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Interviste

Space Vampires: intervista a La Morte Viene dallo Spazio

Credits: La morte viene dallo spazio

La Morte viene dallo Spazio è un progetto davvero molto interessante. Il connubio delle varie correnti di influenza fra le tracce della band è qualcosa che difficilmente si respira nel nostro paese. Il nucleo della loro forza è proprio l’arte alchemica della commistione dei generi, la capacità di saper dosare e inglobare i soffi delle varie i(n)spirazioni per dar vita ad un golem mutante, che fa del vortice creativo la sua potenza multicolore.

Una miscela praticamente indescrivibile: un crocevia di suoni, idee e visioni che sguazzano in territori inquietanti, dilatati e lisergici. La Morte viene dallo spazio è un organismo che non si pone limiti, che guarda, assorbe, elabora, distrugge e ricostruisce. Abbiamo raggiunto la band per fare il punto sul passato ed il futuro della loro musica.

Ciao ragazzi e benvenuti sulle pagine di Impatto Sonoro. Direi di partire dal principio: chi sono i ‘’La Morte viene dallo Spazio’’?

La Morte Viene Dallo Spazio nasce come collettivo aperto con connotazioni fortemente kraut rock, comprendente musicisti che si alternavano sul palco senza prove antecedenti e facenti parte di band più o meno note nel panorama underground italiano. Nei primi tempi non eravamo propriamente una band, ma un’entità in continua mutazione; ci dedicavamo all’improvvisazione col fine di creare qualcosa di unico, spaziale e oscuro. Il nostro primo album “Sky Over Giza”, uscito nel 2018, è il risultato di due giornate di jam session in studio di registrazione a partire da una data tonalità e velocità, un lavoro estemporaneo che non ci aspettavamo ci portasse a suonare al Dunajam festival e a ricevere richieste di live anche dall’estero, tanto da indurci infine a raggiungere una formazione stabile che desse al tutto un’identità più definita. Da allora abbiamo iniziato a lavorare ai brani in modo più tradizionale, concentrandoci sulla composizione, fino a dar forma al nostro secondo album “Trivial Visions” uscito a marzo di quest’anno.

Il nome di una band è sempre motivo di grande dibattito. Come mai avete scelto proprio questo?

La Morte Viene Dallo Spazio è il titolo di quello che è considerato essere il primo b-movie fantascientifico catastrofista italiano. L’abbiamo scelto come nome per il progetto perché lo troviamo originale e particolarmente evocativo, oltre a rappresentare gli albori di una corrente cinematografica e certe colonne sonore che ci affascinano e a cui ci rifacciamo nelle atmosfere. Il nostro sound si contraddistingue infatti per l’ampio utilizzo di synth analogici, tastiere e theremin, che conferiscono alla musica un carattere spaziale e alieno e richiamano volutamente le atmosfere di quelle pellicole. Ci piace utilizzare la musica per trasportare l’ascoltatore in una realtà sospesa, in mondi inesplorati in cui l’ignoto può essere tanto minaccioso quanto meraviglioso.

Sia dal nome che dal sound, si evince un profondo legame con un certo tipo di cinema di genere, che ha vissuto il suo apice (con conseguente rivalutazione a posteriori) proprio in Italia. Siete tutti appassionati del cinema di Bava, Margheriti e affini?

I più appassionati di b-movie fantascientifici sono i fondatori del progetto, Bazu (chitarra) e Angelo (flauto), membri stabili de La Morte Viene Dallo Spazio fin dagli albori, quando il progetto aveva ancora natura di collettivo, e che a quel tempo hanno deciso di prendere in prestito il titolo dell’omonima pellicola appunto per la loro fascinazione verso il cinema di genere. Tutti noi comunque siamo cresciuti con i film di Bava, che amiamo particolarmente, come “Terrore nello spazio” e “La maschera del demonio”, per citarne un paio. Pensiamo che il cinema italiano degli anni ‘50-’60-’70 avesse delle atmosfere molto particolari, inquietanti e sinistre come le loro colonne sonore. Al di là del genere fantascientifico, anche i film gialli/horror di Fulci e Argento ci hanno influenzato e ispirato.

