Diminuire (nella forma) per crescere (nella sostanza), ovvero due parentesi in meno nella ragione sociale ma tanti suoni e qualche compagno di viaggio in più: è questa in estrema sintesi la parabola del cantautore umbro “naturalizzato” romano dal precedente “Non è morto nessuno” del 2010 a questa nuova fatica.
Se da lato infatti le liriche confermano di essere di fronte ad un personaggio peculiare, talentuoso e che riesce ad apparire credibile ed interessante sia quando scrive seriamente sia quando sborda nel paradossale – emblematico in tal senso lo sfogo contro la mancanza di personalità degli elettrodomestici di “Blues”- è dal punto di vista delle sonorità e degli arrangiamenti che il Nostro compie il vero e proprio salto di qualità rispetto al passato: archi, fiati e tastiere ad amalgamarsi con suoni elettrici ed acustici per colorare e personalizzare ogni singolo pezzo e momento.
Certamente qualche “già sentito” qua e là lo si avverte, tipo la parte strumentale di “Ti farò soffrire”, bella (anche se / perché) in stile Moltheni aka Umberto Maria Giardini, oppure gli archi sulle sonorità rock sporche di “Vipera”, tipico made in Afterhours. Ma sono comunque rimandi che ci possono anche stare e che dunque si perdonano, soprattutto poi perché il buon Petri grazie a quel suo stile un po’ storto e sghembo, frutto di un cantato atipico e di liriche tendenzialmente bislacche, riesce in un modo o nell’altro a salvaguardare la propria identità artistica e ad apparire dunque autentico e genuino.
Un contributo notevole viene inoltre dai feat. di Teho Teardo e Marco Parente, in grado di marchiare i pezzi con gusto e tatto, adattandosi cioè al contesto in modo significativo ma al tempo stesso dosato e non prevaricante. In particolare, segnalo “Capra astrale”, il momento a mio avviso più elevato dell’album grazie anche ad un Parente dolce e rassicurante e con una parte strumentale finale assolutamente dirompente e coinvolgente.
Dischetto bello e gradevole, soprattutto perché inaspettato.
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