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And Also The Trees – Born Into The Waves

2016 - AATT
rock / new-wave

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Tracklist

1. Your Guess
2. Hawksmoor & The Savage
3. Winter Sea
4. Seasons & The Storms
5. The Sleepers
6. Bridges
7. The Bells Of St Christopher’s
8. Naito-Shinjuku
9. Boden
10. The Skeins Of Love

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Pochi gruppi hanno avuto l’intelligenza e l’accortezza di invecchiare con così tanta eleganza come gli And Also The Trees, nati a inizio anni ottanta come gruppo goth a stretto contatto con i Cure e Robert Smith (che li volle come gruppo spalla nel tour di Faith), poi morti e risorti con un’anima rock depressa che hanno poi intriso di jazz e folk. Il loro tredicesimo album li vede arrivare con una formazione sostanzialmente stabile da anni e un ritorno ad un sound più diretto e meno riflessivo rispetto alle ultime uscite. Questo ci riporta ai tardi anni ottanta, ai tempi di Farewell to the Shade per intenderci, anche se ovviamente con un animo ben diverso.

Il gruppo dietro Born into the Waves non ha niente da provare a nessuno, ormai, specie dopo così tanta gavetta e carriera importante. Così, la sensazione che permea il nuovo lavoro è sì di essere ritornati finalmente ad un sound che mancava da troppo tempo, ma senza quel verace mordente che rendeva pezzi come Macbeth’s Head o The Street Organ dei veri e propri colpi allo stomaco.
L’iniziale Your Guess ci si avvicina abbastanza come portata emotiva, con Justin che alza di volume nel ritornello e Simon che gli va dietro. Altrettanto notevole è la seguente Hawksmoor and the Savage, con una melodia che ti entra subito nel cervello e Simon in una battuta di caccia che si chiede “the spider and the fly, in the end, which one am I?” e poi arriva a strilare “SAVAGE!!!”. Le liriche del nostro si confermano oltremodo poetiche ed eleganti, a volte anche troppo per il sottoscritto, mantenendo una distanza quasi schifata dal mondo reale, restando immerse nella natura e nei suoi personaggi folk. L’ode al mare d’inverno, infatti, mi urta abbastanza con i suoi richiami cantautoriali che mi ricordano i momenti più noiosi degli ultimi Einstuerzende Neubauten. Stupenda invece la morbosa sensualità che percorre Bridges e il suo riff di basso sinuoso, con il protagonista intrappolato nelle spire di questo essere che lo porta sopra i tetti e i ponti della città, per “morire con lei” in un abbraccio mortale fatto di pensieri e carnalità. The Bells of Saint Christopher, invece, ripercorre la traccia della recente Black Handled Knife, un pezzo quasi solo di “ambiente” dove Simon declama le sue liriche di esplorazione, donando all’ascoltatore un senso di angoscia palpabile. La chiusura con The Skeins of Love è la perfetta summa di tutte le qualità dell’album, altalenando dolore, ripartenze emotive e un senso di quiete che solo il gruppo inglese riesce a far trasudare da ogni nota.

Born into the Waves, rispetto alle recenti avventure acustiche dei cinque, sembra più attento a seguire moti angosciosi invece delle ripartenze dolorose che caratterizzavano quel capolavoro che è Farewell to the Shade. I Trees non devono di certo stupire nel 2016, preferendo continuare a galleggiare lungo un percorso di strabiliante maturità di fronte al quale noi non possiamo che esserne prede.

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