La componente space è sicuramente uno dei cardini della vostra proposta, oltre al kraut, la psichedelia e il metal. Quali sono i gruppi o più in generale le sonorità che hanno ispirato il vostro sound?

Siamo aperti a molteplici generi musicali, anche per le nostre diverse estrazioni musicali, e ognuno di questi influenza il nostro sound in qualche modo. Dalla prima psichedelia degli anni ‘60 e dal prog rock, passando dall’heavy psych dei ‘70, fino al death metal dei primi anni ‘90, molte band hanno influito sulla forma che il progetto ha raggiunto oggi. Di queste potremmo menzionare Hawkwind, Silver Apples, Amon Düül II, Goblin, Atheist, Nocturnus e Pestilence, per dirne alcune.

Diverse band italiane di spessore (penso ai Goblin/Daemonia, Calibro 35, Bologna Violenta) hanno scelto di costruire e modellare la propria estetica musicale col cinema, per poi mostrarsi al mondo con la propria unicità. Credete che questo procedere per immagini stimoli in qualche modo l’ispirazione per la composizione?

Le immagini possono essere un grosso stimolo creativo in effetti. Diverse volte ci è successo di ricavare spunti per un nuovo brano proprio da un film e dalle sensazioni che ha evocato in noi. Per questo motivo durante i live spesso facciamo in modo di affiancare la nostra musica con immagini, proiezioni che accompagnino i nostri ascoltatori in un viaggio in una realtà altra. I sensi sono tutti interconnessi, ma vista e udito in particolare possono suscitare emozioni e reazioni concatenate vicendevolmente.

Come funziona il vostro processo creativo? Nasce in solitaria o dal flusso collettivo dell’improvvisazione?

Ognuno di noi ha la propria parte nella composizione dei brani, ma il primo spunto spesso parte da Bazu, il nostro chitarrista, che con i suoi riff crea la base perfetta per approcciare la struttura di un nuovo brano. Il processo creativo è semplice, molte volte una canzone nasce in modo naturale e viene sviluppata e migliorata nel tempo fino a raggiungere un risultato finale soddisfacente in cui ci sia armonia tra le varie parti e gli strumenti coinvolti, altre volte invece decidiamo di creare un brano con uno stile particolare dal quale ci sentiamo più influenzati in un dato momento e prima di iniziare il processo di composizione cerchiamo la giusta ispirazione.

Come raccontereste “Trivial Visions” a qualcuno che ancora non vi conosce?

Trivial Visions” è il nostro secondo album, uscito per Svart Records, con il quale abbiamo voluto realizzare una sorta di fusione tra i generi ai quali ci sentiamo legati, abbastanza diversificati tra loro così come lo è il background musicale dei componenti della band. Probabilmente è un lavoro che ad un primo ascolto risulta difficile da classificare; abbiamo volutamente preso le distanze dagli standard di genere per creare qualcosa che lasciasse un segno nel panorama musicale contemporaneo. Ci siamo lasciati ispirare da atmosfere oscure, volevamo che i brani avessero un forte impatto sull’ascoltatore e sicuramente abbiamo lasciato trapelare una certa inclinazione verso il metal, ma senza abbandonare Ia cosmicità del progetto. I testi di “Trivial Visions” sono stati scritti in una fase di isolamento sia dalla scena musicale, per l’impossibilità di svolgere attività live, che dal mondo in generale, viste le restrizioni cui siamo stati soggetti soprattutto nel periodo di marzo e aprile dello scorso anno, mesi in cui ci stavamo dedicando alla finalizzazione dei brani, che rispecchiano appunto lo stato d’animo di quel momento.

Trovo “Trivial Visions” un lavoro che prende le distanze da un inquadramento discografico ‘’sicuro’’ per spingersi più avanti rispetto a “Sky over Giza”. La libertà che si respira fra le tracce dell’album è qualcosa che tenete a mente in fase di scrittura o una cosa che viene naturale?

