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“De-Loused In The Comatorium”, l’esordio immortale dei Mars Volta

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Non feci in tempo a comprare “Relationship Of Command” degli At The Drive-In, divorarlo, passarlo a tutti i miei amici gridando “questi sono il futuro del punk” che la band si accartocciò su se stessa scomparendo tra i flutti del tempo. Lo shock fu estremo poiché quel disco dettava realmente la via di un genere morente, segnava un nuovo capitolo – che esattamente come per i Refused sarebbe stato ignorato dai più – e ci portava mano nella mano in un nuovo millennio di sconfitte.

Le informazioni al tempo non si muovevano a velocità impossibile come ora e quindi dovette passare circa un anno – se non qualcosa di più – prima che venissimo a sapere che dalla scissione degli ATDI nacquero ben due band: gli Sparta da una parte e The Mars Volta dall’altra. Lasceremo il gruppo di Jim Ward, Paul Hinojos e Tony Hajjar per un’altra avvincente storia, chi ci interessa al momento sono Omar Rodriguez-Lopez e Cedric Bixler-Zavala. Nel 2002 i giornali di settore ci misero in allerta su questi Mars Volta, dicendo che il loro disco d’esordio sarebbe stato una cannonata ma che avrebbe scontentato tutti i fan della prima ora del Drive-In. Perché? La risposta non si fece attendere e si palesò col video di Inertiatic E.S.P.

A quel punto capii il perché di quelle dichiarazioni. Al contempo capii che stavo col team Mars Volta. Se gli Sparta cercarono in qualche modo di portare avanti il post-hardcore delle proprie origini Omar e Cedric voltarono totalmente pagina andando ad innestare nel proprio DNA il gradiente prog-rock. Per me fu una rivelazione: i deus-ex-machina che mi fecero scoprire il post che suonavano il genere che mi ha cresciuto durante l’infanzia. Non poteva fallire. E non lo fece. Comprai “De-Loused In The Comatorium” il giorno stesso in cui uscì, ignorando l’EP “Tremulant” che acquistai la settimana successiva.

Girato il CD scoprii che dietro al banco mix a far quadrare tutto c’era Rick Rubin. D’altronde chi meglio di lui avrebbe potuto comprimere tutto quel materiale incendiario all’interno di un cerchio di suoni così perfetti? Oltre al fatto che a sentire i due il barbuto era anche una persona squisita: “Rubin è una persona davvero gentile. Compare in una stanza e comincia a parlare in modo pacato.” – dice Cedric in un’intervista – “Non pensavo fosse così dopo aver visto tutti quei documentari su di lui e invece è così. È fissato con la salute corporea e al contempo è estremamente spirituale.” Aggiungeteci il fatto che i tre condividono una passione smisurata per Will Oldham e il gioco è fatto.

Altra sorpresa è la presenza al basso di Flea, subentrato alla bassista Eve Gardner a metà delle registrazioni dell’album e in tre giorni il bassista dei Red Hot era già pronto a registrare: “Sapevamo che Flea è molto sicuro di sé in ciò che fa e che è in grado di suonare in una marea di stili differenti,” – chiosa Bixler – “nonostante in molti pensino che lui riesca solo a slappare o robe simili, noi eravamo consci che lui fosse molto meglio di così.

A partire dall’artwork, “De-Loused” è qualcosa d’altro rispetto a tutto ciò che lo circonda in quell’inizio di millennio così convulso, con l’hip hop a salire sul trono di MTV e il nu metal a tirare gli ultimi dopo aver imperversato per diversi anni e col punk rock a tornare in auge tramutato in canzonette facilone per ragazzi annoiati. Dicevo, l’artwork: a prendersi carico di dipingere l’operato di questa band sensazionale è nientemeno che Storm Thorgerson, ovvero l’uomo dietro alle copertine della quasi totalità degli album dei Pink Floyd (nel contesto del gruppo artistico Hipgnosis) nonché Black Sabbath, Anthrax, XTC, Audioslave, T.Rex, Police, Cranberries, Ween e chi più ne ha più ne metta. Il risultato è sublime e il libretto è qualcosa di eccezionale e descrive in poche immagini tutta la storia che i MV vogliono raccontare.

