Nati nel 2006 come K?an, i pavesini Mooth sono un interessante quartetto stoner-noise molto sui generis, dotato degli attributi necessari ad appassionare e coinvolgere un pubblico trasversale ed eterogeneo, per background culturale, preferenze artistiche e mera anagrafica.
Il contenuto di questo Slow Sun (edito in collaborazione con l’etichetta concittadina Martiné Records) è infatti quanto mai ricco e valido, di suoni, sfumature, atmosfere, e senza mai esagerare in quantità si destreggia abilmente fra le problematiche cifre stilistiche sludge, math-rock e post-punk, evitando di aderire pedissequamente a nessuna. Ne risultano due caratteristiche di base, fondamentali per ogni band che si rispetti: personalità e riconoscibilità. Brani freschi e spontanei come l’ottima quanto ironica opener Debra DeSanto Was A Heartbreaker ne sono colmi, anche se a livello compositivo le strutture compositive rimangono piuttosto semplici e lineari. Dimostrazione di come spesso non serva complicarsi inutilmente la vita per aspirare ad un pizzico di originalità.
Le chitarre di Claudio Bigio e del frontman Cosimo Cinieri evocano intriganti trascorsi a stelle e strisce, orientativamente fra i deserti dei Kyuss e l’anticonformismo dei Tool di Opiate, guidando la band lungo scorribande ritmiche cariche di groove e profonde vibrazioni (Bloodrop, Black Host). Ruvido e polveroso, senza sfociare nella brutalità fine a se stessa, il sound dei Mooth è malleabile ma altrettanto solido, e si piega senza problemi alle necessità comunicative del gruppo.
Registrato in soli cinque giorni presso i Downtown studios, insieme a William Novati, Slow Sun fotografa un gruppo lucido e consapevole, che malgrado l’ancora recente formazione, possiede già notevoli capacità ed esperienza. Provare per credere, magari proprio sotto il palco, attualmente condiviso coi lanciatissimi Zeus!