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Polvere negli occhi di chi guarda: i 30 migliori dischi di hardcore italiano (’80-’90)

Noi siamo polvere negli occhi di chi ci guarda
Solo polvere fastidiosa, nelle menti di chi non ci accetta
Solo polvere fastidiosa, tra le labbra di chi ci ferisce

Indigesti – Polvere fastidiosa

Non ho vissuto nella sua totalità, per cause ovviamente anagrafiche, ciò che fu l’hardcore in Italia durante l‘ultimo ventennio del secolo scorso. Iniziai ad andare ai concerti solo nel 1996, quando avevo quindici anni. Assieme ai ragazzi della mia età, ai miei amici, però, attraversai quell’epoca assorbendo il più grande numero di informazioni ed esperienze possibile, senza tregua, come se esistesse solo quello. La scena che stavamo vivendo derivava direttamente dalla rabbia punk dei primi anni ’80, così iniziai a comprare e ad ascoltare, praticamente, solo quel tipo di musica, fondamentale per le lotte sociali e politiche di quell’epoca. Radicale, diretta e dissacrante anche nel modo di imporsi come stile di vita, più che rappresentare una moda fatta di scarpe da skate, chiodi, magliette di seconda mano e creste.  

Ci sentivamo diversi, ci sentivamo su un altro mondo. Non intendo migliori: esclusivi, semmai, più coerenti con la realtà nella quale vivevamo, più attenti. Ai concerti trovavo un’infinita quantità di dischi, split, EP e fanzine, che presto divennero il principale mezzo tramite il quale informarmi, leggere e ascoltare. In mezzo ai mozziconi di sigarette, scavando tra le lattine vuote, frugando copertina dopo copertina, scoprii che oltre al mondo delle major e dei gruppi hardcore che passavano su MTV o facevano parte del roster del Vans Warped Tour, esisteva una scena italiana che andava supportata e conosciuta, perché fu a sua volta fondamentale, su larga scala, per l’evoluzione culturale di quelle stesse band mainstream che erano sulla bocca di tutti. Autogestione, autoproduzione, boicottaggi: ecco le armi che servivano per essere dei kids: prima veniva il messaggio, necessariamente, poi la musica.

Credo sia sintomatico, come particolare, che in questo ventennio che mi appresto a descrivere tramite voci, musica e cronologie, abbiano convissuto realtà e produzioni così differenti tra loro, per quanto riguarda stile, attitudine e suono: ciò dimostra quanto fervida e stimolante fosse la scena italiana dell’epoca, in contrapposizione, escludendo rari casi, alla querula realtà musicale libertaria odierna. I trenta dischi sono in ordine di importanza solo per quanto riguarda le prime tre posizioni.

Sottopressione – È Il Momento (1994)

Lo misi nel lettore CD e subito arrivò quella grancassa. Che quasi sovrastava le chitarre. Li andai a vedere a Gallarate a sedici anni, ero così ubriaco ed eccitato che caddi e mi feci molto male. Sul manifesto dell’evento (di spalla vi erano i Coffee Mug, hardcore melodico da San Macario) vi era indicato “Sottopressione, MIxHC” con la croce. Un mio amico mi chiese cosa significasse, credendo non lo sapessi. “Milano Hardcore”, gli risposi, tronfio. In questa edizione del disco, uscito nel 1994, vi erano presenti alcune registrazioni live. Il manifesto del concerto, ora, l’ho fatto plastificare.

Frammenti – L’Appeso (1997)

Dolce, sentito, sofferto. Fece capire ai kids che suonare hardcore non significasse, per forza, abbandonare le emozioni. Anzi. I Frammenti ci insegnarono che proprio queste emozioni potevano venire accompagnate da spirito, rabbia e romanticismo, amplificandosi. Scivolando via fu coverizzata dai Kafka quasi dieci anni dopo, in “The Will”. Li vidi dal vivo in occasione di una loro reunion, al Leoncavallo. Piansi, quasi, anche se il concerto non fu ciò che mi ero aspettato per anni. Quello che ho è un sole che abbaglia. El Paso lo coprodusse con un’altra decina di realtà dell’epoca, tra cui Agipunk.  