Cedric e Omar al tempo covavano la speranza che il proprio amore per il cinema fosse chiaro a chiunque stesse ascoltando le loro nuove composizioni tant’è che il Volta nel nome era un omaggio a Fellini, all’idea del cambiamento dei tempi, dell’avvento di una nuova scena – “The Shape Of Punk To Come”, ricordate? – mentre Mars si lega all’amore dei due per una serie sconfinata di prodotti sci-fi, da Ray Bradbury a Doctor Who e Cedric aggiunge in un’intervista che la maggior parte dei loro fan è “geek” e dunque si sarebbe facilmente identificata in questa parola.

La forza di questo debutto sta nel suo posizionarsi a metà strada esatta tra due generi – punk inteso come termine molto ampio e prog rock – che mai prima d’ora si erano toccati a questo modo, e a parlarne è sempre Cedric in un’intervista dell’epoca: “Sono cresciuto osservando i dinosauri del prog e i giovani virgulti del punk odiarsi a vicenda. Io ho potuto ignorare questa faida, crescendo due generazioni più tardi e utilizzando influenze da entrambe le sponde. Penso che band come i PIL siano l’esempio perfetto di come si possano includere influenze non considerate punk restando punk più di tanti altri.” Poi tira in ballo altre band come Trans AM e Don Caballero, tanto per gradire.

Insomma, Cedric si sarà sentito davvero come John Lydon che – sbattendosene di tutto ciò che pensava di lui il suo pubblico, il suo manager e chiunque altro vedesse in lui solo un ignorante che sbraitava in un microfono – incluse nel sound della sua nuova band elementi che i punk ’77 aborrivano come reggae, dancehall, prog e disco di fatto aprendo strade fino a quel momento ignorate. Così è stato anche per i Mars Volta, pur avendo a che fare con un’audience ben più aperta di quella di trent’anni prima ma ancora poco avvezza a ibridi di questo tipo.

Lo screamo debilitante degli ATDI così si mischia ferocemente con costruzioni progressive ascendenti ed impossibili in bilico tra King Crimson e i Pink Floyd più ostici degli inizi, restando assolutamente fruibili grazie alle fantastiche melodie intarsiate da voce e chitarre.  Le liriche sono come di consueto criptiche e perlopiù indecifrabili ma il senso di alienazione e morte – d’altronde il concept di questo parla – si sentono eccome e la pillola è tutt’altro che indorata. Il resto della band non è affatto un orpello: i suoni allucinati prodotti da Jeremy Michael Ward e dal compianto Ikey Owens sfondano la parete della quarta dimensione intagliando nell’aria barocche manipolazioni e cesellando il tutto. Il tutto si completa con la sezione ritmica a mò di treno che vede Jon Theodore e Flea lanciarsi in evoluzioni da Cirque Du Soleil progressivo anche qui non risultando mai indigesti.

È proprio questa la forza che ha reso “De-Loused In The Comatorium” l’album immortale che è: essere complicato senza sembrarlo – prima d’ora solo i Tool erano riusciti in questa singolare impresa – rendendo possibile l’incontro tra mondi antagonisti per antonomasia, permettendo ai fan il singalong dove non avrebbe avuto senso ci fosse. Inertiatic E.S.P., Eriatarka, Drunkship Of Lanterns e Roulette Dares (The Haunt Of) diventano devastanti “hit” dell’anomalo capaci di concentrare nella propria essenza intricati labirinti sonori e trame “pop” d’antan.

Nel tempo i Mars Volta si sono complicati la vita al punto di perdersi nei meandi del proprio sound, complice anche la sovraproduzione di Rodriguez-Lopez che piuttosto che star fermo si sarebbe tagliato un braccio. Intanto i due hanno dato vita all’ultima grande band prog rock della storia della musica, senza se e senza ma. Se non li conoscete partite da qua. Se invece già li amate chiudete l’articolo e mettete su il disco al giusto volume criminale.

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