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Retrospettive

“Take Jesus – Take Marx – Take Hope”: la storia breve ma intensa dei The Housemartins

Band criminalmente sottovalutata, The Housemartins. Una discografia (che poi si riduce a 2 soli Lp) per raccontare una storia breve, ma intensa, che comincia nella città di Hull (Yorkshire, nord dell’ Inghilterra) nel 1983. Sono i decantati anni ‘80, il decennio della “lady di ferro”, Margaret Tatcher, ultra conservatrice repubblicana che si batteva per elidere posti di lavoro e diritti sindacali degli operai. Considerando che la maggioranza delle industrie e delle miniere erano locate nel nord del Regno Unito, pare plausibile che in tanti adotteranno idee socialiste, tra questi anche gli Housemartins, agitatori di matrice dichiaratamente marxista, cristiani, contrari all’estabilishment britannico, anti governativi, refrattari alla corona.

La collocazione geografica sicuramente contribuì a decriptare lo stile della band, lontana dalle correnti in voga a Londra (come la New Wave o il Post Punk),avvicinandola di più ad un brit pop dove le chitarre squalificavano i sintetizzatori così inflazionati in quel decennio. Eppure,come ammesso dallo stesso frontman, P.D Heaton, l’afflato musicale non era incasellabile in un unico genere. Ascoltava un po’ di tutto, come confessato da lui stesso, pur nutrendo una idiosincrasia per l’Heavy Metal.

Il gruppo, come detto, si forma nel 1983 a Hull (tra l’altro città natale del grande Mick Ronson, chitarrista di Bowie ) con P.D. Heaton voce, Stan Cullimore chitarra, Hugh Whitaker batteria e Ted Kay, rimpiazzato quasi subito da Norman Cook al basso. Dopo una serie di concerti locali, e la partecipazione con il brano Flag Day nella compilation “Laughin all the way to the bank” vengono notati dagli addetti ai lavori, ed il grande dj John Peel  li invita in radio. Registrano con lui  una breve session. Il tutto suscita l’interesse della Go!disc, che nel 1985 ripubblica il singolo Flag Day e l’anno successivo i singoli Sheep, una canzone che spronava gli inglesi a non comportarsi come un gregge di fronte all’atteggiamento noncurante della classe politica dominante, e Happy Hour (entrambe orecchiabilissime e pop).

Questo ultimo singolo, uscito nel maggio del 1986, raggiunse la posizione numero 3 e fece scoprire gli Housemartins al grande pubblico, anticipando per altro di qualche mese l’uscita dell’ album “London 0 Hull 4”, titolo apparentemente ironico che cela molteplici significati. Potrebbe essere una metafora calcistica, ironizzante sulla pochezza delle squadre di football londinesi di quel periodo. Oppure potrebbe essere una rivalsa, la fantomatica vittoria della città industriale di Hull contro la città del potere inglese, una Gotham corrotta, imborghesita da loschi personaggi incravattati , subdoli, compiacenti. Sul retro della copertina è riportato il messaggio Take Jesus – Take Marx – Take Hope

Di certo, sono tre assiomi dal quale in gruppo non prende mai le distanze. Al contrario, nei loro testi sprezzanti il potere, gli Housemartins criticano aspramente alcune usanze come il Flag Day per citarne una (“Troppe mani in troppe tasche, poche invece sui cuori…”, una desolata descrizione ‎dell’impoverimento della gente nella “perfida Albione” al tempo della perfida “Lady di Ferro”).‎ E ce n’è anche per la corte reale: “…chiedendo l’obolo alla regina, visto che la sua borsa è così ‎piena da scoppiare…”‎. ‎“God save the Queen, the fascist regime”, cantava d’altronde qualcun altro qualche anno prima degli ‎Housemartins.

