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Parkway Drive – Atlas

2012 - Resist/Epitaph
metal/core

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Tracklist

1.Sparks
2.Old Ghosts / New Regrets
3.Dream Run
4.Wild Eyes
5.Dark Days
6.The River
7.Swing
8.The Slow Surrender
9.Atlas
10.Sleight Of Hand
11.Snake Oil And Holy Water
12.Blue And The Grey

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I Parkway Drive ritornano con Atlas, con il quale la band metalcore australiana, attiva dal 2005, cerca di bissare il successo di pubblico conquistato grazie al predecessore Deep Blue (2010).

Nonostante l’intenzione di espandere gli stilemi tipici del proprio genere di appartenenza (vedi ad esempio le chitarre acustiche nell’opener Sparks e nella titletrack), l’impressione ricevuta è che, oltrepassando la forma, la sostanza sia la stessa del mare magnum di band che seguono il trend ed incrociano sonorità metal a un’attitudine hardcore. I riff monocordi di Old Ghost/New Regrets, la prevedibilità del singolo Dark Days e gli stessi patterns ricorrenti lungo i quarantotto minuti di Atlas conferiscono all’ascoltatore sensazioni di staticità sonora e di poca ispirazione.
Non bastano a far cambiare il giudizio del disco canzoni come The Slow Surrender – a tratti trascinante nell’intesa tra voce e chitarra solista – o come Dream Run, col suo refrain accattivante, perchè a conti fatti hanno poco altro da mostrarci. Altri buoni spunti da parte dei due chitarristi Jeff Ling e Luke Kilpatrick sono individuabili in The Swing, grazie a fugaci sfoggi di tecnica ed in The River, la quale aggiunge un pizzico di pathos in più al disco, ma il tutto in una formula ricalcata sulle trame di ciò che i Bring Me The Horizon di “There is a hell..” hanno già sperimentato.
Le linee vocali del frontman Winston McCall appaiono solitamente potenti ma ripetitive (sembra di ascoltare gli Heaven Shall Burn un po’ fuori forma) e non memorabili; eccezion fatta forse per la succitata Dark Days, dove liriche apocalittiche non lasciano speranze per il futuro del pianeta, a causa della presenza ingombrante ed inquinante del genere umano. Messaggio di tutto rispetto che però non è supportato musicalmente in maniera adeguata: Atlas non aggiunge nulla di nuovo a ciò che il metalcore ha già espresso dagli inizi del Duemila in poi da una manciata di band più innovative ( e da centinaia di cloni).

Purtroppo per i Parkway Drive e per i loro fans, Atlas non è neppure al livello del precedente Deep Blue, il quale suonava – per quanto privo di orpelli modernistici di tastiere e chitarre acustiche- più emozionante, diretto ed ispirato.

[youtube]http://www.youtube.com/watch?v=_7lpftvYDMA[/youtube]

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