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Soul Food

Soul Food #2: La musica totale di Stephen Bruner a.k.a. THUNDERCAT

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Avete presente quella sensazione di leggero languore latente che vi sorprende nel bel mezzo del cammin di vostra vita? Quel piccolo vuoto allo stomaco che vi costringe ad alzare le chiappe dalle vostre sedie, che spezza la concentrazione faticosamente
mantenuta sul vostro lavoro o sul libro che tentate di studiare, cercando di ignorare il sole che splende fuori dalla finestra mentre il vento spettina le chiome degli alberi e la primavera infiamma i corpi giovani e sodi dei ragazzi e delle ragazze che si immergono nei suoi aromi. Quella leggera fame che vi porta speranzosi verso il frigorifero, che vi fa compiere tre quattro cinque giri della cucina in cerca di quella cosa in grado di soddisfarla ma che sembra non esserci mai quando ce n’è bisogno. Quel languorino che vi porta a mangiare prima un cioccolatino – magari un piccolo ovetto di Pasqua avanzato dal sacco da due chili che vostra madre o vostra nonna o vostra moglie ha comprato dal droghiere o al supermercato – poi un pezzetto di quella torta che ha portato il vostro amico l’altro giorno, poi perché no anche un kiwi o un gambo di sedano, ché si sa frutta e verdura fanno bene e poi certe cose danno proprio soddisfazione. Insomma, va a finire che nel giro di quindici minuti quello che era solo un leggero languore vi ha portato a spiluccare senza criterio tutto quello che di commestibile siete riusciti a trovare in cucina, tanto che alla fine vi fate un po’ schifo da soli mentre ve ne tornate verso la vostra scrivania con lo stomaco pieno eppure ancora insoddisfatti, in preda a quella fame latente rimasta insaziata, chiedendovi come sia possibile mangiare e non sentirsi comunque sazi. Fare uno spuntino a un certo momento della giornata è importante, ma non di solo cibo vive l’uomo e il corpo non è l’unica cosa ad aver bisogno di nutrimento costante. Anche l’anima vuole la sua parte e di cosa si nutre se non di arte e cultura? Fra le pagine di questa rubrica potrete trovare quel che serve per dare sollievo a quel piccolo e impertinente languore che vi tortura nei momenti meno opportuni. Gli artisti: la loro vita e la loro musica. Il modo in cui la prima ha influenzato la seconda e viceversa. Musica e letteratura per saziare la vostra fame di Spirito. Soul food.

Soul Food #2 – La musica totale di Stephen Bruner a.k.a. Thundercat

A cura di Filippo Mattioli.

Cos’hanno in comune fra di loro copricapi piumati da indiano Cheyenne, i Suicidal Tendencies e dei gatti guerrieri antropomorfi? Apparentemente nulla, ma in verità un denominatore comune esiste ed è fatto di carne, ossa e afro: Stephen Bruner a.k.a. Thundercat.

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Nato nell’ottobre 1984 nella Contea di Los Angeles, figlio del rinomato batterista jazz Ronald Bruner Sr. (Diana Ross, The Temptations, Gladys Knight) e fratello dell’altrettanto conosciuto Ronald Bruner Jr. – acclamato giovane talento della batteria jazz, vincitore di un Grammy Award nel 2011 e collaboratore di artisti come Wayne Shorter, Diane Reeves e Ron Carter – nonché fratello di Jameel Bruner tastierista della band losangelina The Internet (per chi non dovesse conoscerli consiglio di vedere/ascoltare il live @ NPR Music Tiny Desk Concert), Stephen Bruner cresce a pane e musica in una famiglia senza dubbio fuori dall’ordinario, distinguendosi in particolare per due peculiarità: essere un bassista e un produttore musicale dotato di tecnica e consapevolezza fenomenali e avere una passione smodata per gli anime giapponesi e i videogiochi, tanto da confezionarsi da solo gran parte dei vestiti e dei costumi a questi ispirati che indossa spesso e volentieri per i suoi live set, con una predilezione per il cartone animato “Thundercat”, in cui dei gatti guerrieri umanoidi combattono il malvagio stregone Mumm-Ra, il cui scopo è ottenere il dominio dell’Universo. Dunque, non ci troviamo davanti a un fenomeno da baraccone che si veste in modo vistoso per attirare l’attenzione su di sé e magari compensare in questo modo un qualche tipo di carenza dal punto di vista musicale, al contrario, questo suo modo di presentarsi non è altro che l’esternazione di una delle tante sfaccettature del genio creativo che scalpita dentro di lui e una manifestazione del suo spirito libero, nel senso di non incatenato a determinate convenzioni sociali e musicali.

