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Back In Time

“Kick Out The Jams”, il fuoco della rivoluzione degli MC5

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Eccoci qui a festeggiare 51esimo anniversario del funambolico, altamente rock, longevo e materializzante di energia “Kick Out The Jams”, album dei rivoluzionari MC5, banda di Detroit, la popolosa metropoli situata lungo il fiume omonimo che collega due laghi, e seguentemente trasferitasi presso una località limitrofa, la mitica Ann Arbor, patria pure dei lussureggianti Stooges di Iggy Pop e dei fratelli Asheton. Questo disco ha in seno una forza coinvolgente inimmaginabile che guizza fuori dai solchi del vinile, intercettando la foga concentrica dell’esibizione live eseguita alla Grande Ballroom di Detroit in occasione della festa offerta dalla Elektra, la casa discografica dei Doors e dei Love, per la registrazione del disco e la stipula del contratto.

Ma per gustarne appieno la portata dobbiamo per forza immergerci in quegli eventi messi al bando dai promotori della american way of life contro cui si scagliavano gli MC5, portando in USA una ventata di freschezza e cambiamento che rompesse i ponti col mondo degli adulti, conglobando nella filosofia sonica, e di immagine sopra le righe, le tante fasce di giovani e giovanissimi: operai, studenti, nonché gli emarginati e i delusi dai sogni infranti sulla West Coast, i vecchi beatnik, i pacifisti e gli attivisti all’opera durante la sfavillante epoca che ha espresso in quel periodo il meglio del rock.

Il precipitoso, tumultuoso quadro storico è allarmante, se non allucinante. I riverberi – attualissimi – del pericolo bomba atomica sono costantemente instillati dalla guerra fredda USA-URSS, sebbene sia in atto il tempo della “distensione”; la persecuzione ai danni dei comunisti è un cavallo della gestione presidenziale che fa sempre furba presa sulla vasta media borghesia americana; la protratta guerra in Vietnam diventa il punto più dolente di conflitto tra Stato e organizzazioni studentesche che combattono per i diritti civili; l’embargo contro Cuba e il castrismo riecheggiano sonori nella popolazione; Mao Tse-Tung e gli strascichi della Rivoluzione Culturale imprimono panorami positivi e negativi non trascurabili; le indipendenze acquisite dagli Stati africani risuonano ovunque, così come il boom economico della produttività e del benessere che ha raggiunto i massimi livelli nella società statunitense ed ha imborghesito soprattutto i giovani studenti di razza bianca.

Il pacifismo, le avanguardie di pensiero e musicali, le sperimentazioni e gli happening, che dalla Beat Generation sono transitati lungo tutti i sixties, hanno innescato la nascita del flower power, dell’hippismo, gli acid test, la scoperta delle filosofie orientali, segnando mastodontiche aperture delle coscienze e in modo più viscerale acuminandole di veemenza esacerbata dalle lotte degli afroamericani per i diritti civili e dalle agghiaccianti azioni terroristiche apparse sui fatti di cronaca avversando l’assetto imperialista Nixoniano.

E poi Jerry Rubin, Abbie Hoffman, i Jefferson Airplane, il femminismo, il Partito Internazionale della Gioventù, Malcom X, il Black Power, le Black Panthers con al suo seguito le sublimi White Panthers del giornalista, scrittore, musicista, poeta e produttore sui generis degli MC5, John Sinclair, ivi trainandovi dentro le lotte per la marijuana libera. Ed ancora, la grande ripercussione del maggio francese, la primavera di Praga…

Il fuoco dei rinnovamenti globali in corso bruciava e svecchiava il mondo, passando musicalmente per Beatles, Rolling Stones e soprattutto Bob Dylan. In USA (e comunque in ogni parte del globo) costoro divennero simboli e beniamini della protesta e della contestazione giovanile e permisero di far sentire in modo cocente la necessità impellente di porre al centro della vita l’uomo, quel povero essere ormai proiettato a bordo di un ipotetico convoglio sfrecciante a tutta birra verso lo spazio, visione avvalorata dall’imminente approdo lunare americano, poggiando in quel fatidico ’69 il primo piede sulla Luna, che in termini di progresso gli ha quasi fatto perdere le radici col suolo terrestre

