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Interviste

Fermi a prendere fiato: gli Arsenico ripartono dal Venezia Hardcore Fest

(c) Fabio Marchiaro

Nasciamo come gruppo sui banchi di scuola: dei ragazzini che si mettono a suonare per divertirsi, per non fare sport … Dei ragazzini incazzati neri”. Così si raccontavano gli Arsenico in un’intervista del 2008, a pochi mesi dall’uscita di un piccolo capolavoro della musica alternativa italiana come “Esistono Distanze”. Nati a metà anni ’90, abbracciano da subito la gavetta che è segno distintivo del punk: chilometri su chilometri macinati in furgone per suonare in Italia e all’estero, partendo da quella Torino pre-Olimpiadi in cui gli spazi di aggregazione erano la seconda – se non la prima – casa delle band. Nel 2013 la parola fine, gli Arsenico escono di scena a un anno dalla pubblicazione di “È questo che siamo”, un album che descrive appieno la capacità del quartetto di cambiare pelle e di seguire le proprie sensazioni, passando dall’hardcore degli esordi al rock, andando ancora più a fondo nella propria personalissima ricerca musicale e testuale. Questo weekend l’attesa per il ritorno della band sul palco finirà: gli Arsenico saranno ospiti del Venezia Hardcore Fest e siamo sicuri che un po’ di lacrime le verseremo / verseranno. Abbiamo scambiato qualche parola con Fabio Valente (voce e chitarra della band torinese) per fare il punto su alcuni temi che ci stanno a cuore.  

Ciao Fabio, grazie per averci concesso questa intervista. Partiamo dalla fine: come stanno gli Arsenico? Come – e quando – è nata l’idea di tornare in attività?

Ciao Luca, grazie a te per questa intervista. Gli Arsenico devo dire che stanno meglio di quando si sono fermati. Abbiamo portato avanti progetti personali legati al mondo del lavoro, della musica e molti di noi hanno messo su anche il progetto famiglia. Tornare a suonare ora è tutta un’altra storia. Non abbiamo pressioni o ansie da prestazione, siamo consapevoli di cosa siamo stati e di cosa siamo adesso. È come fare sesso, cambia a seconda dell’età ma non vuol dire che sia peggio! [ride, ndr]. L’idea di tornare in attività è stata una cosa abbastanza spontanea dopo dieci anni, ma ha avuto bisogno di qualche scintilla per accendersi. Una scintilla si chiama Samall con cui un paio di anni fa ho iniziato a parlare di questa possibilità legata anche al VEHC, più altre persone che chiedevano di vederci live perché molti trentenni non ci hanno mai visti (e qui ci sentiamo un po’ anziani). Un’altra scintilla è stata Eugenio (Bull Brigade / Motorcity Produzioni), che ha spinto per questa cosa ma non ti posso dire troppo su questo perché fa parte di una notizia che arriverà presto.  

La vostra città, Torino: come valuti l’inevitabile strada del cambiamento che ha dovuto intraprendere negli ultimi anni? Torino ex-città fabbrica ancora abbandonata al suo destino, o una città che sta lottando per imporsi in Italia?

Torino è una città che vive troppo spesso del suo passato e, per quanto sia cambiata moltissimo, fa difficoltà ad accettare i cambiamenti, a fare passi avanti o modificare le proprie ambizioni e vocazioni. Probabilmente è una tendenza dei torinesi quella di non apprezzare il cambiamento e incensarsi su quello che è stato, visto che succede in più ambiti. Sembra che qui si punti tutto su cercare una comunicazione efficace, senza tenere conto della sostanza, del contenuto reale della città. Sembra che manchi un disegno, a breve o lungo termine che sia. Ti faccio un esempio: a Torino si ha la tendenza a riqualificare – a “gentrificare” – le zone riempiendo di attività di ristorazione (viene descritto molto bene da un progetto fatto da alcuni amici che si chiama “Foodification”). Sono diversi anni che Torino punta a diventare una meta turistica, e i turisti stanno aumentando. Però ad agosto si fatica a trovare ristoranti o locali aperti. Le conclusioni sono facili da trarre.  

Quale è, a tuo parere, l’eredità della Torino Hardcore nella quale si muovevano gli Arsenico degli esordi? Quali esperienze di quel passato che sembra lontano anni luce si possono ripetere oggi, e cosa invece rimarrà per sempre solo uno splendido ricordo?

