Freddie è un reduce della seconda guerra mondiale, frustrato e a un passo dalla pazzia. La sua vita cambierà quando incontrerà Lancaster Dodd; fondatore di una setta che gira assieme alla sua famiglia per tutti gli Stati Uniti. Dodd si spaccia per ‘il maestro’ capace di portare pace e prosperità fra le persone e grazie a questo riesce a pubblicare i propri libri e a tenere numerose conferenze.
Il condizionamento delle menti più fragili, come quella di Freddie, che vengono a essere la facile preda di raffinati imbonitori dotati di idee apparentemente salvifiche quanto nebulose. Pare la realtà, difficile non vedere nelle parole e atteggiamenti di Lancaster Dodd le parole di altrettanti ‘finti maestri’, ma invece siamo di fronte all’ultimo sforzo cinematografico di Paul Thomas Anderson. Questa la breve sintesi di uno dei film più attesi e discussi della stagione ma altrettanto deludente per chi spera di trovare non la redenzione ma una chiara denuncia nei confronti della creazione di sette e culti generati dal nulla. Al contrario troppe le lacune e i dubbi lasciati da parte di un regista che in passato ci aveva abituati a mini capolavori trasversali come Magnolia, Boogie night e Il Petroliere ma che questa volta pur avendo una splendida idea a disposizione, introducendola al meglio; l’intellettuale Lancaster Dodd che riesce a sfruttare le incertezze di una nazione ancora scossa per il recente conflitto, non riesce però a svilupparla adeguatamente, pur ricavando due splendide interpretazioni da Joaquin Phoenix, nel ruolo dell’ex marinaio disadattato Freddie, e da Seymour Hoffman, in quella dell’apparentemente pacato Dodd. Anderson viene quindi inevitabilmente rimandato al prossimo sforzo sperando che in futuro non sprechi una altrettanto ghiotta occasione.
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