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Muon – Gobi Domog

2018 - Karma Conspiracy Records
stoner doom

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Tracklist

1. Intro (I Feel Doomed)
2. Never Born
3. The Second Great Flood
4. Stairway To Nowhere
5. The Call Of Gobi


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Un debutto al napalm quello dei Muon, un disco semplice senza fronzoli, graffiante e monolitico. Si tratta di un quartetto veneziano dedito all’esoterismo e alle invocazioni di spiriti dimenticati ed edito dalla giovane realtà beneventina Karma Cospirancy Records.

La descrizione proposta dalla band traccia l’immagine di una sorta di stregoni del riff, una congregazione di druidi devoti al volume e al frantumare i sassi attraverso le onde quadre. La prova del play del loro disco d’esordio “Gobi Domog”, conferma subito l’immaginario, una cascata di armoniche si riversa dalle casse colpendo il plesso solare e stringendo lo stomaco. Nella traccia di apertura Never Born rieccheggiano gli Sleep, gli Om e i Kyuss, le chitarre gorgheggiano insistentemente di fuzz su di una batteria cadenzata, ciclica e dal deciso incedere. Si aprono anche a spazi sonori più karmici i Muon, voci sussurrate aleggiano in un ambiente sospeso sostenuto dalle profonde sciabolate di basso su cui s’intrecciano semplici ma resistenti trame, come le trame a filo grosso degli stracci con cui si vestono i monaci buddisti.

La componente meditativa e la potenza degli slanci stoner più dissoluti si bilanciano in maniera convincente, notevoli le parti di voce bassa in The Second Great Flood, gutturali, cavernose sembrano il verdetto di un’antica tavola rotonda di maghi che decide di condannare uno dei membri della fratellanza per aver usato impropriamente la magia nera. E così lo giudicano colpevole, senza appello e imprimono sul suo capo la più potente delle maledizioni, quella di essere dimenticato per sempre nell’oblio del vuoto. Seguono le grida disperate dell’imputato che espierà la propria colpa nell’eterno limbo dello spazio aperto, immateriale ormai fatto solo di coscienza, giusto quella che serve per piangere le proprie impure azioni.

Prosegue il conclave con Stairway To Nowhere in cui troviamo liturgia e abnegazione della materia per raggiungere la realizzazione della vacuità che porta al Nirvana, un lungo percorso di sacrifici, digiuni e dolore fisico che arriva alla sua conclusione con The Call Of Gobi, summa di tutti gli ambienti finora poposti decorati da un commiato maestoso e dilatato come i rintocchi di una gong che rimbomba tra le pareti di roccia dei monti tibetani.

Sicuramente una buona prova questo “Gobi Domog”, che lascia trasparire una bella creatività e una spiccata attitudine al misticismo, sarebbe un disco magistrale se non fosse per alcune parti vocali, soprattutto quelle che utilizzano il registro alto a volte dissonanti al limite della stonatura; potrebbe essere voluto dallo stato di estasi contemplativa che richiama la musica tuttavia preferisco di gran lunga le parti basse, quelle dove lo stregone lancia le sue maledizioni senza perdono, facendomi correre brividi freddi lungo la schiena.

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