In “Trivial Visions” in realtà c’è molta meno libertà di quanta ce ne fosse in “Sky Over Giza”, infatti avendo lasciato da parte l’approccio free con cui è stato realizzato il primo album qui c’è stato molto più lavoro e tempo dedicato alla struttura dei brani e alla loro registrazione. La libertà a cui fai riferimento c’è però dal punto di vista stilistico, avendo attinto da diversi generi musicali, anche molto diversificati tra loro, per la composizione delle canzoni. L’eterogeneità dell’album è voluta, nel senso che per creare qualcosa di nuovo siamo usciti deliberatamente dagli schemi per svincolarci dai canoni stilistici. Sicuramente volevamo mantenere le atmosfere spaziali del primo album, esasperandole strizzando l’occhio al death/black metal.

Quali sono i piani per il futuro prossimo della band? C’è qualche traguardo che vorreste raggiungere?

Nel breve termine il principale obiettivo è quello di tornare a suonare sui palchi italiani ed internazionali con la stessa continuità di prima. Con la pandemia tutto sembra essere diventato più difficile e macchinoso, c’è molta incertezza e timore nell’organizzare un tour con il rischio che all’ultimo possa venire annullato per l’aggravarsi dell’emergenza sanitaria, comunque confidiamo che il peggio oramai sia alle spalle.
Più in generale, la volontà è quella di continuare a crescere, possibilmente partecipando a festival importanti in Europa e facendo girare il nome il più possibile. Finora abbiamo avuto davvero molte soddisfazioni e contiamo che il futuro ce ne riservi altre.

Credits: La morte viene dallo spazio

Diverse band italiane e non hanno abbracciato la formula del live streaming come risposta all’impossibilità di tenere concerti. Come vi ponete nei confronti di questa nuova configurazione?

Non abbiamo mai preso in considerazione la possibilità del live streaming, perché per noi l’esperienza live ha senso proprio per la presenza del pubblico, che ci carica positivamente. Non a caso il progetto è nato proprio sul palco, come jam band, e solo molto tempo dopo abbiamo iniziato a provare i brani e a dedicarci alla composizione. La Morte Viene Dallo Spazio senza pubblico non sarebbe quello che è, anzi, non esisterebbe, perché è stato proprio grazie ai riscontri positivi delle persone presenti ai live che abbiamo iniziato a credere nelle potenzialità della nostra musica, inizialmente del tutto sperimentale e improvvisata. Al posto di fare live streaming, nei mesi in cui la pandemia ha colpito più pesantemente abbiamo preferito dedicarci alla realizzazione di alcuni nuovi brani che faranno parte del nostro prossimo album, speriamo accelerandone le tempistiche di uscita.

Quali sono i dischi e i film che più vi hanno colpito negli ultimi anni?

Parlando sia di musica che di film, siamo cultori più delle produzioni del passato che del presente, ma sicuramente non mancano uscite interessanti anche nel panorama contemporaneo. Tra le più recenti di quest’anno ci è piaciuto molto il nuovo “Torn Arteries” dei Carcass, perchè suona old school ma senza risultare banale, un po’ come i dischi death metal dei primi anni ‘90, quelli che preferiamo e che abbiamo ascoltato maggiormente. Essendo appassionati di diversi generi, tra i quali anche la musica etnica e folk, abbiamo apprezzato anche “Yol”, l’ultimo lavoro degli Altın Gün.
Tra i film usciti di recente, possiamo citare “Il buco” di Gaztelu-Urrutia, uno dei pochi film davvero spiazzanti visti negli ultimi anni. Tra i registi contemporanei seguiamo in particolare Martin Scorsese e David Fincher.

Grazie mille per il vostro tempo!

Grazie a te e ad Impatto Sonoro! Vi diamo appuntamento al nostro prossimo concerto, stasera allo Ziggy di Torino!

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