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Punk-rock in the wrong hands: i migliori dischi screamo di sempre

Durante gli anni ’90 nacque l’esigenza di trasmettere, mediante il punk-rock, un’angoscia. Che stava là. Mitica, ancestrale, insofferente. Il combat punk dei primi anni ’80 e la furia hardcore che impazzò all’inizio di questo decennio non seppero riflettere del tutto, tramite musica, ciò che i movimenti giovanili stessero sperimentando e combattendo in quel periodo.

Nacquero così, a partire dagli Stati Uniti, i primi gruppi che utilizzando melodie più fruibili, convogliarono in un vero e proprio movimento questa necessità: dal dibattito interiore ed esistenziale derivò la militanza sociale. La politica e l’emocore iniziarono così con l’andare di pari passo, contrariamente a quanto si possa credere. Un suono meno veloce e meno hardcore non significò, alle origini, automaticamente disinteresse e mancanza di impegno. Gli atteggiamenti, alle volte troppo testosteronici, manifestati da una certa frangia dell’hardcore americano ed europeo, vennero sostituiti da una cultura generazionale più indirizzata all’introspezione, all’esternazione, alla denuncia, allo studio ed alla condivisione degli spazi. Socialismo, libertarismo ed esistenzialismo furono quindi, senza dubbio, i motori filosofici di questa movimentata frangia del punk.

Etichette come la Ebullition, alle origini, e altre realtà come Robotic Empire e Level Plane, in seguito, influenzarono le omologhe europee: Ape Must Kill Not Ape, Stonehenge, Heroine, React with Protest e Sons of Vesta. Come, vedremo, recitava il motto di una label indipendente italiana, nata in quegli anni cruciali per l’evoluzione di questo fenomeno e delle ideologie ad esso legate, “Punk… equipped with brain”: essere alternativi è ok, siamo tutti d’accordo. Ma rispettiamo il prossimo, il nostro pianeta e soprattutto le persone che lo abitano, assieme a noi. Creature coscienti.

Gli In/Humanity, che assieme a Charles Bronson e Born Against rappresentano da sempre lo zoccolo più duro e intransigente dell’hardcore indipendente nordamericano, scrissero Emoviolence Generation proprio per denunciare questa sostanziale inettitudine dei gruppi screamo, rei di curarsi più dell’aspetto esteriore, delle loro pose e della musicalità delle loro canzoni che dell’appartenenza al movimento punk. Furono loro, inconsapevolmente, a coniare il termine “emoviolence”, dando finalmente una definizione a questo nuovo genere musicale.

Ecco, quindi, l’elenco trenta dischi che ritengo più importanti per ciò che concerne il panorama screamo. Ne avrò sicuramente tralasciato qualcuno: di più carino, di più diffuso, che abbia avuto un maggiore impatto. Magari anche uno che avete scritto voi. Chiedo scusa in anticipo, quindi.

Nota: Massimo un disco per band, giusto per rendere le cose più complicate e divertenti. L’ordine seguito è quello di importanza, almeno per i primi cinque o sei o sette dischi.

Majority Rule – Interviews With David Frost (2001)

Ricordo perfettamente il discorso che feci con il loro batterista, nell’antibagno del Deposito Bulk a Milano, quando vi suonarono un’estate. Sulle bandiere italiane sparse per la città, sulle università, sul loro tour, sul fatto che stavo per mettere su un gruppo e lui mi disse “have fun” mentre stava pisciando. Faceva un caldo terrificante e non erano ancora iniziati i lavori per la Metro Lilla. Forse non erano nemmeno stati ancora preventivati. Fumavo un pacchetto di sigarette al giorno e non mi importava tornare a casa. Quest’album lo vidi suonare prima di ascoltarlo su disco, e fu un’epifania. Da quel giorno in poi iniziai ad ascoltare emoviolence, ricominciai a leggere fanzines, da quel giorno in poi iniziò tutto. Cercai chi fosse realmente David Frost solo tre o quattro anni dopo quell’incontro.

Raein – Raein (2002)

Il primo disco emoviolence che abbia mai ascoltato. Caos non musica, questi otto pezzi sono un diamante grezzo nello scenario abbastanza piatto dell’hardcore italiano dei primi anni 2000. Il disco uscì per l’etichetta di Cebio, uno dei due chitarristi dei La Quiete, che si occupò anche, nella sua ahimè breve produzione, di Neil on Impression, The Death of Anna Karina, The Flying Worker e Acrimonie. Se mi dovessero chiedere di citare una canzone dei Raein, la prima che mi verrebbe in mente sarebbe senza dubbio la devastante Shout The Silence: imprevedibili schiaffoni, quasi powerviolence. Da impazzire, letteralmente, senza alcun filtro.

