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“Here Come The Warm Jets” di Brian Eno, una pietra miliare dell’art rock

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Il titolo Warm Jets deriva dalla distorsione della chitarra presente nell’omonima traccia, che ho descritto sui crediti come “chitarra a getto caldo”, perché aveva il suono simile a quello di un jet intonato. Poi avevo il mazzo di carte da gioco con l’immagine di una donna e il collegamento scattò. Questa era una delle cose in voga allora: che la musica fosse legata a un’idea di rivoluzione, e che una delle rivoluzioni è stata la rivoluzione sessuale. Non dicevo nulla di che politicamente, ma mi piaceva divertirmi con queste cose. La maggior parte delle persone non se ne rese conto per un lungo periodo – erano cose nascoste piuttosto profondamente!

Così Brian Eno spiegava nel 1996 in un’intervista concessa a Mojo la genesi del suo album da debutto da solista “Here Come The Warm Jets“, disco che per certi versi anticipa le sonorità che il compositore britannico contribuì magistralmente a creare per David Bowie nella trilogia berliniana. La critica all’epoca lo inserì nel calderone del glam rock, ma più correttamente si parlò anche di art-rock.

Here Come The Warm Jets“, in realtà trascendeva le definizioni e gli stili, mischiando il pop-rock con le più svariate influenze, dalla classica al jazz, fino all’estetica barocca, in pieno contrasto con la produzione ambient ed elettronica del Brian Eno di qualche anno più tardi.

Registrato con la partecipazione di moltissimi ospiti illustri – e sarà questa una caratteristica peculiare delle produzioni di Brian Eno – tra cui Robert Fripp e John Wetton dei King Crimson, Simon King degli Hawkind, Bill MacCormick dei Matching Mole, Bryan Ferry, il disco ha visto nella sperimentazione una sua caratteristica fondativa. Eno, infatti, nel mettere a punto i brani sia in fase di composizione che in studio, utilizzò metodi inusuali come ballare e cantare frasi senza senso di fronte ai musicisti spingendoli a suonare trascinati dal ritmo dei brani.

Photo: Micheal Putland

Here Come The Warm Jets“, come tutte le pietre miliari, è un album che necessita di molti ascolti per essere compreso a pieno, ma in alcuni suoi brani a spiccare è l’estrema immediatezza: ne è un esempio in tal senso Cindy Tells Me, un brano essenzialmente pop con echi spaziali e un ritornello dal sapore retrospettivo ma mai banale e anacronistico. La title track, invece, si basa di un riff semplice ma incisivo, forse invadente per il nostro desiderio di un ascolto che vorrebbe protrarsi all’infinito. La parte cantata qui non è la portata principale della canzone ma un mero addobbo che sostiene una parte strumentale stratificata e complessa. Meraviglioso poi è come le chitarre slide creino un senso di assenza di gravità come alcune bolle di colore che salgono e alcune bolle di colore che scendono.

Mondi contrastanti si rincorrono in un disco dalle tante anime ma dalla essenziale solidità, che per la critica occupa forse un posto di minor rilievo nella produzione di Brian Eno, di fatto sovrastato dalle sonorità più algide della straordinaria epopea ambient, ma che è un ascolto fondamentale per chiunque voglia approcciarsi allo sfaccettato panorama dell’art-rock.

Sono passati 50 anni dalla sua pubblicazione, ma “Here Come The Warm Jets” sembra perfino provenire dal futuro. Alcuni lo catalogano addirittura come proto-shoegaze, ma credo sia inutile e impossibile catalogare un lavoro così variegato. Non rimane che ascoltare e godere.

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