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Interviste

Intervista a IL VUOTO ELETTRICO

Lo scorso marzo Il Vuoto Elettrico è tornato in scena con il nuovo album Traum (qui la nostra recensione), uscito su Dreamingorilla / I Dischi Del Minollo / La Stalla Domestica e prodotto da Xabier Iriondo. Abbiamo deciso di scambiare quattro chiacchiere con la band per capirne di più sul processo creativo che ha portato alla stesura del nuovo album e sui loro progetti attuali e futuri.

Traum è stato accolto molto bene dalla critica, che mi è sembrata unanime nel recensirlo positivamente. Immagino siate soddisfatti dei primi mesi di vita della vostra creatura.
Soddisfazioni? Se paragonati al carico di responsabilità e fatiche che ci siamo sorbiti, direi che siamo ancora distanti dall’ottenere una compensazione… scherzi a parte, siamo contenti di come sia stato accolto Traum. Tutta la carta stampata ha recensito il disco (e questo è già un segnale forte) mentre sono tantissime le webzine che hanno affrontato l’ardua prova di ascoltare il disco pubblicando poi una recensione. Parliamo quindi di una quarantina di pareri più o meno illustri. Solo uno di questi è risultato critico nei confronti di Traum, quindi possiamo dire che sotto questo punto di vista le cose sono andate molto bene, anche sopra le aspettative.

Rispetto al precedente, Virale, stavolta vi siete avvalsi della collaborazione di Iriondo. Come è stato lavorare con un pezzo di storia del rock italiano?
Xabier è una persona molto tranquilla. In studio ha buttato qualche volta “acqua sul fuoco” mentre in altre circostanze al contrario ha alzato il livello di adrenalina spingendoci per esempio a modificare in maniera radicale gli arrangiamenti proprio nel momento stesso in cui stavamo procedendo alle riprese. Ha un approccio istintivo verso la materia musicale, è guidato dall’intuito e dalla spontaneità che derivano dalla sua grande esperienza. Allo stesso modo è in grado di “inquadrare” il progetto come pochi. Capisce chi sei e qual è la tua strada. E ti porta a centrare l’obiettivo nella maniera più lineare possibile, facendoti evitare trabocchetti e strade tortuose.

Il Vuoto Elettrico è un evidente omaggio ai Six Minute War Madness, così come le vostre sonorità affondano le radici negli anni ’90, hardcore, noise, stoner, post-rock…purtroppo a me pare di notare che le nuove leve di ascoltatori non si riconosca più nella rabbia, la potenza, i chitarroni, i concerti dai quali si torna a casa con i lividi (scusate la semplificazione). Ho la percezione che il seguito del rock duro stia invecchiando sempre di più, e che manchi un ricambio generazionale. Da chi è composto il pubblico de Il Vuoto Elettrico? Confermate questa mia paura di una mancanza generale di giovanissimi, oppure (come spero) la smentite? Il pubblico che segue la musica rock è sempre di meno. Chi lo seguiva in questo momento ha moglie e figli e ai concerti non ci va più. Al massimo rimpiange quando ci andava, magari alza il culo dal divano due volte all’anno per qualche reunion nostalgica o per qualche evento celebrativo. Ho l’impressione che questo tipo di pubblico abbia tradito quello che stava alla base del movimento culturale musicale di vent’anni fa. Ha ridotto quel fenomeno – rilevante anche a livello sociale – a semplice “passatempo giovanile dei bei tempi andati”. Mi sento di stendere un velo pietoso su tutto questo. Lo accomuno al percorso dei ventenni di oggi che vanno a vedere il concerto per bersi la birretta, ballare musica di merda e condividere il proprio cervello plastificato. Sono due facce della stessa medaglia… per me non c’è differenza. Anzi, una differenza la trovo: per la prima nutro risentimento, sulla seconda solo un po’ di compassione mista a tenerezza. Detto questo bisogna fare il conto di quelli che rimangono fuori da queste due categorie, per poi accorgersi che alla fine chi rimane è un manipolo di irriducibili, probabilmente un po’ “flippati”.
Ci rivolgiamo a questi, in fondo.