Page Ninetynine – Document #8 (2001)

I Page Ninetynine erano in sei ed in sei diedero vita ad una scena musicale, quella di Richmond, che al mondo non ha rivali in quanto a idee, innovatività e devozione al punkrock. Intitolarono ogni loro album, compresi gli split, con un numero seriale. L’ottavo capitolo è quindi il loro terzo full length, sta per compiere vent’anni ed è puro divertimento. Pur suonando un punk violento, urlato e vicino, per alcuni aspetti sonori, al grind e al crust, i Page Ninetynine ci fanno esultare, trattando temi pesanti e difficili e facendoli insinuare nella mente di chi li segue come un atto dichiarativo, uno stato d’animo necessario. In Love With An Apparition è tutto ciò. Chris Taylor aka Chris Crude artwork at his best.

Yaphet Kotto – Syncopated Synthetic Laments For Love (2001)

Di gran lunga il mio disco preferito marchiato Ebullition. Sicuramente il capitolo più originale per questa etichetta.  Prendevano il nome dall’attore che interpreta J.T.  in “Alien”, erano di Sant Cruz e nelle dieci tracce di questo disco, uscito nel 2001, si esprimono al massimo delle loro potenzialità. L’ultima, lunghissima, finisce con una ripetizione infinita della frase “Bush is dickhead”, ma vi è molto di più, all’interno dell’album, che un semplice slogan da megafono.

La Quiete / Acrimonie – Split 7″ (2000)

I primi tre brani che abbia ascoltato dei La Quiete sono tutti in questo split con i francesi Acrimonie. Un disco pioniere, a livello mondiale. Per quanto riguarda attitudine, per quanto riguarda freschezza, per quanto riguarda armonia, per la sua violenza. La maestra non sa che Illich mi ha parlato del programma occulto è una reminiscenza ancestrale, Che tu sia per me il coltello una citazione da Grossman, Istruzioni sul funzionamento della macchina di Arthur è una di “quelle belle” che esortavamo a suonare ai concerti. Che finivano in mucchi umani e torte in faccia. Negli scantinati, nei centri sociali. I transalpini, invece, inseriscono in questo disco la strica e stellare Acrimonie loves Impaled Nazarene except me.

Alcatraz – Ni Dieu Ni Maitre, À Bas La Calotte Et Vive La Sociale! (2000)

Gli Alcatraz hanno sempre rappresentato, per me, il culmine dello screamo francese. Questa raccolta arriva dalle Alpi, dalle incisioni di Gustave Doré, racchiudendo tutta la produzione di questo gruppo incredibile, che per primo in Europa riuscì a condividere lotta politica ed emocore. Lo ascoltai per la prima volta in una casa di studenti a Torino e pur sapendo che non li avrei mai visti dal vivo (se non tramite gruppi in cui militavano ex componenti), quella volta mi sentii vicino a loro.

Orchid – Chaos Is Me (1999)

Paradossalmente, il disco da cui nasce tutto, non è, a  livello musicale, tra quelli che possa definire “totalizzanti” per i miei gusti.  Tralasciando quest’inutile introduzione, “Chaos Is Me” è il manifesto di un movimento, il motore che pulsa ancora e che alimenta un moto positivo, la fase lunare che da ere ancestrali crea le maree: tra poco spegnerà le ventidue candeline e ancora spinge, come si dice nel gergo. Il pandemonio si spostò dal Massachusetts all’orbis terrarum senza sosta, ispirando tutto ciò che di culturalmente elevato ci sia nel punk moderno. Un oracolo mai sibillino.

Swing Kids – Discography (1994)

Fu grazie a quest’album che conobbi i Joy Division. Al suo interno, infatti, impossibile non ricordarsi della cover di Warsaw: foga, rabbia, impegno, cultura. Pezzi come El Camino Car Crash e Situation On Mars, poi, divennero delle vere e proprie hit per chi, nel vecchio continente, si apprestava a seguire le vicende di quell’etichetta discografica così diversa dalle altre. Partendo da questa band, Justin Pearson e i suoi diedero così vita ad una vera e propria scena punk alternativa, in California, di cui San Diego divenne il principale fulcro. Locust, Some Girls, De Facto, Retox e i più recenti Dead Cross ne sono le naturali prosecuzioni.

