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Back In Time

“Sjælland”, la natura del nord declinata nel suono sintetico della solitudine di CV Jørgensen

Due artisti, un’identica fascinazione: fuggire dal music business ricreando scenari musicali rarefatti e minimalisti per scavare dentro se stessi e riflettere del caos emotivo derivante da un mondo veloce e pieno di tutto, dove l’isola della Zelandia, terra di silenzio e solitudine, si fa metafora dell’esperienza dell’Io nel rapporto terra-anima.

Prima che Nicolas Winding Refn divenisse regista di culto del cinema europeo, arrivando poi a sfondare perentoriamente le porte di Hollywood, l’artista di spicco della famiglia poteva a ragione ritenersi il fratello, Kasper Winding. Importante batterista jazz negli anni 70, divenne compositore, in primis di colonne sonore, per poi intraprendere una carriera solista di buon riscontro commerciale in ambito pop rock ed evolvendosi in polistrumentista e produttore. Kasper tentò per anni di far emergere dalla Danimarca musicale una visione meno conservatrice delle anestetizzate riletture pop rock, synth pop, new wave, e via discorrendo, imperversanti nel regno. L’intenzione, però, quasi mai è stata supportata da materiale di valore su cui imprimere la propria impronta.

Al contempo, Carsten Valentin Jørgensen, artisticamente noto come CV Jørgensen, è autore di una carriera di ottimo successo (il cui apice è “Tidens tern del 1980, con oltre 100.000 copie vendute e una mega hit del periodo, Costa del Sol) ma poche variazioni sul tema del songwriting pop rock classicheggiante: rock’n’roll chitarristico con venature progressive, tocchi di Steely Dan, molto “Revolver” e testi di satira sociale e favole avventurose valsigli la definizione di “Bob Dylan di Danimarca”. Nel 1990, l’album “I det muntre hjørne”, pur senza stravolgerne il linguaggio musicale, vira su temi acustici e personali con testi sempre più introspettivi (“Non c’è quasi nulla che oscilli come Bjerringbro di notte, tutta la strada principale trasuda di contadini pronti alla lotta”), non impedendogli di conquistare l’ennesimo buon riscontro di pubblico (vincendo anche un Grammy come album rock dell’anno). S’intravede l’attrazione verso un’espressione semplice e naturale, scevra, dopo quasi vent’anni, di ogni assoggettamento al music business. Il bisogno di spezzare l’infinito ciclo nuovo album – “dai, almeno un pezzo radiofonico” – interviste – tour. Un progetto libero è in mente da anni, è arrivata l’ora di affrontarlo.

È il 1993, inizia un nuovo percorso e la tela è completamente bianca.

Se in quel periodo sei un musicista danese e ambisci a qualcosa di differente, non avrai dubbi ad affidare il pennello a Kasper Winding, ma, allo stesso modo, il produttore intuisce che il songwriting di poesia spirituale nella mente di CV Jørgensen costituirà l’occasione per poter liberare ogni grammo della propria inventiva e ambizione. Carsten lascia dunque potere decisionale a Kasper, imponendo solo due paradigmi su cui fondare l’opera: Miles Davis e i toni blu. Il nome giusto per assecondare l’impronta davisiana è presto trovato: il trombettista Flemming Agerskov si rivelerà un protagonista assoluto, amalgamandosi senza mai sfociare nel consueto. E se Kasper è in vena di scelte coraggiose, l’ispirazione nei testi e nella scrittura di Carsten sono la testimonianza della netta distinzione traurgenza espressiva in piena libertà ed essere vincolati all’interno di un sistema.

È il 1994, il lavoro è compiuto.

“Sjælland” è una dedica all’isola della Zelandia, terra di silenzio e solitudine, e racconta l’esperienza dell’Io nel rapporto terra-anima, un piccolo universo minimalista dal quale ricavare paesaggi sonori per scavare dentro se stessi e riflettere del caos emotivo derivante da un mondo veloce e pieno di tutto:

Un’ondata di aziende sprecate, un carico di idee morte, un poeta che svolazza, un niente che nessun altro vede

Kasper Winding è sublime tra batteria elettronica e sintetizzatori cosmici, CV Jørgensen rilegge completamente il suo uso della chitarra disegnando il suono in texture sfuggenti o taglienti, viaggiando tra andamenti sincopati spruzzati di organo acido e increspato (Ude af sync – Fuori sincrono) che anticipano la coltre sonora del silenzio minimalista (Blåt blod til alle – Sangue blu per tutti) e trip hop dal sapore cosmic jazz (Fuld af forundring – Pieno di mervaviglia), continuando a contrapporre un’epica malinconica a ritmi sinteticamente alessitimici.

Interview è un manifesto: 11 domande musicate da ossessivi battiti sintetici, da i quali prende poi forma un incalzante giro di basso mentre la tromba di Agerskov drappeggia l’essenza dell’inquietudine dell’individuo post moderno:

“Dove sono i tuoi confini? Chi è la tua polizia di frontiera? Dove sei nato e qual era il tuo alibi?”
“Puoi difenderti sempre facendoti colpire? C’è una morale in questa ironia del destino?”

L’andamento della seconda metà dell’album esalta le contraddizioni: la solennità della notte contrasta la disperazione delle giornate che passano in Skygger af skønhed (Ombre di bellezza):

Ombre di bellezza vanno e vengono
in un flusso infinito
il cielo è alto e gli angoli obliqui
proprio come era in un sogno
il momento svanisce e svanisceà
come giorni senza contesto

Intet er mig helligt (Nulla è sacro per me), scheletrico inno contro xenofobia e nazionalismi, è il preludio del blues trasognante di Hvad mere er der egentlig at sige (Che altro c’è da dire), ovvero la (non) conclusione spirituale del percorso:

Che altro c’è da dire?
Il cielo trabocca di promesse
il cuore trabocca di vanteria
le persone si incontrano e si separano di nuovo
come un eco in una cattedrale vuota”

Abbandonato totalmente qualsiasi legame musicale del passato, “Sjælland” è un capolavoro di cantautorato sintetico, sognante e riflessivo e i suoi vagiti industriali incastonati su atmosfere ariosamente cupe e divagazioni jazz rappresentano una forma di lirica cantautorale degli anni 90 con pochi riferimenti possibili, riuscendo a non assomigliare a nient’altro.

L’album venne (prevedibilmente?) stroncato dalla critica musicale danese – il solo utilizzo di drum machine e tastiere sintetiche fu all’epoca definito disgustoso – seppur poi sia seguita una netta rivalutazione nel tempo. A tal proposito, se all’uscita raggiunse la posizione N. 8 nella classifica di vendita degli album, nel 2017, in occasione della ristampa in vinile, agguantò la numero 5 a 23 anni dalla pubblicazione: se i numeri e le opinioni dell’epoca rispecchiano una logica conservatrice, quelli di oggi sono il giusto riconoscimento per chi ha corso il rischio di porsi in maniera laterale.

“Sjælland“ non è semplicemente l’apice assoluto delle carriere di CV Jørgensen e Kasper Winding, è un’opera monumentale nella storia della musica scandinava, dove l’esperienza del territorio del nord, le foreste verdi e i cieli blu prendono forma totalmente scevri di cliché, trasfigurati in forma pop rock nel suono sintetico della solitudine.

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