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Interviste

Under The Sign Of The Black Mark: intervista a Ramon Moro

Sono convinto che soprattutto negli ultimi tempi sia sempre più evidente il distacco fra il pubblico ascoltatore, sempre più polverizzato dalle tensioni e preoccupazioni della vita, e l’Artista, quello che si merita la maiuscola, irreale magus-demiurgo di solito non esposto, al limite del collocabile nella nostra idea di mondo. Invece gli artisti ci sono, scalpitano, meditano, attendono, pronti ad esplodere o a liquefarsi in qualsiasi momento. Gli spazi come questo diventano quindi preziosi, come vetrine da allestire con informazioni, musica e fede, per chi è in cerca di stimoli, dopamina artistica e sogni.

Ramon Moro è un musicista profondamente appassionato, che scava prima di tutto dentro di sé, forsennatamente, per cercare il proprio codice di espressione sonoro e umano. È un musicista che richiede immersione, dedizione e anche un certo mood, ma che ci ricompensa in modi impagabili e non prevedibili. Ad ognuno arriva in modo diverso, ma arriva, perché in fondo tutti ci nutriamo in un modo o nell’altro dell’oscurità per resistere alle brutture del mondo. Ramon Moro è qui per tutti i rabdomanti sonori, per gli esploratori dell’inconscio e dell’anima, con la voglia di soffiare la vita e trasformarla in poesia.

Lo abbiamo incontrato.

Ciao Ramon e benvenuto sulle pagine di Impatto Sonoro.
Grazie, ciao a tutti!

Come descriveresti la tua musica a qualcuno che tenta un primo approccio?
Cominciamo con una domanda difficile: io suono e procedo ad immagini, per cui penso che ascoltare la mia musica sia come immergersi in un film misterioso e personalissimo, un film ancora non scritto.

Quando hai scelto di dedicare la vita alla musica?
Io uso spesso l’espressione ‘’tribolare’’, io ho tribolato per 20 anni. Ho lavorato 20 anni senza mai smettere di studiare, suonare e registrare dischi, ma circa 5 anni fa ho sentito l’esigenza di dedicare tutto il mio tempo e tutto me stesso alla musica. Questo pensiero si è poi concretizzato nel 2019 e la decisione è stata definitiva. Subito mi è sembrata una cosa spaventosa, impossibile. Invece ora ho la concentrazione giusta per fare le cose, ho mille idee, ho il tempo di fare ciò che amo e sto bene. Sai, la tromba è uno strumento abbastanza difficoltoso, richiede impegno e pratica quotidiana, quindi in primis: tempo. Io dico sempre a tutti quelli che vogliono cominciare con la tromba, che è come fare atletica ai massimi livelli, bisogna esercitarsi sempre, mantenere l’elasticità e la sensibilità. La tromba è uno strumento straordinariamente corporeo, legato alla respirazione, ai muscoli, alle dita, al viso, alla postura. È uno strumento che coinvolge tutto il corpo e richiede degli sforzi.

Quando hai cominciato a suonare e produrre musica avevi in mente un suono da raggiungere?
Ho cominciato suonando acustico, cercando di sviluppare un mio suono, un mio fraseggio. Ti dirò che non provo un senso di appartenenza al fraseggio jazz, mi trovo molto più a mio agio con la musica classica, dalla quale sono influenzato e traggo il mio nutrimento quotidiano. Il mio mondo è cambiato radicalmente quando ho acquistato il flicorno. Sento che tuttora mi appartiene molto, mi spiego: provo amore e odio per la tromba. Io non amo i suoi sovracuti, per cui mi muovo in territori molto bassi. È una questione di affinità, a me la tromba dà emozione quando lavora su registri medio-bassi. Il flicorno è molto più simile ad un corno francese, molto ovattato, suono straordinario. Ricordo di averlo suonato ed aver pensato: ecco il mio suono!

Foto: Martin Mayer

Ti sei occupato più volte di sonorizzazioni dal vivo, dinamica che ritengo ancora molto embrionale come sviluppo su larga scala, pensi che la tua musica necessiti di un’integrazione visuale?
Decisamente no, ma non fraintendermi: faccio volentieri sonorizzazioni e mi piace molto, però penso che assistere ad un mio concerto sia un’esperienza che non necessita di un apporto visual.
Ti basta chiudere gli occhi per costruire le tue immagini personali. Trovo che con questa libertà di visione renda tutto molto di più, non vincolando l’ascoltatore all’associazione.
Per questo motivo non uso mai visual nei miei concerti, non mi appoggio alle immagini.

Tutti i tuoi lavori sono caratterizzati da una componente onirica, più o meno oscura a seconda del progetto. Trai ispirazione dal sogno e/o dalla meditazione?
La meditazione la pratico da qualche tempo. Nel silenzio più totale, di solito la mattina presto quando tutti sono ancora addormentati, rigorosamente senza musica.

Con il progetto/pseudonimo daRKRam intraprendi un viaggio profondo e difficile, in simbiosi con la parte mistica e turbolenta dell’esistenza, muovendoti fra i confini dell’ambient e del black metal . Come è nata questa urgenza?
La trasformazione in daRKRam nasce da un periodo doloroso della mia vita privata, durante il quale ho sentito l’esigenza di buttare fuori tutto il marcio che avevo dentro. daRKRam vive! Gli ultimi concerti in Slovenia e Slovacchia li ho tenuti a nome daRKRam. Spesso viene fuori la voglia di fare un altro disco violento e sotterraneo, anche se alla fin fine sono sempre influenzato ciò che vivo e ascolto, vedremo.

C’è un progetto che sogni di poter realizzare?
Guarda, ho appena finito di registrare un nuovo disco, che dovrebbe essere pubblicato a breve. La novità è che per la prima volta io canto su un disco, chiaramente non in modo canonico! Sono fresco di due anni di studio sulla saturazione della voce e canto estremo, ho imparato diverse tecniche che fluiranno verso una forma di estremismo musicale. Chi ha avuto modo di ascoltarlo ha trovato forti analogie col black metal: un genere che adoro, sia in forma pura che contaminata da altre influenze. Vorrei arrivare quasi ad avere una band in cui non suono la tromba, canto e basta.

Negli ultimi anni hai collaborato spesso con grandi musicisti e sperimentatori italiani ed internazionali. C’è qualche artista col quale sogni di collaborare?
Anonhi sarebbe un sogno! Non ti nascondo che sono anche tremendamente affascinato dal mondo del pop. Per farti capire: amo Miles Davis, l’ho visto dal vivo, ho letto più volte la sua autobiografia, ascoltato tutta la sua produzione incredibile, ma ciò che davvero mi rapisce è il suo carisma, la sua caratura, il suo incredibile modo di porsi al mondo.

Grazie mille per il tuo tempo Ramon!
Grazie a voi!

Vi presentiamo qui sopra un nuovissimo video della performance che Ramon Moro ha realizzato lo scorso 19 giugno al Castello di Rivoli Museo d’ Arte Contemporanea in occasione del Torino Jazz Festival.

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