Reversal Of Man – This Is Medicine (1999)

Tampa’s finest.  “Ascoltati questi, hanno il batterista che dal vivo suona di spalle al pubblico.” Mi parlava in questo modo, la gente. Già così, mi sembrò una cosa dell’altro mondo. E questo disco lo è. Hardcore, crust, emoviolence. Horror, impegno politico, attitudine. C’è tutto. Una micidiale ed inesauribile Recherche, un’opera che non ha bisogno di riduttive spiegazioni. “I am scared in often blank thoughts of what’s real.”

The Death Of Anna Karina – The Death Of Anna Karina (2002)

Un album, una vera ossessione. Nel pieno dell’esplosione emoviolence in Europa, agli inizi dei 2000, a pochi chilometri da casa veniva suonata musica così. Ex Inedia, Sette Note in Nero, By All Means: questo disco rappresentò la collettività di un’epoca passata a scannarsi per un concerto, pronta a combattere per esserci. Giri di basso alla Torches to Rome, passione per il cinema francese, interviste lunghissime e quel poco di alterigia che non faceva mai male.

Hot Cross – A New Set Of Lungs (2002)

Da Philadelphia, una boccata d‘aria fresca (si parla di polmoni, infatti), fatta di tecnicismi accompagnati da urla cadenzate e mai troppo pesanti. “A New Set Of Lungs” arriva da sempre, sebbene gli anni passino, come se lo ascoltassi per la prima volta. Piegatissimi, contorti, inarrivabili. Assoli infiniti che parevano essere sempre in punto di morte. Formidabili quegli anni, quelli del riflusso.

Torches To Rome – Torches To Rome (1999)

Forse il disco Ebullition più rockeggiante di sempre, tra quelli più propriamente definiti “emocore”. Me lo consigliò un mio amico in università che ora insegna filosofia in Belgio. I Torches To Rome furono sempre un gruppo “di nicchia”, per gli amanti del genere, ma questo lavoro rappresenta una vera e propria svolta per l’etichetta di Goleta.

Neil Perry / Kaospilot – Split 7” (2002)

Prima venne la spilla, poi il disco.  La grafica col ragazzo accasciato al suolo su uno sfondo arancione spadroneggiò per anni, ai concerti e nei negozi. Gli americani Neil Perry presero il nome dal protagonista de “L’attimo fuggente”, mentre i norvegesi Kaospilot rappresentarono il gruppo più violento, forse, che la Scandinavia avesse potuto concepire in ambito emoviolence. Sicuramente più dei JR Ewing.

Tristan Tzara – Omorina Nad Evoprom (2001)

Il picco più alto di sempre, a mio giudizio, dell’emo pestone alla francese (anche se erano tedeschi). Gente che ha da sempre suonato e ha da sempre viaggiato nel nome del punk-rock, pioniera di ciò che in Europa si riusciva a produrre, diciamolo, anche con poca esperienza sul campo, in ambito screamo. Lunga vita a questo disco autoprodotto, quindi, espressione della massima ribellione artistica personale. Anche nel nome della band. L’etichetta bergamasca Tumorati di Dio si occupò della ristampa del disco, un decennio circa dopo la sua uscita.

With Love – I Love Cul De Sac (2000)

La mia passione per Roman Polanski mi fece comprare a scatola chiusa questo disco. Ad un concerto, ovviamente, allo SGA di Arese. Arrivò nel duemila, un anno cruciale per il punk-rock italiano, e vidi la claustrofobica pellicola del regista francese proprio in quell’estate, durante la quale lavorai, per potermi pagare le vacanze, in una sala corse della mia città. Corse dei cavalli, gente vecchia scuola, frequentata da gente alla Roman Polanski, che non chiedeva permesso. Kiss Me Goodbye.

Encore Fou – Il Numero Undici (2000)

Territori del Nordovest. Così riportava una loro maglia. Una carta del Risiko dove, al posto della metaforica nazione nordamericana, venivano raffigurati Piemonte e Val d’Aosta. Un disco apocalittico, tutto nero e blu, dove il cantato in italiano dava un’accezione ancora più simbolica al sentimento di smarrimento. Violenza, crocifissioni in sala mensa. L’eredità delle due Auguste, Praetoria e Taurinorum, scalciava da troppo tempo per non essere assecondata.

