Gli Endrigo tornano alla carica: dal disco precedente hanno guadagnato un po’ di maturità, per suoni e capacità di trasmetterli, per testi ma (fortunatamente) non per attitudine. Continuano a dimostrare di avere una gran voglia di fare musica, di divertirsi senza per forza prendersi sul serio e di saper cambiare le loro carte in tavola senza seguire fili logici che ne legherebbero l’estrosità.
Partono con uno dei pezzi chiave, per il quale è anche uscito un video da vedere assolutamente (spoiler: Darth Vader fatica molto a fare colazione), che mescola la rabbia che a tratti li contraddistingue con un testo fondamentalmente impegnato, anche se a modo loro (ed un po’ a modo dei FASK).
Transenna continua sulla scia, con le chitarre che sembra a questo punto non riusciranno mai a fermarsi, e trascina verso il resto del disco, con il passaggio su Fumo Pacco e sulla rivisitata citazione battistiana e rievocativa di così tante adolescenze “E la cantina buia dove noi / respiravamo piano / di nascosto dai miei / il fumo pacco di quelli più grandi di noi”.
Il pezzo condiviso con Giorginess è un punto di svolta, nonché forse uno dei migliori per quanto è scarno e riesce comunque ad essere comunicativo, con un finale da brividi. Ci sono due finali tra i quali scegliere, il primo è una ballata lenta e cupa, che passa per una rapida follia che nomina la Basilicata ed i Fugazi e torna lenta per chiudersi.
Il secondo è un mezzo delirio auto-referenziale sulla migliore band death metal mai esistita in tutta Brescia: una storia struggente che ci ricorda che forse nascere musicalmente nella camera degli amici non è poi tanto male.
Un disco completo, che spazia nel delirio degli Endrigo e che pone delle basi per un lungo, lungo futuro, sperabilmente (e sicuramente) stracolmo di live.