Le prime pubblicazioni della band li videro descritti come jangle pop, portarono a paragoni con band come gli Smiths e gli Aztec Camera. David Quantick, scrivendo per Spin, li descrisse nel 1986 come “tradizionale pop di chitarra in stile anni ’60 sovrapposto a voci soul”. Cook descrisse la band come “religiosa, ma non cristiana”, e il repertorio della band includeva canzoni gospel. Molti dei testi della band hanno temi socialisti, con Cook che afferma che “Paul si rese conto che odiava scrivere sull’amore…e che scrivere politicamente gli è stato più facile”, descrivendo alcune delle loro canzoni come “rabbiosamente politiche”. 

Dopo la fortunata stagione estiva gli Housemartins decidono di produrre Caravan Of Love, una cover del brano degli Isley Brothers, riproposta in un’inedita versione a cappella in stile doo-wop e uscito nel mese di dicembre. Diventerà il loro singolo di maggior successo e il loro primo numero uno in classifica, anche se solo per una settimana; Era inclusa in un Ep contenente cinque brani eseguiti esclusivamente dalle loro voci, senza nessun apporto strumentale e, quello che sembra un giochetto dovuto solo alla bizzarria dei quattro ragazzi, si trasforma, come già detto, nel loro primo n.1 nelle classifiche di vendita.

All’inizio del 1987, gli Housemartins sono quindi al loro apice di popolarità e vengono premiati con il Best British Newcomer ai Brit Awards annuali a cui, però, rifiutano di partecipare in polemica con la stampa musicale. L’inaspettato successo ha un profondo effetto sul batterista Hugh Whittaker che, nella primavera di quell’anno, lascia il gruppo sostituito da Dave Hemingway (vecchio compagno di scuola di Hugh), ex batterista dei Velvetones. 

The People Who Grinned Themselves to Death” è il secondo ed ultimo album in studio della band inglese, pubblicato nel settembre del 1987 dalla Go! Discs. L’album segna una piccola svolta soul (vedi anche il rhythm and blues della title-track) che però rimane sempre legata alle tematiche sociali nei testi (come la lotta di classe di Me & The Farmer e di We’re Not Going Back). Il disco entra rapidamente nella top 10 della classifica. Il titolo farebbe riferimento alla famiglia reale britannica che, secondo il parere della band, avrebbe guadagnato popolarità attraverso inutili polemiche sui tabloid inglesi (tematiche  simili a quelle di altre band come i Sex Pistols , gli Smiths e gli Stone Roses ). A differenza del primo disco viene introdotta una piccola sezione di fiati (tromba e tuba). Il crooning di Paul David Heaton  rimane invariato e in  molti erroneamente lo confondono con la  voce di Morrisey.

All’apice di una popolarità che, dal circuito indipendente, li aveva da poco catapultati nelle classifiche mainstream, la band decide inaspettatamente di porre fine alla carriera musicale e, nel 1988 le strade di tutti i componenti si separano con una decisione consensuale annunciata dallo stesso Paul Heaton tramite una curiosa lettera aperta all’NME. La band si sciolse nel 1988, ma i membri sono rimasti in contatto e hanno lavorato sui progetti l’uno dell’altro. Norman Cook ha riscosso un notevole successo con Beats International e poi come Fatboy Slim (sì, non tutti sanno che…), mentre Heaton, Hemingway e il roadie Sean Welch hanno formato i Beautiful South.

Immediatamente dopo la separazione, l’etichetta, con l’assenso della stessa band, decide di pubblicare la raccolta postuma “Now that’s what I call quite good” contenente, oltre a materiale proveniente dalle precedenti produzioni, anche inediti come You’ve Got a Friend (cover del brano di Carole King, portata già al successo da James Taylor nel 1971) o He Ain’t Heavy, He’s My Brother, successo degli Hollies del 1969.

Nonostante le insistenze dei fan, gli Housemartins non si sono mai ricostituiti. Anzi, nell’agosto del 2009, per la prima volta in molti anni, la rivista musicale Mojo ha organizzato una sessione fotografica e un’intervista con i membri originali. Nel corso del colloquio tutti i membri hanno ribadito il fatto che la band non si sarebbe mai più riformata.

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