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Back In Time

Back In Time: MORBID ANGEL – Covenant (1993)

Morbid Angel

Oggi siamo abituati a vedere fenomeni musicali uscire fuori dal nulla e salire alla ribalta in un batter d’occhio. Internet ha reso più semplice la vita agli emergenti interessati a raggiungere un pubblico potenzialmente infinito, difatti annullando la distanza tra artista e ascoltatore. Basta un clic e una demo registrata in cameretta è subito in viaggio negli infiniti meandri del cyberspazio; se si ha un po’ di fortuna si può anche sperare che arrivi alle orecchie giuste.

Solo tre decenni fa la situazione era decisamente diversa: ne sanno qualcosa quelle band death metal che, quando il genere era ancora agli albori, erano costrette a mantenere viva la fiamma della passione inviandosi a vicenda cassette per posta e scambiandosi idee tramite lettere o telefonate. Venne così lentamente a crearsi una vivace scena underground che, nonostante qualche aspetto controverso e un non troppo velato ostracismo da parte delle etichette discografiche, riuscì in una manciata di anni a conquistare migliaia di appassionati alla ricerca di un suono diverso rispetto a quanto trasmesso da radio e televisioni: una musica veloce, estrema e di una violenza inaudita.

Tre ingredienti che di certo non sono mai mancati alla ricetta dei floridiani Morbid Angel, una delle band più amate e rispettate tra quelle che possono vantarsi del titolo di progenitrici del death metal. A loro va il merito di essere stati tra i primi a portare all’attenzione del grande pubblico uno stile non proprio adatto a tutti i gusti, dando alle stampe quel “Covenant” che, nell’ormai lontana estate del 1993, frantumò rapidamente ogni tipo di record, arrivando addirittura a diventare l’album più venduto di sempre nella storia del genere.

Morbid Angel

All’epoca la band nata per volontà del chitarrista e unico membro fisso Trey Azagthoth (nome d’arte di George Emanuelle) era attiva già da una decina d’anni, trascorsi in buona parte nel tentativo di farsi un nome a forza di concerti e demo tape. La strada che portò i Morbid Angel al debutto sulla lunga distanza alla fine degli anni ottanta non fu priva di qualche difficoltà: cambi di line up continui e album scartati dopo aver terminato le registrazioni (“Abominations Of Desolation” del 1986) possono essere considerati come piccoli incidenti di percorso.

Nulla di troppo demoralizzante tuttavia per il giovanissimo Azagthoth che, imparando dai propri errori e da qualche eccesso di troppo (nei primissimi live non era raro vederlo compiere atti di autolesionismo o mangiare vermi per il puro gusto di scandalizzare), riuscì finalmente a trovare un equilibrio grazie all’ingresso in formazione di Richard Brunelle (chitarra), David Vincent (basso e voce) e Pete Sandoval (batteria). Con questa bella squadra di musicisti i Morbid Angel si trasformarono in una macchina da guerra in grado di sfornare due classici istantanei del death metal, “Altars Of Madness” del 1989 e “Blessed Are The Sick” del 1991.

Tanto bastò per convincere Irving Azoff, futuro manager di Christina Aguilera (!), a portarli a bordo della sua Giant Records, una neonata sussidiaria della Warner Bros. Records. La musica estrema, dopo eoni passati nel sottobosco di luride cantine e fanzine fotocopiate, sbarcava finalmente su una major. E lo faceva nella maniera più rumorosa possibile, senza scendere ai compromessi che, più o meno nello stesso periodo, avevano costretto tante band thrash ad alleggerire non poco la loro proposta.

Covenant” è invece un esempio genuino di sana cattiveria trasposta in musica: un album oscuro, pesantissimo e assolutamente privo della benché minima traccia di un potenziale singolo. E, nonostante ciò, Azagthoth, Vincent e Sandoval (Brunelle non era più della partita) riuscirono a tirarci fuori due video – Rapture e God Of Emptiness – che entrarono in rotazione su MTV. Immaginate lo shock di chi, tra una Mariah Carey e una Whitney Houston, veniva travolto da una valanga di blast beat e furiose chitarre tremolanti, con lo spaventoso growl di David Vincent a condire il tutto con una dose generosa di blasfemia!

Ridurre “Covenant” a un semplice assalto sonoro perpetrato per quaranta minuti tuttavia non rende onore all’encomiabile lavoro dei Morbid Angel, che qui toccano picchi di creatività assolutamente inediti per il genere. A risaltare è soprattutto la chitarra di Azagthoth, che disegna riff e assoli talmente raffinati ed evocativi da sembrare in qualche modo ricalcare i contenuti dei testi di Vincent, straripanti di occultismo, satanismo e misantropia.

Qualche timida apertura alla melodia c’è, così come in scaletta trova spazio anche un breve esperimento ambient per sola tastiera intitolato Nar Mattaru; a prevalere è però la volontà di esplorare tutte le diverse sfaccettature del death metal, dal groove quasi “sepulturiano” di World Of Shit (The Promised Land), Angel Of Disease e God Of Emptiness alla velocità brutale del thrash che rende Lion’s Den e Vengeance Is Mine due mirabili esempi della bravura di Pete Sandoval dietro le pelli.

Chissà, forse sarà stata proprio questa natura eclettica di “Covenant” a conquistare le quasi 130mila persone che si precipitarono nei negozi di dischi per accaparrarsene una copia. Un best seller di pura malvagità che, a distanza di 25 anni dalla sua uscita, rappresenta ancora uno dei punti più alti raggiunti da quel genio di Trey Azagthoth e dalla sua “macabra” creatura angelica.

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