Amico che mi giudichi eremita/soltanto perché al mondo tra le dita/preferisco una matita/lo sai costa fatica/restare chiuso in casa dietro ai vetri/per scrivere la vita.
Inizia così il delizioso lavoro con cui abbiamo a che fare e non poteva cominciare meglio. La sua chitarra è soffice e lo rimarrà sempre, senza mai annoiare e la sua voce è calda ma disinteressata al punto giusto, con un rotacismo estetizzante che fa tanto intellettuale e altrettanto poeta. Di chi stiamo parlando?
Di un cantautore di nome Andrea Arnoldi, il quale accosta il suo nome ad un’entità apparentemente impalpabile: Il peso del corpo, un band name che più contemporaneo di così non si può (quanta importanza diamo a quanto pesiamo?). In più siamo di fronte a un progetto che comprende la partecipazione di giovani e talentuosi musicisti che a titolo gratuito hanno partecipato alla realizzazione di sfondi musicali davvero unici, che basterebbero loro a dare senso al tutto. Oltre a fiati, archi, cori e percussioni si fanno spazio anche strumenti non tradizionali, o meglio, così tanto tradizionali da non esserlo più al giorno d’oggi, poiché addirittura provenienti da un passato medioevale (sticazzi!*). Ottimo risulta il connubio con le poesie dolci-amare di Arnoldi, distese su melodie lievi e fatte di versi ben costruiti e quasi mai scontati o poco interessanti. I suoi malinconici arpeggi si uniscono spesso a divagazioni orchestrali che inghiottono le canzoni in un vortice talvolta fiabesco, talvolta epico, talvolta ironico e che creano cornici raffinate per i piccoli e graziosi quadretti del cantautore.
Arnoldi si presenta al mondo come un poeta raffinato, notturno, bohemien, solitario e magari un po’ maledetto, con un disco capace di intrigare e incuriosire. Magari non farà il colpaccio, ma farsi notare è già un buon punto di partenza in questo formicaio di voci e chitarre e con questo progetto ha le carte in regola per riuscirci.
*Nell’accezione settentrionale del termine, ovvero di stupore e sentita ammirazione.
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