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L'editoria(m)ale

Madame e il Premio Tenco, ma ce n’è davvero bisogno?

Editoria(m)ale coraggio di suonare

Una Targa per trovarli, una Targa per ghermirli e nel salotto buono incatenarli


Se siete stanchi di seguire le gesta dei Måneskin, sempre strenuamente impegnati nella loro battaglia per la salvezza del rock mondiale combattuta sferrando colpi micidiali di glam rock dozzinale per rincitrulliti dai campi di battaglia riottosi di X-Factor, Sanremo ed Eurovision, c’è una nuova sottotrama che sconquassa il magico mondo della critica musicale italiana. Pare infatti che la scena cantautorale del nostro paese, malandata come qualsiasi altra ma forse anche di più, abbia sorprendentemente trovato in Madame la propria ancora di salvezza.

È successo che un paio di settimane fa la giovanissima cantante vicentina ha vinto la bellezza di due targhe Tenco, nello specifico per la miglior opera prima (il suo omonimo album di debutto) e per la miglior canzone (Voce, presentata durante l’ultima edizione del festival di Sanremo). Ora, non staremo qui ad indignarci e a scomodare il povero Luigi Tenco, che di certo non farà alcun tipo di piroetta all’interno del suo giaciglio eterno. A lui, come a noi, poco interessa del premio Tenco in sé, che da diversi anni è una celebrazione auto-referenziale che non ha alcun tipo di influenza sul mercato discografico, tanto dal lato mainstream quanto da quello underground.

La motivazione alla base della scelta della nutrita giuria del premio, composta da una platea eterogenea di autorevoli esponenti della stampa musicale anche alternativa, è chiara e perfino comprensibile. Nel mirabile tentativo di riprendere lo spirito originale del premio ci si dev’esser detti una cosa del tipo “ehy, facciamo vedere di essere ancora giovani e anticonformisti!“. Purtroppo, mancando clamorosamente il materiale umano – da quanto, esclusi i soliti noti, non si trova un giovane cantautore con qualcosa di importante da dire? – il tutto è esploso al contrario in una bolla di fragoroso e stonato conformismo.

D’altronde il giochino è ormai noto: è da un po’ che in Italia cerchiamo nel mondo mainstream quello che non troviamo nel mondo underground, svuotatosi di volontà e di spirito di iniziativa. Ovviamente non può esserci nulla che ci possa soddisfare in tal senso, ma facciamo finta lo stesso di averlo trovato, costruendogli attorno però tutta una serie di giustificazioni più o meno plausibili che ci permettano di ingoiare una pillola amara senza strozzarci. Ecco allora, se con i Måneskin tutto è più semplice perché le sembianze sono dopotutto quelle del rocker, con Madame il discorso è più complicato e va oltremodo forzata la mano. In giro si legge che l’artista vicentina oggi è il cantautorato italiano – forse facendo finta di dimenticarsi di una tradizione unica e radicata che non si riduce solo ad una questione di “scrivo i miei testi e li canto” – che con lei l’urban entra finalmente nei salotti buoni – ma quando mai quelli del cantautorato sono stati buoni? – che il pop italiano cambia e acquista sempre più forza letteraria – come se il pop per avere una dignità debba necessariamente avere forza letteraria.

Il punto è che noi non abbiamo bisogno di Madame e Madame non ha bisogno di noi. Non abbiamo bisogno che l’urban diventi cantautorato per apprezzarne beat e sonorità, non abbiamo bisogno di appiccicare addosso a Madame o chicchessia un’etichetta posticcia e sostanzialmente ipocrita per apprezzarne la proposta, così come, più in generale, non abbiamo bisogno di cercare forzatamente sostanza letteraria nel mondo della musica leggera, anzi leggerissima. Se il cantautorato italiano è sostanzialmente in stato vegetativo non lo possiamo rianimare andandolo a cercare dove non c’è e non ci può essere, piuttosto dobbiamo riflettere sul perché in un periodo storico così complesso e problematico nessuno – dal nostro lato – ha più la volontà e il coraggio di scrivere e cantare qualcosa di davvero forte e significativo.

Abbiamo solo bisogno di fare pace con noi stessi, apprezzare le cose – sì, anche quelle che mai e poi mai avremmo immaginato – senza raccontarci che sono diverse da quello che sono in realtà. In fondo non c’è proprio nulla di male.

Cristiano Ronaldo riflette sulla forza letteraria del pop italiano

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