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“How Strange, Innocence”, squarci nel cielo ai piani alti del post-rock

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Gli Explosions In The Sky sono senza dubbio la band a cui ogni appassionato di post-rock si affeziona più facilmente e con passione più sincera. Non hanno inventato il genere, anzi, ne sono stati la primissima derivazione, seppur in un’epoca, va detto, non ancora così sovraffollata. Tutavia, non è difficile trovare chi vi dirà che l’universo del post-rock, almeno per una buona parte coincide con quello degli Explosions In The Sky. E non c’è nulla di più vero. 

Fin dai primi vagiti, 20 anni fa, la band texana ha abbracciato i dogmi già ben codificati del genere senza preoccuparsi troppo di rielaborarli, quanto piuttosto di farli propri e interpretarli con la massima naturalezza, sfoderando una emozionalità davvero unica e inimitabile, cosa che le centinaia di tentativi di emulazione che negli anni a venire si sono susseguiti non hanno fatto altro che certificare. Quello degli EITS è un approccio davvero romantico che fa del post-rock una materia fruibile, immediata, facilmente riconoscibile, digeribile per i non avvezzi e perfettamente assimilabile per chi di queste sonorità si nutre. Nessun disco della loro carriera come il debutto “How Strong, Innocence” – autoprodotto nel 2000 e ristampato poi nel 2005 da Temporary Residence Ltd. – ne incarna i tratti in maniera tanto spontanea. 

È un lavoro per molti aspetti imperfetto e pieno zeppo di ingenuità, chiamiamola innocenza, c’è sempre, costante, una certa sensazione di fragilità che puntella lo scorrere dei brani in scaletta, ma è forse proprio questo che lo rende un’opera tanto irripetibile quanto fondamentale per il genere. In “How Strange, Innocence” è racchiuso l’intero campionario di quei suoni e quelle atmosfere che negli anni a venire in molti – e gli stessi EITS non ne sono esclusi – hanno ripetuto e ripetono ancora fino alla nausea, ma che qui si combinano e come in una pozione magica si trasformano in un effluvio benefico.

Poche note, sempre alla giusta velocità e senza troppo di quella ricerca sonora divenuta cruccio soffocante per molti, a dimostrare che il post-rock si fa più con le idee che con il calcolo, un viaggio sempre in bilico su di un filo emotivo che tiene incollati, ma che non spaventa e non inquieta, nemmeno quando si tende fino a spezzarsi e disegna in cielo quegli squarci che i nostri si devono essere immaginati quando per la prima volta si sono trovati in una stessa stanza a suonare.

Quello che mi ha sempre stupito degli Explosions In The Sky, e che li ha sempre contraddistinti da tutti gli abitanti dei piani inferiori del post-rock, è la capacità di tratteggiare e maneggiare ogni tipo di emozione all’interno di uno stesso brano: prendete ad esempio Snow And Lights con il suo attacco liberatorio, il suo intermezzo placido e sinistro che piano piano si schiude e sfocia in un vero e proprio raid di batteria e folate elettriche; oppure la successiva Magic Hours, con i suoi continui saliscendi, sembra l’album di fotografie di una vita intera che ad ogni pagina schiude un ricordo diverso. Brani altalenanti, come altalenante è il fluire dei giorni, lo scorrere del tempo – il tempo è un concetto che ritorna spesso nei titoli dei brani – ed è proprio qui la magia di questo modo di intendere la musica, in cui il ripetersi ossessivo di strutture ed atmosfere non è un ostacolo, ma un motivo di fraternizzazione.

In fondo è così che mi immagino gli Explosions In The Sky, intenti a raccontare le vite degli altri, a tendere una mano a chi vive in città senz’anima, a tracciare vie di fuga dove sembra non esserci che il nulla.

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