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“Play”, quando un DJ diventa una rockstar

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Ci voleva qualche miracolo per cambiare le sorti dell’industria musicale, La musica degli Oasis ha dato una grande mano, ma non bastava, doveva manifestarsi qualcosa che nessuno si aspettava, qualcosa che non si spiega, si ascolta. Non se lo spiega neanche Richard Melville Hall, aka Moby, autore di questo lavoro che può essere considerato senza ombra di dubbio un bestseller, un colpo di genio, un opera che oscilla tra il rock, il soul e l’elettronica beats. “Play” non fu il primo album a fare di un deejay una rock star, ma fu quello che per primo diede ad un musicista techno un’impostazione pop. Play ha messo d’accordo lentamente ma inesorabilmente i critici e gli acquirenti 

Con la vendita di 12 milioni di copie in tutto il mondo, e una delle più importanti opere degli anni novanta. Infatti, anche grazie a ben nove singoli che divennero tutti delle hit e che vennero usati in modo massiccio come colonne sonore per film, spot pubblicitari e serie tv, riuscì ad introdurre il suo creatore nella scena musicale mainstream mondiale, distaccandolo molto dai suoi primi lavori, famosi limitatamente alla cerchia della musica dance elettronica. Uno degli aspetti più pregevoli e rivoluzionari di “Play“, a differenza di altri album di musica elettronica di quel tempo, è il modo in cui esso sia frutto di un abbinamento tra il gospel, il folk e i ritmi tipici della house music. Moby arrivò a questo risultato campionando pesantemente composizioni della raccolta di field recording di Alan Lomax che utilizzò in brani come Honey, Find My Baby, Natural Blues e Run On. Nella seconda metà degli anni novanta Moby si trovava in una sorta di crisi artistica, venuta subito dopo anni di successo con singoli techno da discoteca, che toccò il fondo con la pubblicazione nel 1996 di “Animal Rights“, un album molto eterogeneo composto sia da pezzi dark ambient e sia da canzoni costruite su accordi punk e metal che egli amava tanto da adolescente, che venne stroncato dalla critica mondiale, che lo considerò un clamoroso disastro. Il musicista spiegò:

Ogni volta che aprivo concerti per i Soundgarden mi gettavano della merda sul palco. Feci un mio tour personale e suonavo per circa cinquanta persone a notte. Tuttavia ricevetti un messaggio dal mio fan Terence Trent D’Arby e una telefonata da Axl Rose che mi dicevano che ascoltavano Animal Rights a ripetizione. Bono mi ha detto che amava Animal Rights. Quindi, se hai intenzione di avere tre messaggi da dei fan, questi sono quelli da ottenere. 

Così Richard Hall decise di registrare un seguito di questo lavoro, con l’intenzione di farlo in tutto e per tutto uguale, che chiamò “Play“. Purtroppo, come egli raccontò, nessuna major discografica (come la Warner Bros, la Sony e la RCA) volle produrlo. Fortunatamente l’unica ad accoglierlo fu la V2 che addirittura volle diffondere la notizia ai giornalisti, la maggior parte dei quali però non era nemmeno intenzionata ad ascoltarlo. 

Poco prima del 2000 stavo aprendo un concerto per i Bush su un MTV Campus Invasion Tour. È stato per la maggior parte degradante. Il loro pubblico non era minimamente interessato a me. Nel febbraio del 2000, ero in Minnesota e mi sentivo depresso quando ad un certo punto il mio manager mi chiamò dicendomi che Play era al numero uno nel Regno Unito, battendo il disco dei Santana Supernatural. Gli faccio: “ma l’album è uscito dieci mesi fa”. In quel momento ho capito, tutto d’un tratto, che le cose erano cambiate. Poco dopo raggiunse la prima postazione in Francia, in Australia, in Germania e continuava a scalare le altre liste. La settimana in cui fu pubblicato, Play vendette in tutto il mondo circa 6000 copie. Undici mesi dopo esso ne vendeva 150.000 a settimana. Ero in tour costantemente, ubriaco praticamente tutto il tempo e ogni cosa intorno a me era confusa. E poi tutto ad un tratto delle star del cinema hanno iniziato a venire ai miei concerti, ho cominciato a ricevere inviti per le feste di lusso e improvvisamente quei giornalisti che non avrebbero mai risposto alle chiamate del mio addetto alle relazioni parlavano di fare un’intervista. È stato un fenomeno davvero strano. 

Play” deve la sua fortuna per la maggior parte all’impressionante serie di nove singoli che vennero pubblicati nel periodo 1998 e il 2001 (Honey, il primo, era già sul mercato nell’agosto 1998, quasi dieci mesi prima l’uscita dell’album vero e proprio, mentre Find My Baby, l’ultimo, apparve su alcune classifiche nazionali tre anni e mezzo dopo) e che diventarono tutti delle hit, un’impresa senza precedenti per un album di musica elettronica. Curiosamente, le canzoni che poi si rivelarono le più importanti di tutta la carriera musicale di Moby, furono estratte in “ritardo” (Porcelain, per esempio, è stato il sesto singolo, uscito più di un anno dopo il disco). Questo per assicurare una presenza costante nelle classifiche. Questo metodo di marketing portò risultati che non tardarono a palesarsi, oltre che, come già detto, dopo un debutto insignificante, l’opera rimase in classifica per diversi anni, questa riuscì addirittura a far diventare Hall un musicista mainstream (che, per incrementare questa fama successivamente produrrà molti altri album più orientati verso la downtempo e ricchi di campionamenti da composizioni folk) e a rompere la convinzione (radicata in America negli anni novanta) che la musica dance fosse un genere commercialmente trascurabile.

Un disco imprescindibile che ancora oggi non è considerato banale, anzi, ancora attuale e fondamentale in tutte le sue sfaccettature.

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