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Interviste

Venezia Hardlove: la flower revolution dei Mother

Mother
Foto: Enrico Gomirato

Revolution Summer meant many different things to many different people”: questo uno degli estratti contenuti all’interno di un interessantissimo articolo comparso nel 2015 sul Washington Post e dedicato alla rivoluzione più veloce e, forse, sconosciuta, del panorama hardcore-punk. Perché sì, nell’estate del 1985 si fece un pezzo di storia della controcultura giovanile dell’epoca e, da un punto di vista sociale, si capì che quella “punk percussion protest” culminata con un live dei Rites Of Spring non era un momento en passant, rivedendolo ora a più di 30 anni di distanza. In Italia una band si rifà a quel sound e a quella mentalità da un lato più frenetica e scanzonata, dall’altro sempre pronta ad abbracciare il contesto-musica a tuttotondo, mettendo da parte le limitazioni di sorta e di genere.

I veneziani Mother rivoluzionano il concetto di hardcore-punk attraverso colori, stimoli e sensazioni che vanno a braccetto con sonorità totalmente agli antipodi: dal rock a tinte grunge di fino ‘90s, all’indie made in UK, fino al melodic hardcore emo oriented dei Turning Point 2.0. “Love Vision”, primo sei tracce della band, vede la luce ormai due anni fa, lanciando i Nostri all’interno del panorama underground italiano, grazie a quello che è al 100% un approccio internazionale, dimostrazione di una cura particolare verso i dettagli e di una dedizione d.i.y. totale.

Oggi vi presentiamo in esclusiva il video di Dillydallying, nuovo singolo che uscirà ufficialmente il giorno di San Valentino: ulteriore passo in avanti stilistico e testuale, il brano dei Mother segna una sterzata più soft ma al contempo intima e non allineata alle logiche di genere.

Abbiamo scambiato qualche parola con Riccardo, frontman della band, a due giorni dalla release digitale della traccia, che sarà disponibile in formato flexi-disc grazie a una cordata di etichette (Fat Boys Don’t Cry Records, Youth Of Today Records, Fresh Outbreak Records, Non Ti Seguo Records, Brigante Records e Rocknative Shop).

Dopo un anno disastroso come quello appena passato, riusciamo comunque a trovarci quantomeno virtualmente sulle colonne di una webzine. Come avete trascorso, a livello personale e di band, i dodici mesi che ci siamo appena lasciati alle spalle?

A livello emotivo, sia per l’importanza che hanno le interazioni sociali (specie quando legate alla musica) che per gli obiettivi che ci eravamo prefissati di raggiungere, è stato un periodo deleterio. Ci tengo a dire che comunque per diversi aspetti ci troviamo in una parte del mondo in cui poter vivere questa cosa della pandemia in maniera davvero privilegiata. Noi cinque viviamo vite molto diverse e ci siamo dovuti barcamenare come tutti tra lezioni a distanza, smart working, cassa integrazione e tamponi costanti. Nonostante le belle date che avremmo dovuto fare l’anno scorso (compresi Distruggi La Bassa e Venezia Hardcore Fest per citarne alcune) e tutto il resto, mi sento di dire che ogni volta che abbiamo avuto modo di incontrarci o sentirci per portare avanti il progetto l’abbiamo fatto veramente con amore, non mi viene in mente nessun’altra parola.

I Mother rappresentano senza dubbio una delle band più “internazionali” dell’intero panorama nostrano. Come è nata l’idea di riunirvi sotto questo nome e quali sono le influenze sia musicali che artistiche a tuttotondo che definiscono i Mother?

L’idea per il nome è nata prima che la band si formasse. Ero totalmente in fissa con questa serie di videogiochi giapponesi che in lingua originale si chiamano proprio “Mother” (nome a sua volta ispirato dall’omonima canzone di John Lennon), mentre in occidente il loro nome è “Earthbound”. Fantasticavo di essere in una band hardcore che non rispecchiasse nessun cliché del genere, a partire da un nome poco “macho”. Ai ragazzi è piaciuto subito e da anni è ormai diventato un aggettivo d’uso comune tra noi (ad esempio “cazzo quella roba è troppo mother!”). Mi piace pensare che i Mother ripropongano le loro influenze attraverso l’energia che contraddistingueva le band della Revolution Summer di Washington D.C. Credo che la nostra band cerchi di rispondere proprio alla domanda “come suonerebbe quel periodo musicale oggi?” Le nostre influenze gravitano quindi attorno al post-hardcore di quegli anni ma siamo anche pesantemente influenzati dall’alt-rock anni ‘90 (Dinosaur Jr., Smashing Pumpkings, Teenage Fanclub, Lemonheads, i più importanti), dal britpop e dal power pop, anche se non ci poniamo molti paletti.

Foto: Sparta Salviato

Vien da sé che il contesto di Trivel, del Venezia Hardcore Fest e delle realtà d.i.y. del vostro territorio vi abbiano plasmati e che, di fatto, abbiano dato una bella spinta al nome Mother in quanto proveniente da un contesto dedito a una cultura del “fai da te” che ha fatto scuola in Italia. Quanto dovete, in termini affettivi e di impatto sul vostro sound, a tutto ciò? Quali sono, a vostro parere, le band di questo circuito rimaste un po’ nell’ombra ma che meriterebbero più spazio?