Indigesti – Sguardo Realtà 82-83 (1994)

Noi siamo polvere negli occhi di chi guarda, il vento sono i loro giudizi, il vento sono i loro giudizi. Scrissi il testo di Polvere fastidiosa nei cessi del bagno di scuola. Eravamo in sei o sette, in tutto l’istituto, a conoscere gli Indigesti, il campo era molto ristretto, anche perché la mia calligrafia, pessima, è sempre stata facilmente riconoscibile.  “Sguardo realtà” mi fece letteralmente uscire di testa, ascoltavo solo Mass media o Mai, tutto il giorno. Nel 1999 telefonai a Biella, in Vacation House, per chiedere a Rudi Medea un’intervista per una fanzine che scrivevo all’epoca. Mi rispose con una domanda: “Intervista come Vacation House o come Indigesti”? La prima reazione fu quella di riattaccare, ma non ebbi il coraggio di farlo.

Negazione – Lo Spirito Continua (1986)

Ascoltai “Lo spirito continua” la prima volta su una cassettina. Sul lato A vi erano i Circle Jerks, sul lato B i Negazione. Mi addentrai nella parte A solo un anno dopo aver consumato il lato dei Negazione. La vittoria della sconfitta, Dritto contro un muro, Qualcosa scompare, Lei ha bisogno di qualcuno che la guardi. Non stiamo parlando di musica, stiamo parlando di cultura. Una cultura che ci trasporta in una città difficile e amara, nella quale creare non ha lo stesso misero significato delle altre metropoli italiane: vuol dire combattere ogni giorno. Marco, all’epoca bassista in questo disco, è da poco mancato. È stato anche uno scrittore che parlava di calcio, del calcio a Torino. Perché Torino era la sua città.

Tear Me Down – Morire Di Tolleranza (1997)

Solo inni, solo voglia. Di lottare, di prendersi le proprie responsabilità. È il disco più impegnato di sempre, più “spartiacque” e più manicheo della storia del punk italiano. Abbiamo le storiche Emo di merda, i classiconi Come mi vogliono e Scuola, senza dimenticare la citazione graffiniana di Come l’inferno potrebbe essere peggiore? Chiunque ascoltasse questo disco troverebbe spunti e avrebbe l’urgenza di andare avanti. Copertina alla Good Clean Fun con tanto di punx, sxe e skins in assemblea. Non musica, ma rabbia punk-hardcore.

Skruigners – Ricercato (1997)

Copertina punk con ritagli di giornale, titoli. Feste di fine anno a scuola, gruppi locali, c’erano anche loro: “Ricercato” era appena uscito, in formato cassetta. Assieme a litri di vino rosso scadente, assieme all’estate che si stava avvicinando, assieme alle corse durante le manifestazioni, alle creste colorate e alle prime toppe sulle felpe. Era roba nostra, di gente che incontravamo sui pullman affollati. Un disco fondamentale, grazie al quale appresi cosa significasse “straight edge”, in una maniera più rustica che ufficiale.  La cosa che non ha importanza e tutti gli altri brani finirono poi, l’anno successivo, nel loro primo disco, un album propriamente detto. “E non mi piace rispondere sì, se dicono che sono punk”: non era tanto vero, alla fine.

Mach 5 / PHP – Split (1999)

Gli Shutdown italiani registrarono un disco assieme al gruppo forse più sperimentale di quegli anni. Mach 5 e Psycholiday Project abitavano nei dintorni di Milano, ma presto raggiunsero gli stereo e i palchi di mezza Italia. Andammo a comprare il CD da Riot, in Viale Monza, dopo averne letto una recensione in una delle tante ‘zines che giravano, e ce ne tenemmo qualche copia in distribuzione, da portarci dietro ai concerti. Credo sia il disco che più abbia espresso, guardando a ritroso negli anni, il concetto di “scena”. “Mach cinque”, comunque, non “Match five”.

Kafka – Truths (1999)

Metal edge strillone all’ennesima potenza. Prendendo spunto da Snapcase ed Earth Crisis, “Truths” divenne un album unico nel suo genere non solo in Italia, ma in Europa.  Con il passare degli anni, i cinque di Genova cambiarono stile ma questo dischetto, uscito per No! Records, rimane comunque un diamante grezzo, alquanto snobbato dai punks ma idolatrato dai metallari e gli hardliners vecchia scuola di tutto lo Stivale. Chugga-chugga totalizzante e testi impegnati, soprattutto per quanto riguarda tematiche ambientaliste e libertarie.