Il nostro Stephen inizia presumibilmente a suonare il basso elettrico in giovane età, tanto che a soli quindici anni si dice abbia inciso una hit di successo con il gruppo tedesco (boy band) dei No Curfew, sul quale non è stato possibile reperire notizie più precise. Intorno al diciottesimo anno di età, nel primo biennio del duemila – le fonti non concordano sulla data precisa – Stephen entra a far parte della storica band punk-crossover-metal-e-chi-più-ne-ha-più-ne-metta Suicidal Tendencies insieme al fratello Ronald, in sostituzione rispettivamente del bassista Josh Paul e del batterista Brooks Wackerman (che avevano abbandonato il gruppo causandone il secondo scioglimento). La collaborazione con i S.T. durerà fino al 2013 anche se segnata dalla discontinuità. A questo periodo corrispondono tre album della band “Year Of The Cycos” (2008, una compilation in cui il cantante Mike Muir esegue brani suonati da S.T., Infectious Groove, Cyco Miko e i No Mercy), “No Mercy Fool!/The Suicidal Family” (2010), “13” (2013, che nonostante il nome è l’undicesimo brano della band). In tutti questi anni Stephen “Thundercat” Bruner ha conosciuto e collaborato con praticamente tutti gli esponenti della black music d’avanguardia: Flying Lotus (nipote di Alice e John Coltrane, produttore e musicista elettronico nonché proprietario dell’etichetta Brainfeeder che pubblica sia i propri lavori che quelli di Thundercat come di molti altri artisti), Sa-Ra Creative Partners, Erykah Badu, Kimbra, Bilal, Kendrick Lamar (con il quale ha collaborato alla realizzazione dell’acclamato album “To Pimp A Butterfly”), Kamasi Washington, Childish Gambino, Kirk Knight, Taylor McFerrin, Keziah Jones, Cameron Graves, Infectious Grooves e Snoop Dogg (con il quale è stato in tour per diversi anni).

Stephen "Thundercat" Bruner

Nel 2004, quando ancora era conosciuto semplicemente come Stephen Bruner, fonda il quartetto Young Jazz Giants insieme al fratello Ron, Kamasi Washington e Cameron Graves, con i quali pubblica un album omonimo di otto tracce che si conclude con una versione di dodici minuti e rotti di “Giant Steps”. Il disco sembra quasi un passaggio di testimone fra la vecchia guardia jazz e le nuove speranze della black music. In proposito, non è un caso che la traccia di apertura dell’esordio solista di Kamasi Washington (anche questo pubblicato dalla Brainfeeder) sia intitolata “Change Of The Guard”, ma questa è un’altra storia che avremo occasione di raccontare in futuro. Intorno al 2008, Stephen inizia a frequentare l’ambiente della Brainfeeder, l’etichetta fondata dal produttore e musicista elettronico Flying Lotus (a.k.a. Steven Ellison), con il quale stringe una solida amicizia e un ottimo rapporto artistico, tanto da arrivare a considerarsi come anime gemelle musicali. Proprio in questo periodo, conosce i membri dei Sa-Ra Creative Partners, gruppo musicale con base a L.A. che ha all’attivo due album nei quali Stephen ha partecipato suonando in alcune tracce. Sarà proprio Shafiq Husayn, produttore e membro dei Sa-Ra, a coniare il soprannome “Thundercat”, presentando Stephen a Erykah Badu che in quel periodo stava lavorando alle registrazioni dei suoi due album “New Amerykah – Part One (4th World War)” e “New Amerykah – Part Two (Return Of The Ankh)” e che sceglierà Thundercat per l’incisione di alcune tracce di questi dischi nonché come componente della band che l’avrebbe accompagnata in tour.