Questo uomo, usato perlopiù come strumento di lavoro e fatica da parte delle solite classi dominanti, è davvero stanco di essere trattato come un burattino e va maturando la convinzione che la sua vita futura sarà simile a quella di un automa. L’insieme di queste tensioni sociali circolano in quella Detroit detta “la città dell’automobile”, dove Ford e General Motors tirano i fili promettendo plumbei e bui cieli venturi sotto cui vivere, costringendo le persone a coesistere sotto l’influsso delle fabbriche e dei loro miasmi di scarico, anteponendo logiche capitalistiche alla forbice razziale, occupazionale, ambientale.
I contrasti generazionali, l’inasprimento della questione razziale, le differenze di classe, la catena di montaggio e l’asservimento al mondo borghese frutto del capitalismo industriale, compresa la faccia orrenda, bellicosa e distruttiva dell’imperialismo USA, reclude ogni speranza di vita e sfodera atteggiamenti radicali sui fronti di opposizione politica dei neri (League of Revolutionary Black Workers, Black Panthers) e dei giovani arrabbiati, messi spalle al muro dalla mancanza di mediazioni con lo Stato sulla questione vietnamita – inizialmente fu inconcepibile il persistente atto di forza brutale espresso da un paese così progredito e benestante – interropendone i rapporti: e tra questi in prima linea c’erano gli agguerritissimi MC5.

I cinque agitatori sono stati i propugnatori della Detroit ‘off in quel preciso momento storico, spuntando fuori dall’underground musicale prodotto per reazione allo strapotere governativo degli USA, trovando linfa vitale in un pensiero politico e attivista alternativo, votato alla ricerca situazionista del risveglio delle coscienze, affinché si sviluppasse in quei tanti giovani forniti di potenzialità un sentimento di rivalsa ed uguaglianza che chiedeva urgentemente pace, dignità e diritti umani. L’apporto di John Sinclair, la mente dei Five, è imprescindibile per lo sviluppo delle vicissitudini che prendono rapidamente corso nel giro di pochi mesi.

Dal loro incontro nel 1966, Sinclair, già figura in vista nell’ambiente alternativo di Detroit, avendo agganci importanti con vari personaggi della Beat Generation, organizza il management della compagine sotto il nome Trans-Love Energies, un collettivo rivoluzionario che identifica l’operato controcorrente della band, procurando numerosi ingaggi nella Detroit area. John Sinclair fiuta l’enorme potenziale di questi ragazzi e la loro capacità di magnetizzare e attrarre frotte di gente, impostando il loro carisma, la musica e i testi, verso una resa politica che personificasse i malumori vigenti nella Motor City.

Come un tam-tam le performance incendiarie della band ricevono vasta eco sul territorio, il gruppo non si risparmia e veicola attivismo immediato tra i giovani astanti. La partecipazione ai live è d’obbligo, poiché il richiamo è incoraggiato anche dal parere positivo espresso da Allen Ginsberg (‘nume tutelare della controcultura’) sulla musica degli MC5, diventandone il fan numero 1. E questa è la consacrazione ufficiale: gli MC5 sono la rock band rivoluzionaria d’America per eccellenza.

L’originalità delle sonorità chitarristiche proposte da Kramer & Smith ricalcavano gli assoli di alcuni grandi jazzisti del free Jazz, come Shepp e il maturo Coltrane, intrecciandosi e aggrovigliandosi in qualcosa di unico a cui Rob Tyner iniettava il furore energetico complementare e necessario ad alimentare potenza e soul. In men che non si dica il manifesto dei Five era entrato nei cuori dei giovanissimi, accomunando i rivoltosi di Detroit e anche quelli di tutto il Michigan State; la rock band rivoluzionaria, deputata a raccogliere i consensi dei sovversivi anti-sistema d’America, si poneva sia geograficamente che idealmente al centro (il Midwest) tra il declino della West Coast e le asperità delle avanguardie newyorkesi.

