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“Queen II”: il disco che ha riscritto la storia del rock compie 50 anni

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Da sempre, la storia del rock si intreccia con una serie di avvenimenti e momenti che hanno contribuito a cambiarne significativamente la narrativa, ciascuno dei quali con una precisa data di riferimento. Una di queste è sicuramente l’8 marzo del 1974, quando nel Regno Unito usciva “Queen II”, secondo album in studio della band.

Sono gli anni delle origini, quando lo stile di Freddie Mercury non comprendeva ancora il suo iconico baffo e così come per Brian May, Roger Taylor e John Deacon il look imponeva lunghi capelli fino alle spalle. Il gruppo è nato quattro anni prima ed ha all’attivo il solo l’album di debutto, che porta il nome della band, registrato nei tempi morti che i Trident Studios di Londra (gli stessi dove vennero incisi brani come Hey Jude, Space Oddity e Your Song) gli concedeva tra una sessione e l’altra (anche se prevalentemente erano registrazioni notturne, quando gli studi erano deserti) e pubblicato nel 1973 senza grandissimi risultati di vendita nonostante il buon responso della critica.

Senza preoccuparsi troppo dell’esito del loro debutto la band torna subito in studio, avendo a disposizione tre brani praticamente già pronti, risalenti a sessioni di registrazione precedentemente svolte a partire dal novembre 1972: Seven Seas Of Rhye, Father To Son e Ogre Battle. Per questo album vogliono fare le cose in grande, ed innanzitutto insistono affinché i Trident Studios concedano loro di registrare ad orari regolari. Cercano di avvicinare anche David Bowie, che rifiuta l’offerta perché impegnato nelle registrazioni di “Pin Ups” e nella composizione delle canzoni che finiranno in “Diamond Dogs“. Al team di produzione si uniscono Robin Geoffrey Cable, con cui Mercury aveva lavorato durante la registrazione di “I Can Hear Music” e Roy Thomas Baker, mentre l’incarico per la creazione grafica dell’album fu affidata al fotografo Mick Rock, che vantava preziose collaborazioni con David Bowie, Iggy Pop e Lou Reed; fu lui a realizzare l’iconica copertina con l’immagine in chiaroscuro dei volti dei Queen ispirandosi ad una foto di Marlene Dietrich tratta dal film Shanghai Express (1932) per interpretare le volontà della band che voleva qualcosa capace di rispecchiare l’etica della “decadenza glam” e della nascita di un nuovo genere musicale rivoluzionario in una contrapposizione “bene-male” e “white-black”.

Le registrazioni terminarono nell’agosto del 1973, la band aggiunse immediatamente Ogre Battle, Procession e Father to Son alla scaletta dei loro concerti e partì per il tour promozionale: apertura al Golders Green Hippodrome il 13 settembre 1973 (registrato dalla BBC e trasmesso successivamente in radio) e trentacinque concerti totali (di cui uno in Germania ed uno in Lussemburgo) con chiusura addirittura in Australia. Tuttavia, nonostante il successo di pubblico che i Queen cominciavano a racimolare, la casa discografica decise di posticipare il lancio del disco perché troppo a ridosso del precedente, da poco pubblicato in Gran Bretagna e non ancora uscito negli USA. A complicare la nascita di “Queen II” ci pensarono anche la crisi del petrolio del 1973 che bloccò la produzione di vinili per vari mesi ed un errore di battitura nelle prime copie dell’album dove John Deacon veniva indicato come “Deacon John”, imprecisione che la band volle correggere a tutti i costi.

Finalmente, l’8 marzo del 1974 “Queen II” arrivò nei negozi inglesi, pronto a contribuire a riscrivere la storia del rock. Perchè quello che la generazione degli anni ’70 si trovò fra le mani fu una delle prime opere nelle quali l’Heavy Metal si mescolava insieme all’Art Rock, un sottogenere del Rock psichedelico riconducibile allo stile musicale dei Pink Floyd e dei Led Zeppelin, un qualcosa mai sentito fino a quel momento nella storia del rock ed incredibilmente innovativo per gli anni in cui venne realizzato.

I due lati dell’LP originale sono etichettati “Side White” e “Side Black” (invece che i convenzionali “A” e “B”) richiamando i pomposi vestiti di scena che usavano nei loro primi concerti, solitamente o tutti bianchi o tutti neri. A livello musicale la band è innegabilmente progredita, e con questo album inizia a costruire una propria identità musicale. Tutti i brani del black side, composti da Freddie Mercury, denotano una fortissima deriva verso l’Art-Rock ed il Rock progressivo e imprevedibile che poi sfocerà completamente nella sua grandiosità nei successivi lavori. Il White Side invece, composto da Brian May (ad eccezione di The Loser In The End di Roger Taylor) è più emotivo e “canonico”, con pezzi di Hard-Rock decadente e quasi epico, con la caratteristica profondità lirica ed emozionale che contraddistinguerà tutta la sua carriera artistica.