Nel 2011, S. Bruner pubblica il suo primo album solista sotto lo pseudonimo di Thundercat, “The Golden Age Of Apocalypse”. Prodotto da FlyLo e pubblicato dalla Brainfeeder, il disco fonde musica elettronica e jazz e getta le basi per quella che si rivelerà essere la “pronuncia” o il “timbro” che contraddistingue le produzioni musicali di Thundercat. Nel 2013, pubblica il suo secondo album solista “Apocalypse”, anche questo con la collaborazione di FlyLo, il quale produce il disco e scrive insieme a Thundercat alcuni delle canzoni che ne fanno parte. La componente elettronica è ancora molto importante ed emblematici sono la canzone “Tron Song” e il relativo videoclip, del quale è caldamente consigliata la visione a tutti gli amanti del trash sostanzialmente fine a sé stesso. La traccia conclusiva del disco “A Message For Austin / Praise The Lord / Enter The Void” è dedicata al suo grande amico e collega musicista Austin Peralta, tragicamente scomparso a causa di una polmonite nel novembre del 2012. Una perdita che ha segnato profondamente tutta la famiglia della Brainfeeder e in particolare Stephen, che con Austin aveva stretto un’amicizia molto profonda. Nel 2015, Thundercat pubblica un EP di sei tracce intitolato “The Beyond / Where Giants Roam”, anche questo prodotto in collaborazione con FlyLo, con la partecipazione di Herbie Hancock nella traccia numero quattro e di Kamasi Washington nella numero tre. Il disco raggiunge la posizione numero 24 della classifica dei 50 migliori album del 2015 secondo Pitchfork. Lo stile compositivo e vocale onirico di Thundercat è costante in tutta la sua produzione solista e – rispetto agli esordi – il sound scaturito dalla collaborazione con FlyLo si è raffinato con il passare del tempo, perdendo parte delle sonorità marcatamente elettroniche del primo album in favore di una pasta sonora più morbida ed equilibrata. Nel 2016 è prevista la pubblicazione di un nuovo lavoro solista che conterà su FlyLo come collaboratore principale.

Thundercat

Sta accadendo qualcosa nell’ambito della musica nera di Los Angeles in questi anni e forse ancora non abbiamo tutti gli elementi per definire con cognizione di causa di che cosa si tratta. Quando guardiamo a Thundercat e alla famiglia allargata di musicisti e collaboratori di cui fa parte non si può fare a meno di pensare di essere spettatori di una svolta importante della black music americana, di assistere alla fondazione di quello che potrebbe essere qualcosa di più di una semplice commistione fra generi musicali affini eppure distinti, una reviviscenza di quello spirito di collaborazione e condivisione che ha caratterizzato la musica fusion degli anni ’70 del novecento. Questi artisti dimostrano di essere in grado di amalgamare con un alto grado di consapevolezza soul, R&B, jazz, rap, elettronica e hip hop in una musica per la quale non sembrano esistere etichette in grado di dare una definizione precisa e puntuale in poche significative parole. Viene in mente la locuzione “musica totale” che, seppure imprecisa, identifica un contesto in cui i confini di genere diventano sfocati e lentamente si sfaldano in nome di una concezione olistica della musica, che trascende le artificiose categorie imposte dall’uomo nel suo tanto disperato quanto costante tentativo di razionalizzazione, per affermare il carattere universale della più alta di tutte le arti.

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