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GOLDENGROUND: Shove Records

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Esiste un mondo sommerso, una selva di persone, passioni e cuori che stanno dietro alla musica e che ogni giorno la nutrono con amore paterno, nascosti dietro le quinte della scena. Goldenground va a scavare negli intricati tunnel dell’underground per portare alla luce le scintillanti pepite d’oro sparse in tutta Italia e per dare voce a chi è solito dare voce alla musica.

Ve li ricordate gli Encyclopedia of American Traitors? Della prima volta in cui un gruppo che, in America, avrebbe potuto scegliere la Ebullition, per pubblicare una sua antologia, e che invece venne prodotto da un’etichetta italiana? Sì, gli stessi dello split con gli Orchid. Encyclopedia Of American Traitors. E dei Laghetto dei loro primi dischi? O degli Encore Fou, che suonarono con i Reversal Of Man? Vi ricordate? È difficile riuscirci, lo sappiamo. Ma almeno sforzatevi di pensare ad un gruppo hardcore, soprattutto tra gli italiani, che abbiate ascoltato o che abbiate visto live in vita vostra. Pensate a come lo abbiate conosciuto e come abbiate fatto a recuperare del suo materiale. Shove Records rappresenta la storia del Do It Yourself italiano in ambito punk-hardcore. Manuel Piacenza, vero e proprio “One Man Label”, in questo caso, ha risposto ad alcune domande su cosa rappresenti ora Shove e cosa abbia rappresentato, soprattutto, in Italia e in Europa, negli anni passati.

Parlaci subito del famoso concerto dei Nofx al Forte Guercio ad Alessandria. Ci sei stato? Cosa si racconta dell’avvenimento? Come si vivono l’impegno e la cultura in una città provinciale come Alessandria?

Domanda impegnativa, sono passati circa 26 anni da quel concerto, ricordo parecchia gente presa bene, per quegli anni. Ma mai come per gli Snfu sempre al Forte Guercio: all’epoca ad Alessandria c’era parecchio movimento grazie al Forte ed al Subbuglio, e nella vicina Valenza Po, come luogo di aggregazione “alternartivo” c’era il Palomar, dove suonarono per esempio Brutal Truth, Fear Factory, Motorpsycho. Ho iniziato a vivere il Forte Guercio come puro fruitore, ma pian piano mi sono lasciato coinvolgere dalle sue attività e nel giro di poco tempo ho iniziato a gestire la distro “resident” dello spazio occupato. Al suo interno c’era per fortuna una sostanziale convivenza tra la parte più strettamente anarchica e quella più votata allo sviluppo della situazione legata ad iniziative e concerti.

Hai mai suonato in qualche gruppo? Com’è nata l’idea di creare Shove Records?

Non ho mai suonato o cantato in un gruppo, diciamo che ho da sempre portato avanti la parte “dietro” della situazione musicale di qualsivoglia realtà. Dal ’92 circa, dopo essermi occupato della distribuzione del Forte Guercio, ho sentito la necessità di avere qualcosa di mio e di condividerlo con gli amici di sempre: da lì io, Andrea (Point of View e Shove ‘Zine) e Fulvio (Permanent Scar, Jilted e poi Angry Records) ci siamo uniti per iniziare una nuova avventura con il nome di Shove.

Nella storia di Shove sono annoverate numerose coproduzioni. Tutt’ora hai partecipato all’uscita del disco nuovo degli Storm{o}. Non si rischia, tramite questa forma di aiuto reciproco, di rimanere nell’anonimato, e soprattutto di non sentire del tutto “proprio” il lavoro fatto?

Le coproduzioni targate Shove sono, come si sa, innumerevoli, e quest’anno, dopo moltissimo tempo, ho fatto uscire un disco tutto solo gli americani Wretched of the Earth. Perché coprodurre? Diciamo che in questo modo riesco ad avere più uscite da poter promuovere, aiutare, scambiare e “far girare”, ma allo stesso tempo molto spesso capita che la mia etichetta passi in secondo piano. È un aspetto molto frequente, quando parliamo di coproduzione. Ti riporto un esempio giusto di oggi: sull’evento Facebook per il concerto degli Storm{o} a Torino viene nominata, tra le label promotrici, esclusivamente la Moment Of Collapse e non la Shove o la To Lose La Track, che sono le due etichette italiane che hanno partecipato alla coproduzione.

