Vittorio Cane, nome d’arte di Claudio Cosimato, è giunto al suo terzo album da solista.
Lui è uno strano cantautore. Ti pare sempre un po’ impacciato, incerto, quasi arronzato. Ti sembra un giocoliere su un monociclo. Ti sbagli. Si regge tutto alla perfezione, ma te ne accorgi solo dopo averlo ascoltato tantissimo. Devo molto al suo penultimo album “Secondo”, un piccolo capolavoro di immensa malinconia. Mi hanno sempre colpito gli arrangiamenti, morbidi e scarni, con un pizzico di sound hip hop, e specialmente la voce: sentendo Vittorio Cane ti viene da dire “Ma chi minchia stonerebbe mai nel suo album??”. La stonatura è quasi un vezzo, un espediente malinconico, una sfumatura drammatica. Sa il fatto suo ‘sto Vittorio Cane.
“Palazzi” è un passo in avanti. Più maturo, più allegro, radiofonico, con più roba in pentola. É un bell’album, senza dubbio, ed è moderno, non ti fa pensare immediatamente a qualcun altro, come mi succede spesso ascoltando le ultime uscite dei nuovi cantautori italiani.
Vittorio Cane brucia lentamente. Sa quello che fa, non esagera, non è un comico che fa le battute sulla moglie che non ha. Questa sincerità si sente, ha delle belle frequenze, e molti alzano il volume.
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