I Cocteau Twins ci ricordano che possiamo ancora provare empatia verso noi stessi e verso il prossimo con uno degli album più belli ed emozionanti degli anni Novanta.
Un immaginario che alterna in maniera magistrale le atmosfere e le melodie che vanno a mirare all’inconscio e alla realtà dei sogni. Un lavoro mastodontico che racconta una storia mastodontica
“Vespertine” è uno dei dischi che meglio rappresentano la produzione di un’artista che ha sempre cercato di conciliare la canzone pop con numerose sperimentazioni musicali, in una maniera – duole dirlo – molto più efficace rispetto a diversi tentativi compiuti negli anni più recenti.
“A Rush of Blood to the Head” è un disco che distilla emozioni. Una costante e camaleontica metamorfosi di colore per adattarsi al singolo ascoltatore. Un disco da riascoltare, ad anni di distanza, per apprezzarne ancora sonorità e versi. E scoprire poi che un po’ si incolla alle dita. Agli occhi. Al cuore.
Nonostante band come A Perfect Circle e Paramore avessero portato cover come ‘The Nurse Who Loved Me’ e ‘Another Space Song’, ci penserà successivamente l’avvenimento di Internet a dare una nuova luce ai Failure, facendo recuperare “Fantastic Planet” alle masse, proiettandolo addirittura come terzo miglior album uscito negli anni ’90 definendolo un cult da riscoprire
Ciò che ha sempre contraddistinto gli Agalloch da altre band della scena sta proprio in questo: entrare nell’immaginario collettivo delicatamente, quasi in punta di piedi, lasciando però un segno ben evidente del proprio passaggio
Un carro armato. Una valanga che faceva più casino dei temporali in pianura, pronti a cessare le ostilità dopo uno sfogo di pochi minuti. Diciassette canzoni per altrettanti strappi ed altrettanti modi per descrivere sofferenza, apatia e necessità di ricominciare. Una battaglia sino all’ultimo respiro contro parassiti, ignoranza e volgarità.
“The Artist in the Ambulance” proiettò i Thrice nel mondo del rock alternativo da classifica, il tutto senza snaturare o dimenticare l’anima post-hc che li contraddistingue ancora oggi.
Pennellate pop su tele grunge. “Dirty” è un album ancora capace, dopo oltre trent’anni, di accompagnare l’ascoltatore in un viaggio onirico e psichedelico tra i portali del tempo. Un disco emotivo ed espressivo, destinato a non invecchiare mai.
Se dovessi descrivervi con una parola questo album, come per tutti gli altri dei Melvins oserei dire “disadattato”
“Saucerful” è l’embrione dei nuovi Pink Floyd, il primo passo verso la leggenda conosciuta in tutto il mondo
L’elemento cardine di “Gold Against The Soul” è la personalizzazione dei testi, una caratteristica peculiare di Bradfield e soci, che li rende efficaci come una band punk e al tempo stesso romantici come quattro songwriters. È questo romanticismo che ce li fa amare da 30 anni, ininterrottamente.
La musica deve ergersi, e quella del secondo album dei Deafheaven è un gigante che scintilla e sbuca dalla nebbia, prende il cuore e lo divora ma non lo macella, lo rinnova trasformandolo
Con “Some Girls” i Rolling Stones tornano a sfornare un gran disco, dopo il quartetto di uscite eccezionali tra il 1968 e il 1972 e il successivo lustro di stanca. La band torna a registrare un picco artistico e, malgrado la concorrenza di altri e nuovi generi, registra altresì il massimo picco commerciale.
Se tutti suonavano perfetti, i Metallica volevano e sceglievano scientemente la strada del lo-fi, della lordura finale e di una ferocia brutale e secca. Sembravano voler seppellire per sempre l’epoca da loro stessi creata negli ’80 con un colpo di pala ben assestato
Nonostante tutto, non me la sento di buttare completamente a terra un album come “Let Go”. Un album che rientra nel filone pop-punk dei primi anni duemila ma che, rispetto a suoi predecessori del genere o anche a molti suoi contemporanei, qualcosa da dire ce l’ha
Visto a posteriori, “Speaking In Tongues” è l’inizio della fine. Da lì in poi, abbiamo continuato a seguire i Talking Heads fanaticamente e attentamente, mentre crescevamo, comprando tutti gli album che sfornavano. La verità è che ci siamo divertiti con questo disco all’epoca, come mai ci eravamo divertiti prima con le teste parlanti.
Un capolavoro minore tristemente sottovalutato. Un’eccezionale fusione di stile, dall’indie all’elettronica, passando per l’ambient e le influenze jazz, pur conservando un impulso rock
È facile immaginare la musica dei Calexico come la colonna sonora di un ipotetico viaggio on the road lungo quella linea di frontiera tra il deserto e la polvere dell’Arizona ed il Messico. Nessuno come la band di Tucson ha saputo rendere meglio le tipiche sonorità di quelle terre di confine molto differenti tra loro, seppur contigue.
Avvalendosi della sola sezione ritmica, 10 anni fa diedero alle stampe un disco anomalo, nato senza genitori e rimasto senza eredi. Anticiparono la crisi dell’indie italico e l’esigenza di esternare il soffocante degrado sociale attraverso una comunicazione violenta e grottesca.