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“Oceanic”: un mare di luce pronto a sommergere tutto

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Siamo nel 2002, appena prima del tracollo editoriale della musica dovuto ai download prima e allo streaming poi. Ancora andava forte il CD e gli album duravano 60 minuti, ci si metteva in camera o in salotto ad ascoltare lo stereo oppure dagli walkman. Uno dei capolavori di questa fruttuosissima epoca è sicuramente “Oceanic“, il disco della consacrazione del post metal come genere musicale canalizzato in maniera magistrale dagli ISIS.

Il richiamo all’oceano è quasi profetico, si tratta infatti di un disco seminale che ha influenzato e continua a influenzare innumerevoli band, molti pescheranno da questo disco e uscendo dalle sue volente acque chiunque, artista o no, si porta dietro qualcosa che prima non aveva. Con gli ISIS l’ascolto è un’immersione profonda nei più celati luoghi dell’anima, a volte si trattiene il respiro per guardare sott’acqua, a volte ci si lancia verso la superficie per tornare a respirare qualche boccata d’aria. In tutta la composizione l’energia è potente ma di fondo c’è una grande equilibrio, l’equilibrio e la lucidità di un guerriero che sta per iniziare una battaglia, una consapevolezza intensa e feroce. Combattere, un voler esistere a tutti i costi ben sapendo che ogni battaglia potrebbe essere l’ultima.

Personalmente questo disco ha contribuito a farmi scoprire un lato che non pensavo potesse esistere della musica estrema, mi ha colpito da subito la sofisticatezza e l’audacia musicale, la cinematografia e la scenicità dei pezzi. Sono tutti film, dei percorsi di immagini, come dei sentieri che possono portare ad una radura in un bosco di pini, o al crinale di una montagna battuto dalle intemperie e dal vento gelido. Ogni ambiente è confortevole e le dissonanze creano quel velo di tensione che tiene i timpani incollati alle cuffie. I riff poi arrivano come tuoni ruggenti, uno fra tutti quello di False Light, trionfale, maestoso ed austero, come anche il finale dove le onde sonore si scontrano, si crepano e stridono come due lastre di marmo sfregate l’un l’altra. Segue Carry, con uno degli intro più belli del disco ed in senso lato del genere, un lento climax di suoni d’ambiente insieme ad una batteria in evoluzione che continua fino all’esplosione a tutta potenza con la voce di Aaron Turner che declama lo svolgersi figurato di un annegamento fino al fondersi con l’acqua e essere luce in essa ed insieme ad essa.

L’interlude e la traccia strumentale Maritime sono liquide tanto da bagnare i vestiti, come immergersi in un mare salato e immenso, e restarci a mollo per un po’ finché anche le ossa non sono umide e finché ogni pensiero non è stato lavato via. Chiude il disco un trittico di rara bellezza, Weight, Frome Synking e Hym sono tre pezzi che coprono da soli quasi la metà del disco, danno corpo alla composizione nel suo complesso, stilisticamente sono in linea con la parte iniziale del disco ma contengono in ugual misura momenti toccanti ed attacchi frontali sonori, in particolare il plotone d’attacco di riff in Hym voce appena prima dell’arpeggio di chiusura del disco.

Oceanic” scorre come un fiume in piena travolgendo tutto al suo passaggio, inondando le case e le strade, sommergendo i prati e i campi coltivati. Si perde il senso di un brano che inizia o che finisce, il fluire è talmente omogeneo e piacevole che la mente non può far altro che abbandonarsi alle onde sonore dell’oceano di suono creato dagli ISIS e fluttuare dolcemente sulla superficie increspata dal vento. Un disco da far proprio e da gustare come un whiskey, la prova del tempo fin’ora non l’ha reso superato né ne ha intaccato l’originalità e sono sicuro che sarà così per ancora molto tempo a venire, anzi, come il whiskey, stagionerà e diventerà sempre meglio.

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