Tanti rimandi alla musica italiana (al di là di MDMA – meglio di Maria Antonietta), nella distesa musicale e negli stili. Richiami che rimangono sempre e comunque poco esplicitati, si formano nella mente di chi ascolta e svaniscono tre strofe dopo, per l’impalpabilità che sottende l’esordio sulla distanza degli Imprese FAG.
Una base rock, noise e new wave, un sottofondo dark che prende musica e testi, strumenti ruvidi ma curati che senza mezzi termini scattano da una parte all’altra in continuazione. Un basso da menzione d’onore che trasuda atmosfera mentre la chitarra si occupa di dirigere la melodia (quando c’è, quest’ultima).
Qualche eccezione si trova, Confessioni di John Lennon è un po’ più ritmata e scomposta, Tuo figlio in fabbrica salta nella sperimentazione senza regola. Per il resto rimangono pressati nel loro clima cupo, senza mancare di ecletticità, saltellando su un background vastissimo che toccano con le punte.
Bisognerebbe concretizzare leggermente di più la scelta, l’ascoltatore si sente tenuto a distanza dal cozzare di certi particolari (tanti tentativi di imporre una melodia, soprattutto vocali, che stridono accostati con la ruvidità del suonato, per esempio) ma sono solo piccolezze: un ottimo lavoro, e se è vero che da qui si parte per evolversi è vero anche che una base così ben costruita non è facile da trovare.
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