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Da Istambul alla conquista del mondo: la parabola artistica di Gaye Su Aykol

Se dovessi indicare un luogo dove il rock alternativo è in pieno fermento, non avrei dubbi a scegliere la Turchia. Da Ankara a Istanbul, diverse sono le band capaci di coniugare forti connotazioni distintive legate alla tradizione a un suono attuale e talvolta innovativo, pregno di atmosfere urban, con metriche rubate all’hip hop e traslitterate in chiave indie rock; un movimento variegato e supportato dall’enorme seguito e riscontro commerciale. Particolare, dunque, che da almeno quattro anni l’artista turca più conosciuta nel panorama indie mondiale sia quanto di più distante da tale estetica: Gaye Su Akyol.

Antropologa, pittrice e ben presto nome di spicco dell’underground musicale di Istanbul, ma del tutto sconosciuta al grande pubblico, esordisce nel segno di una personale rilettura dell’anatolian rock degli anni ’70, nella quale folklore e surf rock psichedelico si intrecciano in un contesto cantautorale elegante e ipnotico, intriso di odori da fumoso jazz club mediorientale. L’interesse internazionale si amplifica nel 2016 grazie al secondo album, “Hologram Ĭmparatorluğu” (L’impero-ologramma), dove dilatando il concetto di psichedelia del periodo d’influenza prende vita uno spettacolare ibrido surf-dub-post punk-space anatolico.

L’uscita del terzo album, nel 2018, potrebbe rappresentare il naturale proseguimento nel sottobosco musicale turco con dignitoso seguito fuori dai confini, ma l’hype viaggia sempre più veloce: Gaye diventa ancor più chiacchierata e relativi tour, interviste, premi e passaggi in radio nei più importanti canali alt rock in giro per il globo (arrivando a sorprendere persino mr. Iggy Pop) permettono al suo nome di iniziare a circolare in tutta la Turchia. Per mezzo di una proposta capace di ammaliare più generazioni di ascoltatori di musica rock, tra chi ha vissuto gli anni ’70 e i più giovani cresciuti nel mito dei Led Zeppelin, di Erkin Koray e Barış Manço (come lei, d’altronde), è divenuta il punto di riferimento assoluto per una nutrita nicchia, similmente all’impatto culturale avuto dai Greta Van Fleet, seppur con una proposta musicale decisamente differente. Al contempo, il personaggio, chanteuse scintillante e sempre più glamour, ha conquistato le copertine delle riviste di moda più in voga, esempio di libertà creativa e d’espressione per le donne e attivamente impegnata a difenderne i diritti («Sei la nostra speranza» è, non a caso, una frase che spesso sente pronunciare).

Istikrarli hayal hakikattir”, ovvero La fantasia riccorrente è la realtà, è la rappresentazione più pura e stratificata della multiforme anima modernamente folk di Gaye: trasforma la realtà del fantezi che confluisce nella tradizione anatolian rock in un pastiche fantasy e cinematico, inscenando echi morriconiani amalgamati a synth cosmici e assoli di bağlama, sassofoni avvolti da un’aura di meditazione ethno dark e particolareggiati funk mutevoli, per un folle viaggio a spasso per l’Anatolia in un autobus iper colorato.

Un’esaltazione della diversità per la quale si può porre ad esempio Gölgenle bir başıma, col suo incipit dal tenebroso ritmo Southern gothic che mano a mano assimila evocative trame chitarristiche e melodie del folklore con pattern ritmici piovuti direttamente dalla Bristol del 1997, senza dimenticare che la personalità vocale è sempre più la grande forza di Gaye Su Akyol: una musa da mantra desertici capace di destreggiarsi in irresistibili scorribande balcaniche (Laziko), cabaret noir-spirituali (Bağrımızda taş) e fulmini fusion funk dall’essenza western (Bir yaralı kuştum).

I testi, enigmatici e misteriosi («Puoi aprire le loro porte con la tua chiave personale», dice lei), sono pregni di indiretti riferimenti politici («L’intero stato è un locale narghilè, noi stiamo soffocando nel suo fumo»): ambiguità che non sempre è servita a risparmiarle richieste di chiarimenti da parte delle forze di polizia. Facile, perciò, affibbiarle l’etichetta di nuova Selda, che del cantautorato di protesta e impegno sociale fu la progenitrice in patria. 

Il 2020 è stato l’anno in cui una serie remix tratti da “Hologram Ĭmparatorluğu” vengono immortalati nei tre album della serie “Remiks Ĭmparatorluğu”, techno-dub da sottofondo sul quale è possibile soprassedere, ma soprattutto dell’eccezionale video-documento (visibile interamente sul canale YouTube dell’artista) “Rakinrol musiki cemiyeti”, che mostra Gaye e l’istrionica band in un fantasioso live dall’estrosa estetica 70s, accentuando se possibile la sempre viva carica onirica e l’impatto rock.

Tornando sull’iniziale tema della particolarità del successo di Gaye Su Akyol a livello indie internazionale rispetto alle ben più famose band alt rock turche, è doveroso sottolineare come il suo legame con il folklore è indubbiamente poco sottile; più facile, quindi, emergere come l’ennesima sensazione world music, misteriosa entità di un mondo sconosciuto, rispetto a chi è parte di un percorso evolutivo tanto particolare quanto poco sensazionale.

Ma Gaye Su Akyol è una creatura lontana dall’essere mero viaggio turistico per occidentali curiosi alla ricerca di esperienze out of this world: carisma e peculiarità trainano un linguaggio rock incredibilmente creativo, i cui connotati nostalgici rappresentano ormai solo il contorno. E’ indubbio: lei non solo è avulsa da qualsivoglia scena di rilievo, è diventata un’icona pop con la sola forza della sua musica, trasformando una visione isolata in un piccolo ma sempre più significativo universo che si unisce a pieno titolo alle varie testimonianze di cosa sia musicalmente (e non) oggi la Turchia.

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