Forstella Ford – Quietus (2001)

Quietus” è un disco basilare per quanto riguarda l’architettura musicale.  I Forstella Ford venivano da Milwaukee, dal Midwest americano, e non avevano tempo per i compromessi. Suonavano forte e suonavano difficile, rendendo la loro musica una tempesta, forte come il vento che soffia sul Lago Michigan.

Magdalene – Magdalene (2008)

Zouk-zouk da Pisa, un disco estremo per quanto riguarda i sentimenti di abbandono, negatività ed esasperazione. Nella coproduzione era presente anche l’etichetta francese Cité de Chenilles, che l’anno prima produsse i Bökanövsky. “Ora che l’unica cosa per la quale io morirei, non sono più i miei ideali ma soltanto un tuo ultimo abbraccio”. Serve altro? Tutti a casa.

Malady – Malady (2004)

“At best a cracked head will stop your smiling. Playful blood streams trickling and smirking”. Sulla scia dei pezzi più lenti come la citata The Lonesome Waltz of Leonard Coen e Richmond is a hole, Richmond ci propone un disco che possiamo definire riassuntivo di tutto ciò che sia stato suonato tra le sue strade. I Malady erano formati da membri di Page Ninetynine, Majority Rule e City of Caterpillar e questo loro same title è l’unico disco che abbiano registrato nella loro brevissima carriera. Tradimenti, sotterfugi, deliri da persone adulte.  Una gelida aura di mistero avvolge queste dieci tracce che non lasciano scampo. Alle volte ho persino paura a riascoltarlo.

Afraid! / A Flower Kollapsed – Split CD (2005)

Questo split su micro CD non fu fondamentale, credo, per l’epoca in cui uscì. Fu un disco pazzesco, un disco che faceva ballare, ok. Ma è ascoltandolo dopo più di quindici anni che si può apprezzare la sua devastante importanza. I due gruppi, uno di Verona e l’altro trevigiano, scrissero quattro pezzi totalmente sconnessi dalle mode dell’epoca dell’uscita: importarono nei nostri confini per la prima volta i suoni più malati della Bay Area, aggiungendo tastiere e sintetizzatori alla velocità del punk-rock urlato. Ciò che noi oggi, sbagliando, chiamiamo “indie” deriva da un’attitudine tutta The Vanishing e GSL.  Mettetevelo bene in testa.

Finger Print – S/T (1996)

St. Jean de la Ruelle si oppone cattedratica all’egemonia di Caen. Comprai questo disco dal catalogo Vacation House nel lontano 1999. L’iniziale We may be brothers, parlata e malinconica, mi lasciò di stucco. Era questo il rock alternativo? Era questo l’emo? “Metallic and screaming hardcore from France on Stonehenge Records”, recitava l’indicazione del catalogo.

Primadellapioggia – Tesis (2002)

Dal Nordest italiano ecco il sunto, praticamente, di tutto ciò che di metallaro e vecchia scuola sia uscito negli anni 2000 da quelle parti. Un cantato in italiano difficile da dimenticare, un mosh urlato (ripreso anche da Rosaelefante e Crema di Porfido) e influenzato da To Die For, Grime, Eu’s Arse e Warfare, che avrebbe necessariamente fatto storia, se questi giovani friulani, cresciuti politicamente al Treblinka di Udine, fossero andati avanti con almeno un altro paio di dischi e qualche concerto. E invece no. Play heavy or don’t, “Tesis” divenne in tempo brevissimo un album di culto che in pochi, all’epoca, possedevano. Tabella degli elementi alla mano.

Jr Ewing – Calling In Dead (2000)

“I got to be me, I got to be me, I got to be me!” questo è il mantra del disco di debutto dei norvegesi JR Ewing, uscito per Coalition. Sguaiati, impertinenti e rock’n’roll, con il passare degli anni hanno svoltato sempre più verso un’attitudine “Refused ultimi lavori” che li ha portati a diventare un gruppo quasi pop. A livello europeo, però, questo lavoro del 2000 copra un importante ruolo di apripista. Elegantissimi, ovviamente.

Yage – Anders Leben !? (2003)

Non ebbi mai la fortuna di vederli suonare dal vivo, gli Yage. Distanza anagrafica incolmabile, purtroppo. Li conobbi però dallo split con gli Engrave, band che adoro, uscito pochi anni prima di questo disco, che è sicuramente il loro lavoro più conosciuto. La risposta europea a Orchid e Combatwoundedveteran sarebbe dovuta arrivare dalla Francia ed invece furono questi tedeschi di Colonia a darla, scrivendo un disco per nientemeno che per Ebullition. Canzoni struggenti dalla prima all’ultima.

