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Retrospettive

Gli AC/DC: una scossa interminabile al mondo del rock

Da ben più di quarant’anni gli AC/DC producono ciclicamente i loro album. Io ho solo ventisei anni e ho potuto assistere solamente all’uscita di “Stiff Upper Lip” (2000), “Black Ice” (2008) e “Rock or Bust” (2014). Tra pochissimo, in questo novembre 2020, sugli scaffali e online approderà con potenza (spero) il nuovo album “Power Up“. Mi viene la pelle di daino solo a pensarci. Non credo di essere l’unico. Proprio per questo, noi di Impatto Sonoro, abbiamo deciso di dedicare qualche pixel, qualche momento di web a questa band che fatto la storia del rock.

Siamo negli anni 60, all’inizio. In Scozia l’economia non è delle più rosee, come invece sembra esserlo in Australia. Così la famiglia Young (Malcom e Angus compresi) impavida parte per l’emisfero australe in cerca di qualcosa di migliore. Malcom e Angus crescendo sviluppano una certa intolleranza anzi una vera è proprio allergia alla scuola che,in seguito, abbandoneranno. Sia Malcom che Angus sviluppano un innato amore verso la chitarra elettrica. Non è solo passione ma vero talento. Dopo aver militato in diversi gruppi, i due fondano la loro band: gli AC/DC. L’idea del nome viene da una delle sorelle di Malcom e Angus che aveva letto la sigla su una macchina da cucire.

Alto Voltaggio!

Dopo un anno di attività, i fratelli Young si stancano del loro cantante Dave Evans. Era troppo glam e stonava con l’immagine della band. Al suo posto subentra Ronald Belford Scott o più semplicemente Bon Scott. Un blues-screamer che si aggiudica il ruolo di paroliere del gruppo. Incidono due album dedicati al mercato australiano, “TNT” e “High Voltage” nel 1975. Un anno più tardi anche il mercato europeo può godere del suono degli AC/DC con una riedizione di “High Voltage” che, fondamentalmente, è una raccolta dei due precedenti album.

La scossa che diede alla musica rock la si intuisce dell’iconica copertina del disco: un giovanissimo Angus Young (chitarra solista per chi non lo sapesse) con la lingua di fuori e un fulmine che attraversa tutta la copertina. Dalla prima canzone It’s a long way to the top (If you wanna Rock n Roll) sono evidenti la creatività e l’energia della band. L’utilizzo delle cornamuse scozzesi dona al pezzo la granitica forza di rimanere nella storia della musica. In tutto il disco aleggia l’ombra di Chuck Berry a cui i fratelli Young si ispirano molto.

Gli australiani apprezzano molto questi dischi e, per ricambiare, gli AC/DC fanno uscire un altro disco: “Dirty Deeds Done Dirty Cheap (Lavori sporchi fatti a basso prezzo). Un titolo che sa di vita da strada, la stessa vita che conduceva Bon Scott. Già da questo album il concetto di rock Chuckberryano viene estremizzato e pompato di distorsione, accordi potenti e testi sudici ma veri e sinceri. La bellezza di questo disco sta nella canzone Ride On (a mio avviso una delle più belle composte dal trio Scott/Young/ Young). Il testo è una riflessione di Bon Scott sul vivere in maniera dissoluta e di come questo poi ti possa portare all’inferno. La sua voce dialoga perfettamente con la chitarra di Angus in assoli meravigliosamente emotivi.

Gli AC/DC sono pieni di idee e dopo solo un anno pubblicano Let There Be Rock“. Qui si cominciano a creare dei capisaldi della musica hard rock. Parliamo della canzone che da il nome al disco e che è il significato stesso del rock come lo intendono gli AC/DC: ritmi veloci, assoli indiavolati e urla blues. Un pezzo che funziona e che diventerà un capo saldo delle scalette live della band.

Whole Lotta Rosie è un altro di quei brani che sono stati destinati a diventare delle pietre miliari del gruppo. Specialmente nei live, dove tra un riff e l’altro viene urlato a gran voce “Angus- Angus”. Con quest’album gli AC/DC ottengono il pass per gli States.

Nel 1978 esce “Powerage”: qui il rock sessantiano viene completamente lasciato da parte. La band ha trovato il suo suono, il proprio modo di imporsi. L’album non è dei migliori ma gli AC/DC trovano la loro identità. Lo stesso anno esce il live “If You Want Blood You’ve Got It” un concerto che testimonia la furia, la velocità e il talento esagerato per l’esibizione dal vivo.

Nel 1979 gli AC/DC sembrano raggiungere l’apice del successo. “Highway To Hell” è la consacrazione della band a livello mondiale. La title track diventerà una delle loro canzoni più famose. Il giro di chitarra lo ha provato a suonare chiunque avesse in casa uno strumento a sei corde. Maturità completata per la band. Diventano delle icone: il frontman blues che inserisce nei testi sempre un po’ di vita personale; la divisa da scolaretto di Angus; i live resi potente da una presenza scenica mai vista prima. Ci siamo, tutto è compiuto. E invece no.