Il fatto che ci sia un’eredità, quindi un lascito alle nuove generazioni, prevede che ci sia un patrimonio e qualcuno a cui lasciarlo. Il patrimonio della Torino Hardcore, che – dico sempre – quando abbiamo iniziato a suonare nessuno chiamava Torino Hardcore, dovrebbe consistere in una certa quantità di musica, un certo numero di “posti” e, soprattutto, di un modo di fare le cose. Di posti ne sono rimasti pochissimi, sono scomparsi quasi tutti nel periodo delle Olimpiadi 2006. Il modo di fare le cose spero si tramandi, ma non sembra ci sia stato un vero cambio generazionale, anche se fortunatamente si sta creando un bel giro giovane che segue i concerti. Resta tanta bella musica, ma che senza un contesto adeguato rischia di diventare solo un genere musicale, e secondo me l’hardcore non può essere “solo un genere musicale”. Non vorrei sembrarti pessimista, ma credo che in realtà non si possano ripetere quelle esperienze. Credo che si debbano cercare in altri contesti e la speranza vera è che il passato non sia un bel ricordo, ma un esempio ispirante.   

L’album degli Arsenico che mi ha maggiormente segnato relativamente alla mia crescita musicale è stato “Esistono Distanze”. Quali furono le idee dietro quel disco? Se dovessi abbinare il titolo a un fermo immagine di quel periodo, quale sarebbe?

Esistono Distanze” nasceva con la volontà di cercare qualcosa di nuovo a livello musicale partendo dalla base dell’esperienza del disco precedente. Non siamo mai stati lineari tra un disco e l’altro, quindi i nuovi pezzi suonavano da subito molto diversi rispetto a quelli che avevamo scritto prima. Abbiamo lavorato a migliorare le nostre capacità, a suonare e a cantare meglio. È stato un lavoro lungo e formativo. Era un periodo di forti cambiamenti a livello personale, abbiamo raccontato questo principalmente, unito alle vicissitudini che la musica ci aveva portato e alle prime grandi esperienze di viaggio. Per questo il tema della distanza, dell’allontanamento, visto anche come cambiamento ed evoluzione personale. I miei fermo immagine legati a questo disco sono tantissimi, ma preferisco quelli legati ai Docks Dora, dove avevamo la sala, dove è nato il disco e dove abbiamo vissuto per mesi durante le registrazioni. Per il resto in quel periodo c’era stata un’ondata di gruppi che usavano il punk-hardcore come base per canzoncine pop che giravano tanto in radio e in tv e noi volevamo dire la nostra ai tempi, tipo “giù le mani da questa musica! Vi facciamo vedere noi come si fa!”. Ma alla fine non gli abbiamo fatto vedere niente. Però noi abbiamo visto un sacco di cose fighissime e fatto esperienze incredibili che grazie a quel disco non avremmo mai fatto.

Uno sguardo al panorama musicale odierno: quali gruppi – italiani e non – ti stanno maggiormente colpendo? Ritieni che la musica italiana “manchi di credibilità” nel momento in cui tenta di uscire dai propri confini?

Sinceramente trovo molta difficoltà a dirti gruppi che mi hanno colpito, non per i gruppi in sé, ma perché da un po’ di tempo lascio fare al caso e mi faccio “passare” la musica da altri. Alcune cose le rigetto, altre le apprezzo. Poi cerco di ascoltare tutto e mi trovo a volte stupito ad apprezzare cose che non avrei mai pensato. La musica italiana secondo me non manca di credibilità, mancano di credibilità alcuni musicisti italiani. La credibilità è una cosa che si crea nel tempo, è fatta di ragionamenti, di capacità di comunicare e di sostenere idee. Non la si ottiene dal numero di tatuaggi che hai in faccia e da quanti followers hai sui social. In tutto questo l’Italia è un mercato ridicolo, perché vive solo di mainstream, che a sua volta è mainstream solo in Italia. Per questo che all’estero, quando si incontrano realtà diverse ma solide, l’italiano fa fatica a reggere il confronto. 

Se dovessi ritornare a un momento esatto della carriera degli Arsenico, quale sarebbe e perché?

Sarebbe senza dubbio il 2004, dopo che è uscito “Forti di incomprensioni instabili”. Avevamo meno di 25 anni e stavano per arrivare tutte le esperienze più importanti. In quel periodo abbiamo conosciuto persone in giro per l’Italia con i quali siamo ancora amici oggi. Forse questa è la cosa che conta maggiormente.

Fra pochissimi giorni suonerete al Venezia Hardcore Fest: dacci un tuo parere su questo festival in particolare, e più in generale sullo stato dei festival in Italia.

Non posso parlarti dei festival in Italia perché non ne conosco abbastanza. Il VEHC però credo sia uno dei festival più validi, perché partendo dal basso è riuscito a creare una situazione che fa invidia ai festival all’estero – che tanto vengono osannati dalle nostre parti – e soprattutto una realtà che resiste e dura da anni. Complimenti ai ragazzi e sono sinceramente emozionato di partecipare quest’anno.

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