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HEATH LEDGER: lo sfregio della carne

(Anche la follia merita i suoi applausi)

Heath Ledger

Cosa rimane, a distanza di dieci anni, di quel tuffo nella follia di cui Heath Ledger ci fece regalo? Cosa rimane di quell’interpretazione cosi carnale e viscerale dell’ilarità goliardica scolpita tra le carte dell’assurdo, e perché fu tanto grande quella performance? All’inizio c’era un ragazzo dal faccino angelico che fece innamorare le giovincelle di ogni dove con il classico teen movie “Dieci cose che odio di te’’, poi un attore che scopre le proprie potenzialità ne “I segreti di BrokeBack Mountain’’ e alla fine un attore che come un’ insetto nella sua cupola d’ambra entra in simbiosi totale con il suo personaggio, regalandoci una performance cosi brutale dalla quale il suo volto non si sarebbe più staccato.

Perché Ledger fu grande non solo nella delineazione del personaggio, ma anche nel confronto con il passato che questo personaggio aveva. Fu grande nello strappare il volto del Joker a chi sarebbe stato impensabile venisse strappato. Il “Batman’’ del 1989 (Tim Burton) ci dava la rappresentazione di un pagliaccio brillante, dall’ironia confinante alla malizia, ma pur sempre in una sua coerenza schizofrenica. In tutto ciò che faceva c’era un’autorappresentazione, una volontà d’esser riconosciuto come paranoicamente bizzarro. E tutto ciò destava in noi un sorriso, perché anche noi partecipanti di quella folla entusiasta che gli si avvicinava invocando il denaro che lanciava dal suo carro con il quale stava avvelenando la città sotto le note di Prince. Il fatto, nella sua totale sfrontatezza e dissennata ilarità mirava alla radice della civiltà; il denaro. Quel denaro che da chiunque e in qualunque modo venga erogato, sempre sarà ben accetto. Nessuno è intimorito, poiché il fine è coperto dal mezzo e quell’uomo, nelle sue dissacranti provocazioni, non fa paura.

Nicholson commentò la sua performance come una rappresentazione teatrale della Pop Art. Apparenza, un po’ di ilarità, e “Who do you trust, me or the Batman?’’ E cosi Nicholson, come sempre riesce, ci fece innamorare ancora una volta. Tra le sue sfrontate derisioni dell’arte e le sue alliterazioni verbali. Genio pubblicitario e ironico come Warhol. Sfrontato, provocatorio, commerciale, dalle movenze ai colori luminosamente appariscenti del volto. Con Ledger le carte in tavolo cambiarono. E Ledger riusci a rubare a uno dei più grandi attori uno dei più grandi ruoli. Non più risate limitrofe e interposte nella proposizione, ma uniche e assordanti in una maschera di tic e asillabazioni di sguardi. Non alliterazioni: “Danzi mai col diavolo nel pallido plenilunio?’’, ma storie sconnesse profanate da un passato nel quale si ha la libera scelta di interpretare il proprio dolore.

Heath Ledger

Ne sono esempio le variabili interpretative delle cicatrici. Quasi a rimandare ai possibili mondi narrativi di Eco. Nonostante il “make up’’ sia stato studiato insieme a Jogn Caglione Jr, Ledger non si faceva truccare prima di entrare in scena, era lui stesso che si spargeva quella tinta d’una qualità logorata e sudata sul volto, maldestramente, con le mani tremanti, per via del sonno che aveva perso al fine di entrare nel personaggio. Il risultato del volto è un’essenza torturata. Non c’è storia di questo individuo, che per tutto il film confina Batman a un investigatore ”Hard Boiled’’, e si guadagna ogni inquadratura, ogni scena e sequenza. Quando non c’è si spera che arrivi, e quando c’è vorresti che non sparisse mai. Il Joker di Ledger non distribuisce soldi alla gente, perché rispetto alla pop art, la cui commercialità è senza eguali, lui è più avanti sul percorso, e i soldi li brucia. Perché i soldi sono il medium che domina, e se il medium stesso è segno della folla, tu non vuoi apparire alla folla se non quando necessario, perché niente è più miserabile della folla. Perché i soldi sono fumo e la folla è carne. Carne da macello, la cui miserabilità, seppur latente, è monotipica.