Da un po’ fortunatamente non si sente più portare avanti la teoria che la lingua italiana non sarebbe adatta a una musica massiccia e spigolosa, poiché troppo rotonda. In ogni caso, credo che ascoltando “Corridoio_41” e quelle due sillabe martellanti – scap/pa, scap/pa – anche gli anglofoni più convinti si ricrederebbero. È veramente difficile scrivere testi in italiano per un genere come il vostro? Per noi è sempre stata la cosa più naturale del mondo. Non trovo ci sia altra strada se non esprimersi nella lingua che conosciamo meglio, per esprimere nel migliore dei modi (senza equivoci e ingenuità) i concetti che riteniamo opportuno veicolare. Forse utilizzando l’italiano c’è la necessità di utilizzare dei meccanismi di incastro della metrica un po’ più complessi ma il gioco vale la candela, anche perché si tratta di un processo a volte davvero stimolante. Personalmente utilizzo diverse stesure di un testo: la prima solitamente deriva da un’improvvisazione vocale fatta in sala prove, la seconda è un successivo sviluppo ed è mediata dai concetti che mi interessa portare avanti. La terza è la riproposizione della seconda con degli interventi correttivi proprio in funzione della musicalità degli incastri.

Rimanendo sui testi, mi colpisce molto l’utilizzo della seconda persona singolare, sia in Virale che in Traum, il frequente riferirsi a un “tu”. In un panorama musicale dominato dall’io, dall’autoreferenzialità, dai sorrisetti compiacenti, voi sembrate parlare in faccia all’ascoltatore. Anzi, gli urlate in faccia. Come a volerlo prendere e tirare dentro alle vostre canzoni, per fargli vivere le atmosfere claustrofobiche e sentire addosso le palpitazioni. O, almeno, su di me avete questo effetto. È ciò che cercate? 
Cerchiamo di ottenere attenzione, se le persone si sentono interrogate è più probabile che siano coinvolte e si interroghino sul significato delle parole che stanno ascoltando. Ci sono anche parecchie domande, interrogativi a cui chiediamo implicitamente di rispondere. Abbiamo la nostra versione dei fatti ma ci interessa che “gli altri” si facciano le giuste domande (a quelle pensiamo noi) ma soprattutto si diano delle risposte (in questo caso è assolutamente indifferente che coincidano con le nostre). Forse siamo troppo cerebrali, anche dal vivo sentiamo di comunicare tanto. Qualcuno ci dice che una parte del pubblico ha un po’ timore di affrontare un’espressione artistica dai toni così “emotivamente intensi”. Mettersi alla prova non è mai facile, siamo d’accordo.

La copertina di Traum ricorda la locandina di un film, un thriller psicologico, una casa nella quale si rimane intrappolati, così come il ritmo ossessivo delle canzoni. È un universo che in qualche modo vi appartiene, quello della letteratura/cinematografia thriller? 
Decisamente. La letteratura Pulp, i libri dei “cannibali” (Ammaniti, Brizzi…), il movimento Avantpop statunitense, Palahniuk, D.F. Wallace, le tele di Dalì, la cinepresa di Martin Scorsese e quella di David Fincher. Le biografie di Renato Vallanzasca e Mario Moretti. Sigmund Freud e la sua “interpretazione dei sogni”. I disturbi di personalità, gli studi di balistica e le tecniche di privazione sensoriale attuate durante gli interrogatori, la strategia della tensione degli anni ’70. Frullate tutto, se vi pare. Magari qualcosa salta fuori…

Una chiusura su Il Vuoto Elettrico dal vivo: cosa dobbiamo aspettarci da Traum portato sul palco?
Maggiore impatto sonoro, maggiore coinvolgimento emotivo. Il disco portato all’eccesso, elevato alla potenza. La simulazione di una seduta psicoanalitica tra noi e il pubblico. Come se ogni concerto fosse l’ultimo prima di smettere per sempre di suonare.

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