Venezia Hardcore e Trivel hanno plasmato la nostra idea di scena hardcore e di cosa sia il d.i.y. da quando avevamo 16-17 anni a oggi. Ad alcuni di noi ha fatto scoprire che l’hardcore ha continuato ad esistere oltre il 1988. In generale, il senso di appartenenza e di famiglia che Venezia Hardcore ci dà tutt’oggi è stato fondamentale per la nostra crescita come persone e come musicisti. Abbiamo visto questa famiglia crescere inizialmente come spettatori, vedendo suonare band come gli Amen! (uno dei primi gruppi di Samall e Saverio degli Slander) o partecipando alle prime serate organizzate al Pop Corner a Marghera, comprese le primissime edizioni del Festival, via via assumendo ruoli sempre più attivi. Col passare degli anni ci siamo resi conto che alcuni momenti che stavamo vivendo stavano scrivendo un pezzo di storia dell’underground italiano, ed è una sensazione indescrivibile. Saremo sempre grati a Samall, Alfio, Marco, Teo e a tutti gli altri ragazzi e ragazze della crew per l’amore e la dedizione che hanno sempre messo in tutto questo. The Mild e Zeit sono recentemente usciti con nuovi lavori che vale assolutamente la pena ascoltare, altre band da tenere d’occhio sono sicuramente King Yellow e The Many Grams.

Guardando indietro, dalle recenti origini della vostra band a oggi, come descrivereste l’evoluzione delle vostre sonorità? Come vi approcciate alla scrittura dei brani e su quali caratteristiche vorreste maggiormente porre l’accento, se doveste vedere i Mother “da fuori”?

Le primissime band che citammo quando i Mother erano ancora solo un’idea furono Turning Point, Give e Praise, quindi influenze prettamente hardcore-friendly ma che già strizzavano l’occhio a qualcosa di più eclettico. Probabilmente dal secondo pezzo (Colorless Boy) in poi, ci siamo resi conto della nostra urgenza nell’esprimere sonorità che in altri progetti non eravamo riusciti a far uscire e ogni svolta a livello di sound arrivata dopo è quasi sempre nata dapprima per gioco, per poi risultare in un’effettiva voglia di sperimentare e abbattere i confini tra i generi, o meglio, di non considerarli, così da non porci limiti. Credo che l’unica cosa che ci interessi sia mantenere intatta la nostra attitude hardcore (il che avviene in maniera naturale) sentendoci liberi di fare quello che ci passa per la testa. Ricordo ancora quanto abbiamo riso quando abbiamo cominciato a parlare di inserire cose come il cembalo o armonizzazioni vocali alla Beach Boys nei nostri pezzi. Poi le abbiamo inserite e le abbiamo adorate, perché le volevamo davvero, cazzo!

Il vostro nuovo singolo, intitolato Dillydallying, vedrà la luce ufficialmente tra due giorni, a San Valentino. Come descrivereste questo brano, relativamente alla tematica trattata (l’astenia) e alle sue sonorità? Quanto la parola “amore” contribuisce al Mother-pensiero?

Ognuno può interpretare le sonorità di Dillydallying come meglio crede, ci diverte sempre ascoltare i riferimenti che sentono gli ascoltatori (spesso distanti anni luce dalle nostre ispirazioni). Per noi il pezzo è probabilmente un ponte tra come suonavano negli anni ‘90 tre generi come post-hardcore, power pop e britpop, ovviamente riproposti ai giorni nostri. L’amore in senso lato è il fil rouge che collega tutte le opere Mother. Se nel nostro primo EP “Love Vision” l’idea era quella di descrivermi attraverso i diversi significati di amore scaturiti dalle persone a me vicine (famigliari, amici, partner) e quindi attraverso i loro “filtri”, Dillydallying ha al tempo stesso il testo più disperato e più speranzoso dei Mother. È un po’ una lettera d’amore a sé stessi, un dirsi “devi volerti bene nonostante tutto, devi volerti bene perché il momento in cui non hai più niente in mano è anche il tuo momento di massima libertà, il momento in cui puoi ripartire”. Per l’uscita del singolo abbiamo preparato una fanzine per descrivere a 360 gradi il processo creativo di questa canzone, dalle sonorità al testo, crediamo sia una degna trasposizione del tutto.

Guardando al 2021 da un punto di vista discografico, quali release attendete con maggiore interesse?

Abbiamo gusti veramente molto diversi, sicuramente tutti aspettiamo con fervore i nuovi dischi dei Dinosaur Jr., Tigers Jaw, Weezer, Praise e anche di band italiane come Cheap Date, Mondaze e Rough Touch. Poi altri dischi di artisti che alcuni di noi aspettano in ordine sparso sono quelli di Citizen, The Story So Far, Trippie Redd, Glitterer, Death From Above 1979, Mogwai. Insomma, molti! Aggiungerei un bel disco punk rock uscito da poco degli Sweet Soul, “So far no further”.

Foto: Francesco Boz

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