Impatto Sonoro
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SKIN – Nonantola (MO), 04/11/06

Della serie, gli Skunk Anansie senza più gli Skunk Anansie dal vivo al Vox Club.

di Luca Lanzoni

Aprono la serata i Green Lizard, giovani olandesi con attitudine al metal che travolgono il pubblico con grinta e pezzi tutto sommato orecchiabili.
Poco dopo le ventidue tocca a Skin, che arriva sul palco saltando e sfoggiando un sorriso che non si chiude per tutto il concerto. Partenza decisa, ma da subito si nota il sound più pompeggiante rispetto al gruppo spalla: chitarre in secondo piano rispetto alla cassa e al basso che spingono la voce in primissimo piano. Insomma il solito suono radiofonico che ad alto volume fa tremare lo stomaco sulle frequenze basse e ammalia con le note alte e pulite del bel cantato. Tutto ben studiato, ci sarei cascato anche io se non ricordassi il concerto degli Skunk Anansie che ho visto. Manca la volontà di far suonare il gruppo, sembra il solito prodotto finto rock con chitarre timide e voce melodiosa che si spinge solo un pochino oltre il malinconico nei pezzi che nel disco sono più tirati e cupi, mentre dal vivo risultano semplicemente una buona base da karaoke.
Sfilano uno dopo l’altro i singoli del precedente album Fleshwounds (2003) e dell’ultimo lavoro Fake Chemical State (2006) che passano sui network radiofonici e sulle tv musicali negli orari diurni (perché di notte scappa anche qualche bel gruppo nel palinsesto), fattore che ha attirato un pubblico dai dodici ai cinquant’anni che riempie il Vox di coppiette intente a sbaciucchiarsi godendo della serenata a diecimila watt, signore che apprezzano le ballate romantiche della cantante, rockettari politically correct che indirizzano corna al cielo senza scomporsi, centinaia di fan truccate e vestite sullo Skin style, impiegati, autisti, magazzinieri che si iniettano in vena dosi massicce di radio ogni giorno, nostalgici che sperano che la vena degli Skunk Anansie rimasta nelle corde vocali della cantante scateni il pogo come una volta, loro come me rimangono delusi. Tristi e deludenti soprattutto gli arrangiamenti delle vecchie e memorabili Charlie Big Potato, Hedonism e I Can Dream, che risultano vuote e scariche.
Skin è eccezionale sul palco, questo va detto, risulta umana e coinvolgente, perfetta vocalmente e piena di energia, una vera rock star dotata di talento, ma quello che dispiace è vederla all’interno di un progetto che è sempre il solito per il leader di una band che si scioglie, cioè il riproporre una versione edulcorata dei fasti passati, perdendo così una piccola parte dei fan precedenti, ma acquistandone di nuovi grazie alla produzione fatta nell’ottica degli almeno tre singoli a disco da promuovere. Un’ora e venti con tanto di pausa e tutto è finito.
Luca Lanzoni

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