High Circle – Shadows On The Wall (1990)

“Ascoltati ‘sto disco, che a te piacciono i Cure!” così mi disse un veterano della scena novarese riguardo a questo lavoro, di fine anni ’80, composto dai romani High Circle. Fulmine a ciel sereno. Sonorità New York alla Supertouch e pop rock british, un crogiolo di frazionamenti e idee, un disco incredibile. Non molto Cure, in effetti, ma semplicemente unico.

Growing Concern – What We Say (1991)

Sfido, per l’epoca, a trovare un titolo più NYHC di questo EP. Sette pezzi che potrebbero, anche oggi, comparire in una qualsiasi tracklist di un qualsiasi (e famosissimo) gruppo dedito all’old school. Hood Crew, What You Say? e tupa tupa con tutti i crismi del caso. “Sono hardcore come i Growing Concern”, non a caso, dicevano i Colle der Fomento.

By All Means – Blind Side (1993)

Il secondo full length dei By All Means uscì per la veneta Green Records, ma iniziai a conoscerli e ad ascoltarli dopo aver visto live alcuni concerti dei Nervi, gruppo ultracore militante nell’orbita della Villa di Milano. Fu forse uno dei primi gruppi a rendermi consapevole dell’importanza del messaggio e della centralità della coerenza, non solo a livello musicale, in un disco punk. Gli annunci e i cosiddetti “spiegoni” dei gruppi americani valevano poco, in confronto a ciò che crearono quei ragazzi.

The Eu’s Arse – Lo Stato Ha Bisogno Di Te? Bene, Fottilo (1982)

Senza mezze misure, i friulani Eu’s Arse (il buco del culo dell’Europa) ripercorrono le strade violente dell’anticapitalismo. Questo album è un affronto diretto alle logiche dell’oppressione, senza vinti né vincitori: suona come uno spoken word, una denuncia all’abissale differenza tra chi lotta ogni giorno e chi, al contrario, fa di tutto per porsi al di sopra.

Peggio Punk – Ci Stanno Uccidendo Al Suono Della Nostra Musica (1985)

Da Alessandria, ecco il disco che, forse, più di tutti gli altri funzionò da link tra l’hardcore e il crust. Caotico, immenso. Autoprodotto dalla stessa band, come spesso succedeva. Moda, Disastro sonoro e Sogni e illusioni divennero dei propri inni per quegli anni, ma soprattutto per le generazioni a venire. I La Piovra, per esempio, ripeterono i brani dell’EP “Disastro Sonoro”, uscito nel 1983, in un loro disco.

Comrades / Eversor – Split (1998)

Da una parte gli Eversor, emocore di estrazione Washington di cui abbiamo ampiamente parlato ultimamente, dato che hanno di recente pubblicato un lavoro nuovo di pacca. Dall’altra, il non plus ultra del cosiddetto “bu-su-atatà”. Inserisco in lista questo split, uscito ovviamente per SOA Records, perché le canzoni, soprattutto quelle del lato Comrades, rimandano perfettamente all’atavico sentimento di nostalgia verso i “tempi che furono” della scena hardcore che farà da padrone negli anni a venire. Youth is gone, crew is dead.

Colonna Infame Skinhead – Colonna Infame Skinhead (1998)

Il significato più specifico del termine Oi!-core. Molto più hardcore e furioso di almeno i tre quarti di tutti i dischi hardcore usciti in Italia, da sempre. Un disco incredibile, violento e assetato. Estremo e basilare, al di là dell’essere “orgoglioso” e “rude”, all’epoca la sua uscita fu un vero shock per tutta la scena. I concerti erano un vero e proprio mucchio selvaggio, le canzoni si imparavano quasi subito. Cover di Ragazzo di strada dei Corvi included.

Declino – Eresia (1985)

In quarta superiore decidemmo di iniziare a registrare cassette musicali da scambiarci. La prima che mi toccò fu una compilation dei Declino, praticamente tutti i loro pezzi. Il suono era offuscato, brutale: non riesco ad immaginarli in alta definizione. Una pietra miliare della musica estrema italiana, non solo di quella legata al punk hardcore.

