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HAYSEED DIXIE – Spazio 211, Torino, 30 marzo 2010

Non ditelo a nessuno, ma il primo concerto italiano degli Hayseed Dixie avrebbe potuto non svolgersi.
Arrivato nei pressi dello Spazio 211 di Torino, nel cercare parcheggio, mi piombano d’avanti al parabrezza due giganti in bermuda mimetiche, giubbotto in pelle e anfibi, il cantante Barley Scotch e il bassista barbuto Jake Bakesnake Byers . Solo il buono stato dei freni della mia macchina non attenta loro la  vita, che passano, ringraziano con un gesto della mano e attraversano tranquilli come se nulla fosse successo, di ritorno da una passeggiata pre concerto in una Torino post diluvio universale.

Però, simpatici stì americani, qualche altro individuo mi avrebbe come minimo maledetto. Concerto salvo.
Devo ammettere di essermi stupito per l’enorme affluenza a questa prima volta italiana di un gruppo dedito ad un genere come il bluegrass in tinte rock. Freschi di pubblicazione del loro ultimo lavoro “Killer Grass” , evidentemente l’interesse generato da stampa e web ha dato buon esito.
Appena di fronte al piccolo palco del locale più alternativo di Torino, non si può non notare il frigo-bar pieno di bottiglie e lattine di birra che campeggia al centro, proprio dove le normali band piazzano la loro bella batteria. Ma di normale gli Hayseed Dixie hanno ben poco. La loro verve comica inizia prima del concerto, prosegue durante e dopo lo spettacolo, insomma il gruppo giusto per divertirsi.
Quattro microfoni, banjo, mandolino, violino, chitarra e basso completano insieme al frigo la scenografia che serve a questi quattro yankees amanti del folk americano quanto dell’hard rock  e del metal. La fusione che ne scaturisce è quasi perfetta e la scelta di iniziare il concerto con Breaking the law (JUDAS PRIEST) è quantomeno esemplificativa di cosa ci presenteranno durante la serata. Il concerto segue , in linea di massima quanto ascoltato nei loro ultimi dischi, ossia la scelta di alternare i grandi classici del rock con composizioni scritte di proprio pugno.
Gli Hayseed Dixie omaggiano i loro “quasi omonimi” australiani con tre pezzi da novanta come You shook me all night longHell bells Highway to hell e qua a mettersi in mostra è il simpaticissimo Deacon Dale Reno, l’Angus Young del mandolino, vestito di salopette di jeans, bandana e trucco, che si produce in assoli quantomai deliranti.
Il gruppo nonostante suoni quattro strumenti acustici, riesce a produrre un muro di suono notevole e lo si può ascoltare in pezzi tirati come Black Dog (LED ZEPPELIN), War Pigs (BLACK SABBATH), Aces of Spades (MOTORHEAD) tanto da indurre al “pogo” i presenti , mentre in Bohemian Rhapsody (QUEEN) e Paint it black (ROLLING STONES) esce tutta la loro follia demenziale.
Danno comunque sfoggio della loro perizia musicale, concedendo assoli e arrangiamenti per nulla banali. Completano la band il bassista Jake, barba alla ZZ Top e piglio da metallaro, il più composto e serio Reverend Don Wayne Reno al banjo e il cantante e violinista Barley a cui spetta il compito di intrattenere il pubblico con battute e gags come nell’introduzione della loro Alien Abduction Probe, senza risparmiare qualche frecciata ai Coldplay e Robert Plant o nelle ultime canzoni Merchandise table, vera e propria country song-pubblicità dei loro prodotti in vendita al banchetto o nel finale duello tra banjo e chitarra.
Naturalmente il frigo-bar è il quinto uomo sul palco e paradossalmente l’unico “strumento” ad elettricità presente in sala, sempre pronto ad aprirsi ed a elargire luppolo.

Se inizialmente si fatica a concepire canzoni che abbiamo ascoltato mille volte, rilette in versione acustica ma con il piglio ugualmente rock, dopo quasi due ore di concerto, le orecchie si sono abituate, tanto che una Black Dog ci sembra perfetta così, anche senza la batteria di Bonzo Bonham. Alla prossima e… occhio ragazzi ad attraversare la strada, Torino non è come la campagna Texana.

a cura di Enzo Curelli

www.hayseed-dixie.com

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