Purtroppo nella notte del 19 febbraio 1980 l’abuso di alcool condanna a morte Bon Scott trovato esanime sui sedili della sua auto. La rabbia, il dolore fanno breccia nei fratelli Young e inizialmente vogliono chiudere il progetto AC/DC. Tuttavia non mollano e decidono di andare avanti (Ride On).

Ricominciare

Brian Johnson entra nella band come nuovo frontman. Siamo nel 1980, anno in cui riescono a migliorare l’enorme successo di “Highway to Hell”. Cinque mesi dopo la morte di Bon gli AC/DC pubblicano “Back in Black”. Il nero della copertina vuol dire lutto cosi come le campane della prima canzone “Hells Bells”. Il disco brulica di riff che saranno impressi nella storia della musica. Back in Black, Shoot to trill, You shock me all night long sono pezzi immortali che sono entrati nella vita di tutti gli appassionati di musica. Dei sempre-verde che di tanto in tanto vengono riproposti al grande pubblico (Iron Man 2 per esempio).

L’anno seguente viene pubblicato il disco “For Those About The Rock” che vende molto bene. La tile-track diventerà la canzone finale di ogni loro concerto da qui in poi. Nel 1983 la band sforna “Flick Of The Switch”. Un album che segna l’inizio del declino. Un disco che passa inosservato, nulla di memorabile al loro interno. Cosi come l’album successivo “Fly On The Wall”. I riff non mordono più come prima e non catturano l’ascoltatore. La critica è negativa. Probabilmente la colpa vanno ai litigi interni e alla produzione degli Young. Anche se io farei una menzione speciale per il brano Shake Your Foundations che spacca di brutto.

Gli AC/DC vengono poi ingaggiati per scrivere la colonna sonora di un film di Stephen King “Maximum Overdrive”. La colonna sonora uscirà poi sotto forma di disco dal titolo “Who Made Who”. Il disco contiene solo alcuni brani inediti. Siamo nel 1986.

Due anni dopo, c’è un segnale di ripresa confermato del buon “Blow Up Your Video”. Un progetto divertente. Heatseeker, che è il primo pezzo, si ascolta che è un piacere. Nel 1990 ci sono cambi di formazione e subentra un nuovo batterista: Chris Slade. Si torna al top.

Viene pubblicato “The Razor’s Edge”. La prima canzone è Thunderstruck e ho già detto tutto. Ma oltre all’ottimo lavoro fatto in studio gli AC/DC continuano a stupire il pubblico con partecipazioni dal vivo di una potenza assurda. Tanto che viene pubblicato tutto il video del concerto a Donington del 1993. Nel 1995 si ha la pubblicazione di “Ballbreaker” un album che passa in sordina ma non il tour che ne segue dal quale verrà estrapolato un filmato del live di Madrid “No Bull”. Siamo nel 2000, nuovo millennio ma la band rimane attaccata come idee compositive all’album precedente. “Stiff Upper Lip” è album tranquillo che regala comunque molte soddisfazioni. Viene registrato un live a Monaco a cui hanno presenziato ottantamila persone.

Dopo ben otto lunghi anni di assenza, gli AC/DC tornano con un nuovo album “Black Ice”. “Rock’n’Roll Train”, il primo singolo, trova subito il successo cosi come altri pezzi. Complice il film di Iron Man 2 che sfrutta gli AC/DC per la propria corazza sonora. A me è piaciuta molto la canzone Stormy May Day in cui Angus utilizza il Bottleneck per dare un effetto distorto alla chitarra. Dopo sei anni intensi fatti di problemi di salute e giudiziari, esce “Rock Or Bust”. Un album piacevole da ascoltare, molto breve che fila dritto in poco più di mezz’ora.

Ci vuole carica!

Ora nel 2020, ci aspetta “Power Up“. Dall’ultimo album alla band sono successe diversi avvenimenti spiacevole. La morte di Malcom Young, la quasi sordità di Brian Johnson che però sembra aver aggiustato; la morte di George Young storico produttore del gruppo.

Eppure pochi giorni fa li abbiamo visti nel nuovo video di Shot In The Dark. Molti pensano che abbiano fatto una sequenza di album tutti uguali. Non si può negare che sia così, si assomigliano molto ma sono anche molto diversi. Quello che mi colpisce della band è il loro desiderio di fare musica. Di fare concerti. Di dare la carica. Di essere dei performer eccezionali alla loro età. Di non prendersi maledettamente sul serio in mondo musicale dove chi suona due scoregge e un rutto si crede un artista arrivato.

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