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GIORGIO POI – Monk, Roma, 3 novembre 2017

Nell’olimpo musicale italiano indie post-nichilista degli anni dieci popolato da frotte di new-new-romantics che cantano l’amore in maniera morbida e situazionista, Giorgio Poi è con tutta probabilità il miglior rappresentante di questo “movimento”. Quest’ultimo termine risulta più azzeccato di “scena” (molti amano riconoscere già una ‘scena romana’) perché meglio descrive l’aspetto cinetico e trasversale di un tale prodotto, apparentemente astorico nei contenuti ma in realtà molto aderente a certi aspetti sociali contemporanei.

In tutto questo Bomba Dischi ha giocato il ruolo di acceleratore di particelle, mettendo idee e strumenti al servizio di artisti arrivati spesso ad un punto morto della propria carriera e valorizzandone alcuni aspetti nascosti. Il passaggio da Giorgio Poti a Giorgio Poi è avvenuto più o meno così, mantenendo viva l’attitudine psych e folk di Vadoinmessico e Cairobi unitamente ad una mai sopita passione per il pop italiano degli anni Ottanta. Relativamente a quest’ultimo elemento, l’assenza di revivalismo e di vezzi inutilmente nostalgici sono state, finora, le chiavi del suo successo.

Sul palco del Monk, nel mezzo del tour invernale che sta continuando a portare “Fa Niente” (qui la nostra recensione) nei locali di tutta Italia, bastano appena undici tracce, di cui due cover (Ancora, ancora, ancora di Mina e Il mare d’inverno di Ruggeri/Mia Martini) a rapire il pubblico. Grazie anche alla qualità del sound dei due ex-Boxerin Club Francesco Aprili (batteria) e Matteo Domenichelli (basso), il livello del live è altissimo. Alternando il raccoglimento estatico di Paracadute, Ancora ancora ancora alle coloratissime esplosioni pop de L’abbronzatura, Le foto non me le fai mai, Niente di strano, Giorgio Poi restituisce al pubblico l’immagine di un artista quadrato e preciso che però non dimentica di lasciar trasparire teneramente le proprie emozioni. Quel cantato dissonante e velato di passatismo, quel portamento a tratti sghembo e quel bagaglio di esperienze che vanno da Battisti agli Animal Collective fuoriescono a pié sospinto come magma quando ci parla di futuro “i sogni degli altri, che noia mortale doverli ascoltare. I miei, non li racconto mai”, di fragilità di coppia in chiave soul “ma poi cos’è successo l’altra sera? Ci siamo innamorati più di prima” o quando semplicemente il situazionismo si fa ritmo incalzante “tanto c’è il mare, fa molto bene è bello da guardare. Talmente si muove, che non lo vedi ma è due volte uguale”. Una serie di confidenze, sussurrate e urlate al pubblico tra spunti funky e psych, disegnano il perimetro di una serata che si delinea piacevolmente rotonda, familiare, calda, accogliente e sempre in equilibrio tra American Dream e Notti Magiche.

Infine, colpisce piacevolmente vedere che, oltre alla consolidata fanbase, il pubblico di Poi sia tanto eterogeneo e trasversale sia dal punto di vista anagrafico che sociale. Osservare la moltitudine dei volti cantare a squarciagola anche i nuovi brani (Il tuo vestito bianco, Semmai), fuori da poche settimane, è uno spot meraviglioso per la musica live e per quella italiana in genere.

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