“Queen II” racchiude in sé un concentrato dell’essenza stessa dei Queen, un elisir di lunga vita grazie al quale quest’opera è destinata a resistere all’usura del tempo, in un tributo perpetuo alla grandezza artistica di una band che non morirà mai.
“I Could Live In Hope” è questo. Canzoni semplici, apparentemente semplicissime, minimali, nude, essenziali, velate di una poetica struggente e ricche di una sensibilità delicata, ma allo stesso tempo penetrante.
Quella dei Bark Psychosis è una delle avventure musicali più bizzarre e irrazionali del rock anni ’90: erano difficilmente catalogabili in un genere che non fosse “sperimentale” e di fatto produssero un’esperienza solipsistica con pochi padri e senza eredi.
Questo omonimo album era il disco perfetto dei viaggi in macchina e dello “swag” del weekend, e il cantato old fashioned di Alex Kapranos riporterà in voga le Telecaster e i jeans skinny. Nel 2004 tutto era perfetto.
20 anni fa usciva il terzo disco della band bergamasca, che affermò la sua credibilità attraverso un’opera prodotta e registrata in autonomia
“Dookie” è stato il collante ideale tra punk e pop, uno spartiacque, con la sua clamorosa influenza che ha trascinato alla ribalta anche diversi colleghi coevi, nonché il manifesto di una corrente di revival punk che non ha fatto breccia nel cuore di alcuni (forse molti) puristi, ma che è arrivata a un pubblico molto più vasto
Quello dei Pogues era un sound vivo che poteva nascere e suonare nell’angolo di qualsiasi stanza, non aveva bisogno di palco, poteva svolgersi ovunque e ovunque sarebbe entrato a far parte di te, senza microfoni o qualsiasi amplificazione, la musica funzionava così,nuda.
Ho amato i Blue Öyster Cult per quel feeling invasivo, liquido, denso, notturno e allo stesso tempo fluido che mi rivestiva di una magica patina cerebrale altamente rock, ammaliato dalla costruzione del suono che scivolava tra una moltitudine di pieghe uditive, conscio di ascoltare un formidabile e malvagio unicum.
I giovani comuni di ogni epoca grazie ai Ramones hanno capito che nella vita bisogna osare, che le cose basta desiderarle, e anche che gli eccessi possono fare molto male. Quegli stessi giovani che li prendevano in giro perché non sapevano suonare li resero leggenda nel momento stesso in cui capirono che potevano formare anche loro una band e suonare senza problemi.
“New York” è sinonimo di rock’n roll. Vi dirò di più, nella mia testa o anche ad alta voce, più spesso di quanto sarebbe normale, ribattezzo il disco proprio così: “Rock’n Roll” di Lou Reed, salvo poi correggermi immediatamente e sorridere del mio insistente errore.
“Les voyages de l’âme” è, come lo stesso titolo suggerisce, un bellissimo viaggio dell’anima in un altro mondo e in un altro tempo, un viaggio che vale assolutamente la pena di percorrere.
La linea ferroviaria sull’asse adriatica portò a Bologna i fuorisede in fuga dalla provincia cronica: fu così che nacque una delle band italiane di culto degli anni ’90. Il loro primo disco ha compiuto 30 anni
“Underpop” è una fine che attende un nuovo inizio, una strada che conduce ad una nuova fase e, si sa, intraprendere un nuovo percorso non è facile e nemmeno sbrigativo.
Un male assoluto, rallentato, opprimente, tetro, che non lascia vie di scampo se non, appunto, nelle note che esso suona. Sopravvivere ad un album come “Dopethrone” si può: basta chiudere gli occhi, sdraiarsi a luce spenta e tirarsi fuori dalla realtà
Un debutto a gamba tesa che sfonda la porta del perbenismo di facciata della società inglese. Un lavoro intrinsecamente punk nelle tematiche ma incredibilmente romantico e cupo nei suoi arrangiamenti, un lavoro audace e coraggioso
Un disco imprevedibile che fa toccata e fuga su tanti panorami, che sa essere affascinante anche nelle tematiche e segna l’inizio dell’apice della carriera dei Dillinger Escape Plan
I Die Krupps non suonano come una band, sono una fabbrica in azione che attrae l’ascoltatore che una volta catturato non potrà decidere di finire il proprio turno di lavoro finché le macchine non avranno smesso di muoversi.
I Bauhaus sono stati considerati i padri del genere gotico, capaci di rendere intellettuale, sensuale e architettonico un tipo di musica che, senza la loro influenza, avrebbe potuto perdersi nel tempo a livello tematico.
Il synth-pop coniato da Matt Johnson può essere considerato un passaggio necessario per l’evoluzione verso il britpop negli anni ’90: apparentemente c’è poco, se non nulla nel sound di Suede, Oasis e Blur che possa ricordarci i The The, ma fare dei parallelismi diretti è un po’ come guardare uno scoiattolo e avere la pretesa di capire come l’evoluzione ci abbia portati all’essere umano.
Non si può che rimanere meravigliati dalla bellezza sublime di questa opera unica e innovativa. Una bellezza che, come la ginestra sulla pietra lavica, si innalza sulle storture del nostro presente e sulle macerie che ci attendono.