, paesaggio.
Non è un disco facile. Occorre tempo per capirlo, metabolizzarlo, farlo proprio, amarlo. Che poi le cose più difficili da raggiungere e comprendere sono quelle che danno più soddisfazione e gusto.
O no?!?
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