Il Joker di Nicholson aveva una storia e un nome, Jack Napier, e addirittura era stato capace di provare desiderio sessuale (fu infatti amante della donna del suo capo, Grissom); il Joker di Ledger ripristina la propria essenza di “man who laughs’’ (Paul Leni), da cui nacque l’idea del personaggio. Nessun nome o storia, nessuna emozione all’infuori dell’ odio smodato e irrisorio. Un uomo che ride, poiché consapevole dell’ inevitabile assurdità del tutto, la quale simmetria si configura nel pons asinorum del Bellum omnia contra omnes. Ledger riprende gli studi dal corpo umano di Bacon, la carne umana fetida in quanto “potenziale carcassa’’. (Nella sequenza in cui Ledger filma la sua vittima, l’adulatore di Batman, si intravedono sullo sfondo carcasse di carne appese al soffitt). Se Bacon intravide nel massacro degli innocenti di Poussin il “il miglior grido umano mai dipinto’’ tra le gote di una madre che cerca freneticamente di salvare il figlio, immagine che lo influenzò potenzialmente, Legder vide nella carne di Bacon la più esilarante conclusione dell’ epopea umana, e la trasformò in riso. Un personaggio che non conosce limite, perché ha già superato il limite del giorno, dove “la follia è l’uscita di sicurezza dal passato’’ (The Killing Joke). Un “uomo’’, che vuole distruggere per dimostrare che il costume o quant’altro non è niente se non limite.

Heath Ledger

Ho dimostrato che non c’è differenza tra me e chiunque altro! Basta una giornata storta per trasformare il migliore degli uomini in un folle. Ecco quanto dista il mondo da me. Una giornata storta’’. Una giornata storta. Il lamento soffocato, l’incomprensione maturata, la rabbia liberata. E così, anche il paladino di Gotham, potrà diventare come tutti gli altri, come tutti noi. Non c’è bisogno di piani o teorie, ma di smodata pazienza, prima che il corso degli eventi, il moto costante dell’esistenza, l’evoluzione, compia il suo corso. Charles Decker (Ossessione, King-Bachman) le attribuiva il nome di terminatore. La linea di demarcazione fra luce e tenebre. Secondo Charlie, camminando su quel limite, la vita ha l’assurda componente schizofrenica di una moneta lanciata in aria. La stessa moneta che, sembra un caso, Il Joker mostrò a Dent. E cosi, nel sorriso sfregiato e dipinto a mano di Ledger, vi è quella distanza tra noi in atto e noi in potenza. Tra il noi accettato e il noi represso, che aspetta solo la giornata storta per esplodere.

Che Ledger abbia assimilato troppo il ruolo e che ne sia stato vittima è qualcosa che non scopriremo mai. Ciò che sappiamo è che di sicuro, lui, come il suo personaggio “era in anticipo sul percorso’’, e un cane nero, come recita la canzone di quel cantante che lui tanto amava, lo stava aspettando. E dunque, se non vi è scampo alla sospensione del limite della morale, che altro non è se non un confine tracciato dal costume o dalla cultura, se si oltrepassa quel confine, anche solo per gioco, per “lavoro’’, si può poi, alla fine, tornare indietro?

C’era un gioco che si faceva in un paese del Perù lungo una montagna. “Un passo e muori’’. Dovevi avvicinarti al limite di un precipizio e chi aveva il coraggio di allungare un piede e un braccio nel vuoto, senza cadere, poi doveva raccontare agli altri cosa avesse provato e visto. Una cosa succedeva spesso a chi portava a termine il gioco: non diceva una parola. Non parlava. Sorrideva tiepidamente. Perché non c’è niente scavalcato quel limite, se non la risata assordante di un clown piangente, che ha scoperto che tutto, per dirla come Pasolini, “non è altro che un gioco’’. La lucida, visionaria follia Di Rotterdam ha cessato d’essere lucida, superando il terminatore tra la maschera e il trucco, concedendoci una manciata di sguardi e movimenti provenienti dall’aldilà. Da ciò che sta fuori. Da ciò che è stato superato. E’ un caso che Nolan filmando la scena dell’interrogatorio tra Batman e Joker abbia utilizzato la tecnica dello “scavalcamento di campo, volendo superare il raccordo dei 180°?’’.

Alda Merini scrisse che “Anche la follia merita i suoi applausi’’. Da dieci anni a questa parte, per una delle più grandi interpretazioni nella storia del cinema.

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