Impatto Sonoro
Menu

Recensioni

Storm{O} – Ere

2018 - Moment Of Collapse / Shove Records / Legno
post hardcore

Ascolta

Acquista

Tracklist

1. Taxidermia
2. Lama
3. Porta Dell’Attimo
4. Praticamente Intero
5. Preludio
6. Meteorite
7. Organismo
8. Mantra
9. Metafora Des Distacco
10. Cenere
11. Stasi
12. Mimesi
13. Attacco


Web

Sito Ufficiale
Facebook

Un monolite di ossidiana eclissa la gelida provincia bellunese: nell’oscurità creature Cronenberghiane fendono i denti in materie sinistre e secernono i residui di un dolore mutuato dalla rabbia. È il preludio al crepuscolo…

Annaspa ancora atrabile dal ventre nevralgico degli Storm{O}, esteti della brutalità che tanta letizia portarono ai più incalliti hardcorer con l’illustre e ipertitolato predecessore datato 2014 (“Sospesi Nel Vuoto Bruceremo In Un Attimo E Il Cerchio Sarà Chiuso”), i quali all’alba del 2018 ripercorrono con questo “Ere” le linee guida di un pastiche sonoro già collaudato: hardcore nevrastenico coadiuvato da dosi massicce di mathcore, metal, crust, screamo, tecnicismi limitrofi al prog e piccole aperture melodiche a fungere da collante. Il tutto condensato in 13 brani dalla durata media complessiva di due minuti per circa mezz’ora di impetuoso magma sonoro.

Ere” si presenta subito come un disco che non si limita a mordere, ma lacera in profondità, forte di un’espressività che, al netto dei gusti e di altre variabili, ha davvero pochi eguali nella scena italiana. Tale espressività si fonda su un guitar work abrasivo e imponente e una struttura ritmica dall’incendere terremotante, che nel caos generale pesta con precisione chirurgica. In questa sublimazione del gain scorgiamo il sostrato lirico di Luca Rocco, scrutatore speculativo e attento ai tormenti umani, nei cui testi la disperazione è testimonianza di quotidiana sussistenza, capace di esibire un repertorio vocale caratterizzato da una pluralità di stili, passando con estrema versatilità da uno spoken-word disincantato a uno scream acidissimo e raschiante, quest’ultimo un po’ più contenuto e meno pervasivo rispetto al disco precedente. 

L’onere di aprire le danze è dato al groove cadenzato di Taxidermia, probabile riferimento al b-movie ungherese omonimo del 2006, che parte lento per poi esplodere nelle nevrosi tipiche del gruppo. La malinconia come motore propulsore del nichilismo, la speranza è una chimera; asserti filosofici che i testi di Luca rimarcano perennemente partendo da questo incipit di 4 minuti. 
Proseguendo nell’ascolto andiamo incontro a stilettate HC di impatto più immediato come Lama e Porta dell’Attimo, piccole istantanee di immagini esiziali. Altro che Carpe Diem…Più compatta è “Praticamente Intero”, che guarda con timore tributario i Converge degli ultimi due dischi, reggendosi su incastri di chitarra fulminei e deliri paranormali (“Ora i fantasmi m’infestano i sogni e non hanno il tuo volto, ma quello di una parte di me che ho perduto”).

Nella seconda parte del disco viene valorizzato il vigore di una componente melodica circoscritta a pochi momenti, ma sapientemente inasprita per esacerbarne la velenosità. La puzza di zolfo si fa più tenue, mentre si sente più intensamente il sapore del sangue. A tal proposito il brano più rappresentativo è Metafora del Distacco, adornato da una veste più romantica ma sempre contestualizzata in uno scenario tenebroso e dalle tinte gore (“Prostrati all’immobile, le membra donate alla punta di un chiodo”). Organismo estende il repertorio stilistico ricorrendo a rapide incursioni chitarristiche vicine al metalcore, mentre Meteorite adotta una forma canzone più standard, con sfumature affini al black-metal, a fungere da sfondo per un’ebbrezza cannibale figlia del tormento individuale (“Masticherò la tua carne, lasciandoti la mia, ci illuderemo di durare in eterno e nell’estasi dell’onnipotenza scaveremo l’uno tra le membra dell’altro.”) Mentre Mantra, con la sua varietà di soluzioni, brucia le ultime ferite, si procede in dirittura d’arrivo con l’hardcore vecchia scuola di Cenere, manifestazione fenomenica di un’apatia arresa al destino di tornare polvere alla polvere.

Tale manifesto dell’uomo moderno e della sua alienazione spicca il volo con la muscolosità di Stasi e dei suoi riff vicini a un certo modo di intendere il noise nei primi anni 90: qui oltre a Converge e Botch c’è l’ala protettrice di Jesus Lizard e Shellac. Mimesi si aggiudica l’inutile titolo di mia preferita, per quanto sia forse la traccia più assimilabile all’esordio, ma personalmente trovo irresistibile come quegli acutissimi intermezzi di chitarra spezzino la climax del brano, sintetico resoconto di quanta desolazione possa emergere dai ricordi, sedimentati in fondo al baratro ma mai sconfitti. Attacco imprime l’epitaffio lasciandoci inermi dinanzi a quanto appena ascoltato, in due minuti di Hardcore più rilassato e meno poliedrico. Il sole è tramontato mentre gli ultimi affioramenti delle Dolomiti, erose dalla base, lasciano detriti sul terreno arso. 

Per quanto possa risultare un ascolto eccessivamente ostico e ridondante per chi è poco avvezzo ai generi succitati non vi è dubbio alcuno che siamo di fronte a uno dei più genuini esempi di violenza musicale degli ultimi anni, in Italia e non solo: tanto grezzo quanto sofisticato.

Ere” è un disco dove la semantica diventa semiologia. Un disco che non eclissa il magistrale risultato del capolavoro di quattro anni fa, ma ne dilata i confini estendendone la proposta e continuando a trasudare da ogni poro attitudine HC, ulteriormente testimoniata dal tour di 72 ore ininterrotte con cui la band presenterà il disco lungo la penisola, perchè certa musica non si limita ad essere suonata ma va vissuta in ogni aspetto della propria quotidianità. Se la strada intrapresa è questa vuol dire che lo Storm{O} in questione è destinato a volare alto ancora per lungo tempo.

Piaciuto l'articolo? Diffondi il verbo!

Altre Recensioni