Arturo -Ar-Cor (1995)

Il simbolo dell’occupazione in copertina, così, senza mezzi termini, sopra ad un volto sfigurato. Erano quegli anni. Gli anni in cui i ragazzi occupavano prima e autogestivano dopo. Sfilavano coi caschi per le strade di Torino, nel nome dei quartieri più poveri e di coloro che morivano nelle carceri per colpa di una guerra tra oppressione e oppressori. Ancora una volta, un disco fondamentale arriva dal capoluogo piemontese e riempì gli squat e i centri sociali di tutta Italia con il suo messaggio spiccatamente punk e la sua velocità. Filastrocche (Vespa) e struggenti canzoni d’amore, come Lei, appaiono, a far da contorno a una denuncia irriverente, premonitrice di catastrofe.

Concrete – Nunc Scio Tenebris Lux (1998)

Lungo, frastornante, difficile e sanguinario: ecco il disco hardcore più estremo e sperimentale mai scritto in Italia. Non vi sono riferimenti, né qui né all’estero, per questa pietra miliare che non ha mai avuto collocazione spazio-temporale adeguata. Chi ascoltava i Concrete non poteva ascoltare altro. Ogni volta che lo si manda avanti, però, si capisce quanto possa essere innovativo un suono così, come quello espresso dai Concrete, anche ai giorni nostri.

Raw Power – Too Tough To Burn (1993)

Non è di sicuro il disco più famoso dei giganti emiliani, ma sicuramente è quello a cui sono maggiormente legato. Perché lo trovai a caso, nelle offerte di un noto negozio di dischi della mia città, in quei vasconi di legno dove tutti mettono le mani e dai quali raramente qualcuno osa estrarre qualcosa. “Too Tough To Burn” appartiene all’epoca trash metal dei Raw Power: non ha, al suo interno, hits e particolari attimi di denuncia, e lo ascoltai relativamente poco rispetto ai più famosi “Screams From The Gutter” e “You Are The Victim”, ma quella copertina così steampunk e quei suoni così differenti mi aprirono scenari musicali del tutto inaspettati. Tipo Anthrax e Guns n’Roses.

Kina – Nessuno Schema Nella Mia Vita (1984)

Siamo nei Territori del Nordovest. Un dolce pessimismo, quasi scanzonato, si mischia ad una spinta libertaria romantica e disinteressata. “Nessuno schema nella mia vita” è un disco che profuma di neve, di furgone, di sorrisi nonostante tutto. Che ha dato ispirazione a centinaia di gruppi, a decine di fanzines, a un’intera scena. Mea culpa, non li ho ascoltati abbastanza e alle volte mi mancano, quasi a livello fisico. “Non voglio più sorrisi, non accetto più promesse, non mi piace il tuo sorriso.

Wretched – In Nome Del Loro Potere Tutto È Stato Fatto… (1983)

Un colpo netto: i punx finalmente presero la parola, assiepandosi sulle barricate, abbandonando il nichilismo. Un disco che dichiara guerra alla guerra pendendo spunto da ciò che di più estremo e violento era nato in Inghilterra sul finire degli anni ’70. A livello di importanza globale, paragonabile a “Hear Nothing See Nothing Say Nothing” dei Discharge, uscito l’anno prima. Abbasso il pacifismo da freakettoni e da comune crassiana, viva la lotta.

Timebomb – The Full Wrath Of The Slave (1998)

Prima di diventare una (fighissima) band pop, I romani Timebomb incisero un paio di dischi belli tamarri, prendendo spunto dal deathcore e dal metalcore che impazzava, soprattutto in Francia e in Belgio, verso la metà degli anni ’90. “The Full Wrath Of The Slave” uscì per la famosissima label belga Genet Records ed azzittì i puritani del genere di mezzo mondo suonando più metallaro di “Life, Love, Regret” e determinato quasi come “Content With Dying”. Perché erano quelli, i termini di paragone.