A Sight for Sore Eyes – Acapulco Gold (2002)

La risposta meneghina alla predominanza romagnola in ambito emocore arriva con questo disco su Holidays. In vita mia li vidi due volte, in entrambi i casi ad orari improponibili, come le due del pomeriggio: eravamo in 5 davanti a loro, compresi membri di altri gruppi che avrebbero suonato successivamente che, nel frattempo, scaricavano i propri strumenti. “Acapulco Gold” è un disco incredibilmente pestone, ma dilavato con pure sonorità washingtoniane che lo rendono docile ed accogliente. Non durarono molti anni, ma il fulmine a ciel sereno colpì la scena italiana in modo sferzante. Voce impastata, controtempi come se piovesse ed urlacci definitivi.

Bökanövsky – Bökanövsky (2007)

Bevvi numerose cosucce con loro, al bancone dell’Emerson di Firenze. Ma solo perché era dicembre inoltrato e faceva molto freddo. Si era quasi in collina e non riuscivo a capire perché il mio interlocutore principale, Clément, non seguisse la Ligue 2 di calcio nel suo paese. Era appena finito un Sons of Festa e avevamo suonato sullo stesso palco. Come al solito non si parlò del concerto, degli Afraid! che avessero spaccato, della futura disposizione dei sacchi a pelo che avremmo adottato quella notte per dormire. Il loro disco omonimo era appena uscito, andava già bene così. Venne ristampato anche su cassetta da Utarid Tapes, label di Kuala Lumpur.

The Pine – Days Slipping By (2003)

Rocco dei Laquiete, aka Congorock, ne parlava, su una fanzine, raccontando di un suo viaggio in treno per andare in Puglia, probabilmente al Maizza Festival, tappa obbligata di tutti i ragazzi che ascoltavano, all’epoca, un certo tipo di musica punk. Li ascoltava in treno e me li procurai subito, ovviamente. Urla poche, tanta melodia e quella vena rock capace di straniare chi vi si approcciava da neofita. Per me questo loro terzo lavoro (uscito appena prima dello split con i Laquiete, svelato l’arcano) è una pietra miliare del genere. Avete presente i Transistor Transistor? Ecco.

Crush My Calm – Lies Make Life Easier (2003)

Svizzeri usciti per un’etichetta austriaca (che lanciò tra gli altri I Van Johnson), i Crush My Calm furono conosciuti maggiormente per il gruppo a loro posteriore, a livello temporale, i Blue Water Boy, che vidi dal vivo con Darkest Hour e Majority Rule. Il disco in questione, secondo me, è uno tra i più innovativi del genere nel vecchio continente, riuscendo ad amalgamare hardcore, emocore e impegno politico in un prodotto elegante ed essenziale.

One Fine Day – Synapsis (2003)

Musica di casa mia. La prima volta che lo ascoltai, “Synapsis” divenne automaticamente il disco più figo mai nato sul suolo novarese. Di tutti i tempi, anche degli anni che sarebbero venuti.  Più curato rispetto al debutto, intitolato “Tough Guy Anthems”, fu uno di quei dischi che, all’epoca della sua uscita, importarono in Italia i suoni più propriamente Hydrahead: Botch, Harkonen e Braid non erano tanto conosciuti e grazie agli One Fine Day divennero dei gruppi di culto, per coloro che amassero un hardcore impegnato e suonato più concettualmente. Lo so, non è un album propriamente “screamo”, ma se vogliamo analizzare attitudine, contenuti e base culturale, si incastra perfettamente tra le uscite più propriamente del genere di quegli anni. Purtroppo, la band si sciolse poco prima l’uscita di questo disco: il chugga chugga in Italia non fu più lo stesso.

La Falce – La Falce (2001)

I La Falce furono i nostri Reversal Of Man. Consumai questo disco, lo ascoltavo ovunque, ne presi due copie, ne ordinai altre per averlo in distribuzione quando si andava ai concerti. Non credo ci siano dischi così importanti, nel nostro panorama musicale. Da Bergamo, una manciata di canzoni surreali e inquietanti, che esprimono violenza e sentimenti sempre contrastanti: L’intelligenza dei maiali, Colpevoli nel nostro quieto vivere (citazione dai Negazione, ma lo sapete tutti, no?), Brindisi per un nuovo fallimento. L’anima di chi suona.

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