«Led Zeppelin e The Who probabilmente sono da qualche parte in “Queen II”, perché sono tra i nostri gruppi preferiti, ma quello che stiamo cercando di fare diversamente da queste band è questo tipo di suono stratificato. […] Volevo anche costruire delle strutture dietro le linee melodiche principali. Stiamo tentando di spingere al limite le tecniche di studio abitualmente utilizzate da un gruppo rock», dichiarò Brian May a proposito di “Queen II”.

L’accoglienza che inizialmente la critica riservò all’album non fu né totalmente positiva né totalmente negativa, ad eccezione di alcuni estremi come quello della rivista musicale Rolling Stone che lo etichettò come “una emulazione poco saggia del peggio che si potesse prendere dai Genesis e dagli Yes, una cosa priva di originalità”. Ma al di là della critica, l’album ci mise poco a convincere il pubblico: quinta posizione nella classifica discografica del Regno Unito dopo tre settimane dal suo ingresso, disco d’Oro sia nel Regno Unito (100.000 copie) che negli USA (500.000 copie) e primo piazzamento di un singolo – Seven Seas Of Rhye – nelle classifiche UK. Anche la copertina entrerà nella storia, ripresa e resa famosa su tutta la Terra dal video di Bohemian Rhapsody. Freddie Mercury spiegò: «Non aveva nessun significato in particolare, ma eravamo affascinati da questo tipo di cose, e il guardaroba che utilizzavamo all’epoca lo descriveva perfettamente bene».

Definito “un pilastro di grandioso ed assaltante hard rock” al momento del suo inserimento nella Rock and Roll Hall of Fame, “Queen II” è il risultato di un sapiente mix di Art Rock, Hard Rock, Glam Rock, Heavy Metal e Progressive Rock. Il giornalista musicale e autore Jerry Ewing ha descritto l’album come una «tendenza Proggy Art Rock». Daniel Ross di The Quietus lo ha definito come «l’esatta intersezione tra gli inizi oscuri e metallici della band e l’incarnazione della perfezione pop assoluta dei Queen». Altri musicisti rock hanno elogiato l’album: Rob Halford dei Judas Priest cita “Queen II” come uno dei suoi album preferiti eleggendo Ogre Battle come miglior canzone. In un’intervista di Rolling Stone del 1989, Axl Rose disse dell’album «Con i Queen ho il mio preferito: “Queen II”. Ogni volta che un loro nuovo disco usciva conteneva tutti questi altri tipi di musica, all’inizio mi piaceva solo questa o quella canzone. Ma dopo un periodo di tempo, riascoltandolo, mi apre la mente a tanti stili diversi. Li apprezzo davvero per quello. È qualcosa che ho sempre desiderato essere in grado di realizzare».

Nel corso del tempo l’album ha acquisito via via sempre maggior consenso ed apprezzamento. Nel 1987 Post-Tribune lo classificò nono in un articolo che riguardava “album che dovrebbero essere nella collezione di dischi di tutti, ma non lo sono”. Nell’edizione del 1994 di “The Guinness All Time Top 1000 Album” è stato votato #202 nella sezione dei più grandi album rock e pop di tutti i tempi. Nel 2005 in un sondaggio della rivista Kerrang! sul più grande album rock britannico di sempre, i lettori lo hanno eletto al 72° posto. Insieme ai due album successivi dei Queen,Sheer Heart Attack” e “A Night at the Opera”, “Queen II” è inoltre presente nel libro “1001 Albums You Must Hear Before You Die”, dove è descritto come «un album decisamente oscuro» che «mostrava la loro diversità» e si contrapponeva ai loro successivi «inni espansivi e gradevoli allo stadio». Il disco è stato ristampato nel 1991 negli USA dall’Hollywood Records con l’aggiunta di tre bonus track, mentre nel 2011 fu rimasterizzato in formato digitale dalla Island/Universal e distribuito in due edizioni: standard edition, contenente l’album originale, e la deluxe edition a 2 CD, contenente l’album originale ed un EP bonus.

L’album, seppure a malincuore continui ad essere uno dei lavori meno conosciuti, a cinquant’anni dalla sua pubblicazione gode ancora di una vitalità straordinaria. “Queen II” racchiude in sé un concentrato dell’essenza stessa dei Queen, un elisir di lunga vita grazie al quale quest’opera è destinata a resistere all’usura del tempo, in un tributo perpetuo alla grandezza artistica di una band che non morirà mai.

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