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Back In Time

Amore che dai, amore che ricevi, “Abbey Road” dei Beatles

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Da dove cominciare? Forse dall’iconica copertina? Dall’inconfondibile riff che dà inizio all’album o dal mirabile long medley posto alla sua conclusione? Partiamo da un preambolo più artistico e umano.

Terminate e affossate le sessioni per il progetto “Get Back”, data la litigiosa atmosfera che le aveva caratterizzate, i quattro baronetti di Liverpool si ritrovavano ormai sull’orlo dello scioglimento definitivo, senza possibilità di ritorno, agonizzanti dalle ormai serpeggianti tensioni tra i membri e dalle opprimenti questioni manageriali che li attanagliavano. Paul McCartney è il più motivato a non gettare la spugna, la carriera del gruppo ha bisogno di un finale appropriato. Per raggiungere l’obiettivo viene ricontattato George Martin, il fido produttore del gruppo, da molti definito “il quinto beatle”. Il presupposto è semplice: far convergere una volta per tutte le migliori energie creative dei quattro.

Canzoni come The Long And Winding Road, Get Back o la stessa Let It Be sarebbero confluite nell’ultimo album effettivamente pubblicato dalla band nel 1970, “Let It Be”appunto, dove però la risultante non è realmente l’atto conclusivo dei Fab Four poiché il lavoro è antecedente alla creazione di “Abbey Road”, il quale venne registrato nell’estate del 1969 e pubblicato il 26 settembre dello stesso anno. Per sentire e percepire la loro ultima fatica discografica dobbiamo fare affidamento proprio all’album oggetto di questa recensione. La copertina, un’immagine che ha fatto storia quasi quanto la componente musicale, potremmo leggerla oggi come un riassunto visivo dell’arte beatlesiana: semplice ma sofisticata, il risultato di una magnifica sintesi d’intenti che riesce a non cadere mai nella banalità.

L’incipit dell’album spetta ad una delle più famose composizioni di John Lennon: Come Together. Timothy Leary, “il guru dell’LSD” aveva commissionato una canzone proprio a Lennon per la sua corsa alla presidenza della California. Un abbozzo della canzone (“Come Together, Join The Party”) venne effettivamente spedito a Leary, il quale però fu costretto a ritirare la candidatura, diventando così uno dei più importanti contributi di John all’album. L’inconfondibile linea di basso, il sapiente lavoro ritmico di Ringo Starr alla batteria (la quale venne suonata applicando sul rullante e i tom delle tovagliette da tè), tutto è il risultato di un bellissimo lavoro sul groove, uno dei più belli di sempre. Nonostante John fosse ormai lontano dalle vicende beatlesiane, proiettato sempre di più verso la sua relazione con Yoko Ono e la campagna pacifista contro la guerra in Vietnam, le altre composizioni per l’album rimangono altrettanto esemplari e riflettono indubbiamente la profonda passione che la coppia stava vivendo in quel periodo: I Want You (She’s So Heavy) è una ballad erotica con un testo minimale, una strofa blueseggiante e un arpeggio pesantemente hard rock i quali ci proiettano nell’eros più profondo. Because, altra sua composizione, nacque dall’ascolto del Chiaro di luna beethoveniano suonato da Yoko Ono al pianoforte. John le chiese di suonarlo al contrario basandosi successivamente su quella sequenza di accordi per la composizione del brano.

Abbey Road” è anche l’album-conferma dell’enorme crescita di Harrison come autore: Something, con la sua dolce aura di romanticismo e il suo assolo molto claptoniano, venne pubblicata insieme a Come Together su 45 giri come “double A side”, diventando così la più importante canzone harrisoniana all’interno del repertorio dei Fab Four. Here Comes The Sun, altra grande perla dell’album, venne composta durante una magnifica giornata di sole durante la quale George aveva “marinato” la stressante routine che si era instaurata nell’ambiente della Apple Records (la casa discografica fondata dal gruppo nel 1968). Strimpellando la chitarra insieme all’amico Eric Clapton nel giardino della sua villa, la canzone prese forma nel giro di qualche ora. Si tratta di un brano che non ha bisogno di molte presentazioni, anch’esso diventato uno dei più conosciuti dei Beatles, purtroppo rimasto senza alcun contributo da parte di John.

Le composizioni maccartiane del lato A sono Oh Darling, in cui ci regala una delle sue migliori performance canore, e Maxwell’s Silver Hammer, una composizione dall’arrangiamento giocoso e dal testo piuttosto maligno, odiata dal resto del gruppo (A detta di George: “E’ un brano così stucchevole, mio Dio! Una di quelle cose che tira fuori Paul alle volte.. Dopo un po’ l’abbiamo sistemata bene, ma quando Paul si mette in testa un’idea di arrangiamento..”). Anche Ringo appose un tassello alla componente creativa dell’album con Octopus Garden, una canzone dal gusto country provata durante le sessioni del progetto “Get Back”.

Con la maccartiana You Never Give Me Your Money si apre la seconda parte dell’album, quella del long medley, una specie di montaggio tra vari frammenti musicali meglio identificabili come una suite. Il progetto nacque da George Martin e trovò l’entusiasmo di McCartney, Harrison e Ringo, sprigionando le loro energie creative. Nonostante le proteste di Lennon, che sminuirà più volte l’idea, il risultato del progetto è uno dei punti più alti di tutta la discografia del gruppo e si presenta con la seguente struttura: You Never Give Your Money/ Sun King / Mean Mr Mustard / She Came In Through The Bathroom Window / Golden Slumbers / Carry The Weight / The End / Her Majesty, una magnifica sequenza di dolci melodie, echi classicheggianti e momenti rock n’roll ci accompagnano verso un finale con i fuochi d’artificio, con il distico “And in the end the love you make is equal to the love you made” che tocca l’apice di quell’addio quanto mai toccante dei baronetti di Liverpool.

Posta quasi come una scena post credit di un film della Marvel, Her Majesty chiude definitivamente la tracklist di “Abbey Road”. Una composizione leggera, irriverente e ironica, posta inizialmente tra Mean Mr Mustard e Polythene Pam. McCartney, il compositore del brano, era deciso inizialmente a non inserirla nell’album ma il fonico John Kurlander, avendo ricevuto precise istruzioni dai dirigenti sulla conservazione del materiale registrato dal gruppo, la inserì alla fine del lato B. Il giorno seguente Paul McCartney, riascoltando l’album, trovò Her Majesty a chiudere il lavoro. La sorpresa fu così gradita che decise di lasciarla lì, a chiusura dell’album.

Con “Abbey Road” i Beatles avrebbero raggiunto vari obiettivi; il giusto e degno addio come gruppo, la conferma delle enormi capacità compositive del duo Lennon-McCartney, la piena crescita di Harrison come autore, il miglioramento tecnico e compositivo di Ringo Starr e l’ennesimo invidiabile risultato di George Martin alla produzione. Esistono finali che lasciano più consapevoli , cambiati, colpiti dalla potenza che hanno suscitato in noi quelle note? Con qualche lacrima che s’insinua durante le ultime frequenze emanate dal disco prima del nostro stop? Ecco a noi un esempio che ha del magistrale.

Ladies and gentlemen: The Beatles!

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