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Kint – Stoned. Immaculate

2018 - To Lose La Track / Small Pond / Sonatine / È un brutto posto dove vivere
noise rock / sludge / post punk / blues

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Tracklist

1. Snakebootskin
2. Flat
3. Last On List
4. The End
5. Blonde
6. Oldseeds
7. Gold
8. Flags Of Our Fathers
9. In Or Out


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C’è un che di opprimente nella musica dei Kint. Come piombo che cola lento lungo le mura di una fabbrica abbandonata nel mezzo di chissà quale foresta ricoperta di cenere in un ripetersi continuo di male incontrollabile.

Nato fondendo parti provenienti dai feroci The Death Of Anna Karina e dal lisergico disincanto hard dei Redline Season il trio arriva ad assemblare l’album “Stoned. Immaculate” ricomponendo parti di puzzle d’oltreoceano prefigurando una solerte predisposizione all’originalità (pur avendo ancora qualche passo da fare fuori dall’ombra delle proprie influenze, ma questo non è un male), di quelle che carezzano il viso di elementi totemici in parte blues, in parte noise rock – di quello più cubico e lercio, per intenderci – e lontane eco post-punk, più sfumature sulla tavolozza e poi sulla tela che un genere distinguibile nell’intricato sistema elettrico ivi presente.

L’ombra dell’asfissia a mezzo musica aleggia sul disco come uno spettro impossibile da cacciare, tra presse idrauliche ad apertura epica (l’enorme Blonde) i bassi a passo d’elefante da guerra (Oldseeds), il noise che si infetta e marcisce dalle parti dei migliori Young Widows che abbracciano la blasfemia dei Lubricated Goat (Flat, Snakebootskin), mareggiate di ferraglia che crolla su un tappeto di bicchieri di fine vetro (The End) e splendidi involi tribal-grunge-blues dall’altissimo tasso emotivo (Gold), il tutto avvolto in un suono dal grigiore opprimente, per l’appunto, e coronato da una voce stentorea, tonante e toccante il giusto (come ben dimostra su tutte Flags Of Our Fathers)

I Kint dimostrano abilità ed efficacia, corpo ed anima che affondano in muscoli d’ossidiana e carbone. Se volete andare a fondo e farlo per bene loro sono qui per voi.

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