Sei rimasto tra i pochi che ancora porta la cosiddetta distro ai concerti. Cos’è cambiato rispetto a quindici anni fa e, soprattutto, quali sono le differenze pre e post l’avvento di social network e piattaforme dove acquistare dischi online?

Purtroppo, siamo sempre meno: cosa è cambiato? Prima di tutto sono decisamente più vecchio (quest’anno ne ho fatti 47!), in secondo luogo il tempo molto spesso finisco di lavorare tardi e la voglia di stare in giro passa. Terzo, non è più così semplice poter portare la propria distro in locali o centri sociali. Cerco di promuovere il mio mailorder soprattutto via mail o con l’utilizzo di Facebook e Instagram. Un mesetto fa mi è capitato un episodio buffo con un’etichetta tedesca: il tipo mi ha chiesto come facessi a vendere dischi senza un e-commerce. Il mio primo pensiero è stato “ma che cazzo te ne frega!”, ma la risposta è stata “e tu come facevi a vendere prima di avere un e-commerce?”.

Che rapporti ci sono e c’erano con le altre etichette punk europee? Quali sono quelle con cui hai avuto più rapporti, sia lavorativi che di amicizia? Personalmente, credo che quella che si avvicini di più come attitudine, coerenza e generi musicali a Shove sia la tedesca Ape Must Kill Not Ape.

Quando ho iniziato con l’etichetta i primi scambi li facevo via lettera. Era un mondo del tutto differente, il tempo per imbastire uno scambio era almeno di un mese, per esempio, ma era molto più facile far girare le proprie uscite, i ragazzi che acquistavano i miei dischi, come quelli delle altre labels, erano più attratti rispetto ad ora dal vinile o il formato CD. Le etichette con cui ho più rapporti sono parecchie e la maggior parte sono europee. Tra queste ti nomino solo, per farti avere un’idea, Perkoro, Alerta Antifascista, Moment Of Collapse, Ape Must Kill Not Ape (per l’appunto), Stonehenge, Green Records, SOA, Hellnation, Heroine e Sons Of Vesta.

Cosa è cambiato nei gusti e nella cultura di chi ancora, al giorno d’oggi, compra i dischi da distribuzioni indipendenti?

Molto semplice: manca la curiosità. Chi compra dischi molto spesso non si lascia incuriosire da nuovi gruppi, ma la maggior parte dei potenziali acquirenti ti chiede Converge oppure uscite Deathwish, Relapse e Southern Lord. È molto difficile promuovere e organizzare uscite per band locali e meno conosciute. Per fortuna tra i miei affezionati c’è ancora una buona fetta di pubblico che si incuriosisce per le nuove uscite e che non perde occasione di dare consigli anche a chi è meno “esperto”.

Parlando più strettamente di Shove Records, potresti farci una cronistoria delle sue produzioni divisa in tre “epoche” distinte? Quali sono i dischi ai quali sei più attaccato?

Dal ’95 al’99 Shove ha prodotto solamente 7”: eravamo tre amici. Nel 1999, Fulvio decise di fondare una sua personale etichetta, dando vita alla Angry Rec. La seconda inizio con la prima uscita in CD, quella degli Encore Fou, un disco che mi emoziona ancora ora, per come fu suonato e prodotto. Finalmente riuscimmo a portare in Italia il suono e l’attitudine delle etichette americane! Proseguimmo su quella rotta ed uscirono, a breve distanza, la da te citata discografia degli Encyclopedia Of American Traitors, One Fine Day e La Falce. L’epoca si chiude con l’abbandono di Andrea. Dal 2004 gestisco Shove con le mie uniche forze. Tra le produzioni, per me sono fondamentali un po’ tutti, essendo “farina del mio sacco”. Abbiamo spaziato dal blackened hardcore dei Right In Sight allo screamo, dal grind di Inferno e Phoenix Bodies al post-metal dei Lamantide.

Contando decine di produzioni, come hai fatto, negli anni e durante le fasi cruciali delle tue produzioni, a mantenere i contatti con le band che ti sei proposto di far uscire? Parliamo di ere, soprattutto quelle legate agli albori di Shove, in cui internet non era così diffuso, nell’ambito punk.

Mantenere contatti non è semplice dopo un po’, ma con alcuni l’amicizia è e rimarrà sempre indissolubile!

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