SFC – Prigioni (1997)

Sfido chiunque a sostenere che questo disco, uscito per Aarghh! nel 1998, non abbia rappresentato un’epoca. Il sound tarantino, le masserie, i concerti polverosi, i tour lunghi un mese in giro per l’Italia. Gli SFC erano più di un gruppo musicale e questo album è innegabilmente il loro manifesto. Un atto d’amore verso il profondo sud e le tematiche libertarie e anticapitaliste. Con la partecipazione del rapper Fido Guido, che presta le sue parole in Spacefuckin’. Si va a ballare, negli anni ’90, ma si ascoltano anche gli SFC da Taranto.

Less Than Zero – Punto Zero (1996)

“Milano da pippare mi fa vomitare”. Comprai questo disco ad un concerto milanese freddo e umido. Band della zona, le solite cose, supportiamo svogliatamente, pensai. E invece. Hardcore ruvido e malinconico, veloce e cattivo, che sconsolatamente esprime il disagio di periferia come pochi gruppi hanno saputo fare nel tempo.  Basta menate sull’edge, sul veganesimo, sull’abbigliamento, sull’induismo: parliamo della nostra realtà, che è meglio. A mio parere, un album incredibile. Il nome della band è ispirato allo scrittore americano Bret Easton Ellis.

Bocca Chiusa – Bocca Chiusa (1995)

Amici comaschi mi consigliarono i Bocca Chiusa. “Secondo me ti piacciono”, mi dissero. Eravamo già nei primi duemila. Nella patria del punk rock melodico e del pop punk vecchia scuola, ecco un disco old school tra i più importanti degli anni ’90, però. Suonato come si sa suonare da quelle parti e capace, con la sua carica adrenalinica, di tracciare una linea di confine ben definita tra provincia e città, tra la fagocitante Milano e le colline frastornate da pub, fede calcistica e Converse All Star.

Crash Box – Finale (1987)

Nato per essere veloce.  Basterebbe solo questa sentenza per descrivere la linfa vitale che animava la scena punk dell’inizio degli eighties in Italia. Se non ricordo male, vidi per la prima volta “Finale” da Stiv Valli dietro a Via Torino, in uno dei tanti sabati pomeriggio di cazzeggio milanese. Si trattava di un disco rosso che non comprai, ma che maneggiai come Indiana Jones maneggia la statuetta nelle prime scene de “I predatori dell’Arca perduta”. Fuori, intanto, iniziava a far buio e non sapevamo ancora cosa fare per la serata.

Fall Out – Mondo Criminale (1988)

Da La Spezia, un disco anarcopunk fatto e finito. Un decennio dopo, la città portuale ligure sarebbe diventata patria del crust made in Italy, ma con i Fall Out si impose sulla scena grazie a questo lavoro, il primo di una discografia lunga vent’anni, che recava in copertina una foto di un Risiko e che parlava, mediante un’aspra denuncia, di come il mondo stesse andando a rotoli, su piccola e su larga scala. Il funerale della terra e Fahrenheit i brani più significativi senza ombra di dubbio.

Antisgammo – Vittime Di Un’Era Industrializzata (1996)

Lo ammetto, ascoltai questa band di Padova, per la prima volta, attirato dal suo nome, come feci per i Vapurella, per esempio. Luddisimo, autoproduzione, musica estrema. Era così labile il limite tra tematiche crust e grind che, verso la metà degli anni ’90, arrivarono gruppi come loro, ad unificare il tutto. Riuscendo in carriera perfino a condividere un disco con i Concrete.

One Fine Day – Though Guy Anthems (1998)

Primo disco prodotto dall’etichetta tedesca Impression, poi diventata Lifeforce. Gruppo di casa, erano di Novara: ecco da dove deriva il mio spiccato campanilismo. Io ascoltavo ancora NOFX e Lagwagon mentre loro giravano per l’Europa. Punto di riferimento per il chugga chugga mondiale, questo disco è dotato inoltre di una carica noise tutta midwest. Punk, ok, ma equipped with brain. Nulla a che vedere, a dispetto del titolo, con il macho-core.

Upset Noise – Nothing More To Be Said!! (1987)

Look da thrasher, scarpe allacciate e si vola. Il thrash metal newyorchese si prende un pezzo del Nordest e dà lezioni a tutta Europa. Suoni ovattati e provocazione, “Nothing More To Be Said!!” è un disco senza precedenti nel panorama italiano.

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