L’inno della band è costituito dall’hit Kick Out The Jams, Motherfuckers!, da cui trasuda tutto il dissenso alla cultura imperante propinata dai piani alti della governance, unito alle provocazioni on stage e alla voglia di ballare e sballare; il concerto diventa a tutti gli effetti dinamite in procinto di detonare e a causa di ciò viene osteggiato con forza dalle autorità. Motherfucker è l’appiglio che genera caos nei benpensanti, occorre bannare il fenomeno MC5 reprimendolo. Cominciano dunque, e si fanno insistenti, le numerose persecuzioni della polizia che costringono i membri della Trans-Love Energies ad abbandonare Detroit e trasferirsi fuori città, ad Ann Arbor, dove il collettivo acquista due case contigue in cui vivere assieme. Sinclair, la moglie Leni, i Five e gli Up (un’altra rock band affiliata al management), non frenano la loro attività frenetica; Sinclair pubblica ogni 15 giorni da una rivista finanziata in parte da loro stessi (Fifth Estate) il bollettino delle peripezie e dei concerti effettuati in giro, resoconto affluito poi nel libro Guitar Army.

Alcune memorabili date della calda estate ’68, sono da ascrivere alla storia: il concerto in apertura dei Cream a Detroit che vede l’incendio della Stars and Stripes sul palco per mano di Fred ‘Sonic’ Smith; quello in apertura ai Blue Cheer (dopo gli Stooges), cui l’imposta censura alla parola Motherfuckers ne pregiudicherà il continuo; la denuncia dopo un’esibizione live su un giornale locale ai danni di Wayne Kramer, accusato di mostrare alle ragazzine sottopalco i genitali; lo schieramento della polizia al concerto presso il Grosse Pointe Hideout, affinché non venga pronunciata la solita parola Motherfuckers, intenzionata a bloccarne il live se dovessero farne menzione. Rob Tyner prima di salire on stage informa il pubblico della clausola di divieto ed al momento di cantarla rivolge il microfono al pubblico in delirio che risponde ad altissima voce…MOTHERFUCKERS!!!
Il  gestore dell’Hullababoo di Ann Arbor, al grido, stacca l’illuminazione del locale non evitando ai Five di continuare al buio suonando tutto il suonabile nella sala: tavoli, sedie e porte comprese. I tentativi della polizia di interrompere la data live al Loft di Leonard non ne compromette lo svolgimento; a fine concerto Sinclair e Kramer però sono coinvolti in una rissa con i cops: epilogo in gattabuia e processo per direttissima.

Fu dunque logico che l’attenzione mediatica, derivante dalla loro condotta e dalla repressione subita, colpisse prima o poi le grandi case discografiche, data la vasta eco suscitata; ed ecco che si fa avanti proprio l’Elektra, la quale immettendo sul mercato l’album lo epura della parola Motherfuckers, sperando in maggiori passaggi promozionali alla radio e alla TV, cercando di ottenere spazio per una difficile band.

Noi, qui, ne celebriamo il disco, ma il tratto saliente della storia degli MC5 forse si rintraccia in questo passaggio, avvenuto appena dopo la consegna del materiale alla Elektra, che nelle parole di Sinclair ha un effetto quasi mistico e segna il punto estremo nella carriera di tutto l’entourage. È il momento che conduce alla creazione del White Panthers Party, entità che ‘arruolava’ i bianchi non integrati nel sistema e dava impulso alla lotta dura contro il potentissimo Stato americano.

Più che ogni altra cosa noi imparammo dai nostri scontri quotidiani con il potere, che la nostra cultura, di per se stessa, rappresentava una minaccia politica all’ordine costituito e che ogni azione che ha delle conseguenze politiche, è essa stessa azione politica. Il risultato di questa illuminazione fu che noi divenimmo consapevolmente politici e il WPP divenne l’espressione politica di questa consapevolezza

Siamo alle battute finali della parabola ascendente dell’esperienza MC5; le parole suddette di Sinclair sono legate all’imminente Festa della Vita che avrebbe dovuto svolgersi a Chicago dal 24 al 29 agosto 1968, una enorme festa parallela a quella indetta nella stessa città dal partito democratico che presentava il proprio candidato alle presidenziali. Il momento è carico di impegno e di mordente, si danno appuntamento per l’evento tutte le frange, i movimenti e le associazioni ostili all’establishment; esponenti della cultura, musicisti, le Black Panthers, beatnick, artisti e band musicali radicali, tutti in fila con in testa gli MC5.

Accidentacci al governatore del Michigan che comanda la sospensione della Festa per questioni di ordine pubblico! Fortunatamente viene magnificata almeno la prima giornata che vede il quintetto di sediziosi esibirsi – privi di autorizzazione e non sul palco prestabilito – per circa otto ore di fila (!!!) rimanendo l’unica delle molte attrazioni che non ebbero luogo in quel dì e che sarebbero rimaste memorabili.

La festa prosegue e la polizia in assetto anti-sommossa fa piazza pulita dei partecipanti, devastando un sogno e la possibilità di risalto nazionale dei cospicui contestatori: feriti, fermi, arresti, tafferugli, si scatena una terribile guerriglia urbana dominata dalla repressione bestiale della polizia. Nei giorni a venire la band è al centro dell’attenzione generale dei media, ma al medesimo tempo si verifica l’amaro sabotaggio del disco, privandolo progressivamente del mercato: ‘I negozi, i distributori e i rappresentanti dell’Elektra iniziano a boicottare il loro primo album, i giornali si rifiutano di pubblicare i loro appelli e gli impresari di acquistare o promuovere i loro concerti‘ (Giacomo Mazzone, in “I Trasgressori” 1982).
La resistenza, in questo doloroso frangente, avrebbe dovuto essere più salda e poderosa e caldeggiata la guida da incrollabili facoltà caratteriali e morali, ma sfortuna vuole che il produttore John Sinclair venga arrestato di lì a poco per aver venduto un po’ di marijuana ad un poliziotto; ed il ricarico dello scotto fu salatissimo.

La lunga detenzione inflitta fece precipitare malamente le cose, nonostante le numerose vane campagne, e i concerti, per tirarlo fuori di prigione. Gli MC5 passarono sotto il manager e giornalista Jon Landau del Rolling Stone Magazine e si concentrarono su altri due LP, privi della carica ribelle del passato recente. Triste fu che i Five smisero ufficialmente di partecipare alle successive movimentazioni per liberare Sinclair.

Cosa segnalare di questa quintessenza live? L’adrenalinico discorso da parte del concitato e turbo-corroborante Rob Tyner …”You must choose, brothers, you must choose. It takes 5 seconds, 5 seconds of decision. Five seconds to realize that it’s time to move. It’s time to get down with it“… collegato alla intergalattica Ramblin’ Rose che da l’avvio alla leggenda prima di cedere il passo alla fuorilegge Kick Out The Jams, Motherfuckers!; impossibile quasi aspettarsi altro di più generoso e drastico, ma i suoni di tutti gli strumenti attraversano, sopra e sotto, il corpo e l’anima trascinando con immensa forza nell’occhio del ciclone di Come Together per sputare poi fuori quella meraviglia di rock urbano, irrobustito dalle chitarre e fatto selvaggio dalla voce di Tyner, che è Rocket Reducer No. 62 (Rama Lama Fa Fa Fa), provocando un trip sonoro nell’audience.

La dovuta pausa, utile per nettare e avviare la facciata B dell’LP, consente di recuperare un minimo di raziocinio attendendo nuove impensabili sorprese. Borderline mette in mostra le ruvidezze e l’energia grezza di una sgomitante track da urlatori e la corale MC5 fa davvero squillare ‘gli arcangeli con le trombe e i diavoli coi tromboni, cui i divini rumori seghettanti ipotetici ghiacciai polari, spaccando in due gli icebergs a suon di chitarre, si tramutano in ustioni per contatto epiteliale e in quell’istante magico l’eletricissimo blues Motor City Is Burning luccica micidiale, agganciando il retrotreno della hendrixiana Red House, nel risalto delle sgargianti tinte ribelli, very hot & cool, presentate dall’affresco di copertina. Le laserate soniche di I Want You Right Now rimbombano antemiche e mettono giù duro il concetto di irriducibilità e problem solving da guerriglia. Chiude il disco il pianeta miliare Starship, che riporta in ventre alcuni versi di Sun Ra ed alla sua musica è ispirato. Il brano ci lascia in mezzo al cosmo fluttuanti, assorti in contemplazioni da puro viaggio lisergico, abbandonati al pulviscolo spaziale sotto influssi Coltrane, Shepp, Ayler e della chitarra free jazz di Sonny Sharrock – ipermusici di cui Kramer e Smith furono viscerali estimatori.

Indi non resta altro da fare che ascoltare il disco, una volta ripulito il terreno mentale, affinché ci si possa concentrare su di esso e soppesarne la l’enorme valenza musicale-astrale a cavallo delle sue multiple suggestioni, che sono innazitutto rock, poi hard, garage, blues, cosmic, proto-punk, psychedelic, noise, revolutionary, anthemic, sino a raggiungere .

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